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Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #15 il: Febbraio 18, 2011, 02:12:22 pm *
* Ultima modifica: Febbraio 18, 2011, 02:55:13 pm da Philippe Devanneaux *
Non c’è regina o più alta signoria
che dipinto abbia in sé sì tal splendore.
  
Chi tanta meraviglia in te rifuse
   e d’unica beltà si fé fattore?

Vi consiglio di visitare questo  sito http://ausopen.canoe.org.au/default.asp?MenuID=Results/20918. Dopo di che scendete e apritevi in PDF la classifica dei C1. Iniziate a leggerla riga per riga. Leggete il nome e poi l’ultimo numero che trovate per ogni rigo in fondo. Risulterà praticamente questo:

GARGAUD-CHANUT Denis 96,84
SLAFKOVSKY Alexander 97,75
JEZEK Stanislav 98,23
BENUS Matej  98,32
ELOSEGI Ander 100,47
ESTANGUET Tony 100,61

riuscite a capire la poesia, la soave musica di questi nomi e di questi numeri che si associano tra loro?  Riprovate ancora  

GARGAUD-CHANUT Denis 96,84
SLAFKOVSKY Alexander 97,75
JEZEK Stanislav 98,23
BENUS Matej  98,32
ELOSEGI Ander 100,47
ESTANGUET Tony 100,61

e poi ancora, ancora... che spettacolo signori miei leggere si tal beltà  e associarle a quanto visto.

Atleti che ci prendo per mano e ci guidano nella selva oscura di un tracciato che ha tanto da raccontare, così come Virgilio condusse  il Sommo Poeta nei meandri dello sconosciuto e del Divino.

Azioni eleganti, movimenti decisi, danze soavi, musica per le nostre orecchie. Che spettacolo e cosa ci hanno regalato questi personaggi che del C1 ne fanno una vera e propria arte. Usano il loro strumento prediletto fra i paletti dello slalom come il chirurgo usa il bisturi per incidere senza sbavature, senza errori e soprattutto con determinazione. La loro discesa non è contro il tempo, ma è per il tempo e per la storia.

Scusate, quasi me ne scordavo... mi riferivo alle gare di qualifica di oggi agli “Australian Open 2011”. Lo davo per scontato che si fosse capito,  ma solo ora mi rendo conto che non tutti vivono di pane e slalom e forse non sapevano neppure che qui a Penrith sul canale olimpico si stanno disputando queste gare di ranking. Valide anche come  selezione per formare la squadra nazionale giallo-verde. Non sapevate forse neppure che oggi è il compleanno di Amur... beh consolatevi, io di più non so!

Anche il cucciolo ha fatto vedere gran belle cose nella qualifica. Solo una grossa  penalità regalata dal cielo gli ha impedito di vedere scritto sulla carta il suo vero e attuale potenziale. Secondo me comunque, è sulla strada giusta. Bisogna lavorare molto,  ma questa è l’ultima cosa che ci spaventa. In settimana analizzeremo il tutto.

Domani semifinale e finale per C1 Men, K1 donne  e C2, riposano i Kayak maschili e le donne della canadese singola che rientreranno in scena domenica.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 18 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #16 il: Febbraio 20, 2011, 12:24:33 pm *
« così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva. »
(Divina Commedia, Purgatorio, canto XXX, versi 28/33)
[/i]


Lo confesso appena sveglio mi precipito a guardare il sunto della serata canora italiana, perché come dice Luca Panziera: “San Remo è sempre San Remo”. Se pur lontano da casa sono sempre attratto dalle nostre cose, dalle nostre tradizioni, dalla nostra italianità.
Sono impazzito di gioia ad ascoltare Benigni  che  decantava  la bellezza dell’Italia e del nostro  Risorgimento. Ha parlato di Mazzini, Cavour, Garibaldi, dei padri fondatori che erano così avanti da essere tutt’oggi attuali e moderni. A quest’immagine dell’Italia ci aggiungerei anche le impresi di Dorando Pietri, Fausto Coppi, Primo Carnera, Adolfo Consolini, Livio Berruti e visto che di bellezza si parla non si possono non citare Ondina Valle e Sara Simeoni, donne delizia, calore e completezza della nostra vita. La mia è una deformazione professionale, lo so!  Quando poi il  Roberto che vale un altro Oscar ha cantato “Fratelli d’Italia” mi è venuto da piangere e il cuor è impazzito. Di una bellezza unica ... che dispiacere non poter lavorare per i colori del... “candido vel, di verde mando e fiamma viva”. Per un paese che amo e per il mio inno! Infondo anche Ernesto Che Guevara era nato in Argentina e ha combattuto per la libertà a Cuba e poi in Bolivia.
Il lungo week-end di gare però mi ha dato nuove energie, nuova linfa vitale per affrontare qualche difficoltà inaspettata lungo il percorso, ma la vita è fatta di tutto ciò.

Mi sono piaciute particolarmente le donne e soprattutto le giovinette. Ci hanno regalato una grande lezione di stile scrivendo a chiari lettere sull’acqua che forza e strategie di gara affannose non portano lontano. Loro - Jessica Fox (115% dal Walsh vincitore nel K1Men), Ursa Kragelj, Katerina Kudejova, Rosalyn Lawerence  affrontano la gara con leggerezza ed eleganza; anticipano le porte, entrano bene nelle risalite e sono veloci ad uscire. Canoa piatta e leggera come foglie al vento. Qualcuna impressiona anche per cambi di ritmo e fluidità del gesto. Non si può dire altrettanto per Corinna Kuhnle  che però, con colpi potenti e tanta forza, dopo la delusione amorosa, si consola con l’oro agli  Australian Open. Lei ha reagito positivamente ai dolori del cuore altrettanto non si può dire per Leanne Guinea che arriva solo terza in canadese monoposto dietro alle giovanissime Rosalyn e Jessica. Il  109% dal primo uomo in kayak dell’austriaca la dice lunga.
Sempre bella, affascinante e brava  Jasmin Schornberg. Con lei ho avuto modo di lavorare tecnicamente in qualche seduta di allenamento in questo mese a Penrith e ho apprezzato molto la sua concretezza nell’azione. Non si perde in veroniche, non sceglie mai linee estreme, fa della semplicità la sua arma migliore. Le veterane Oblinger, Fer e Kaliska ovviamente proseguono sulla loro strada, sempre competitive ovviamente, ma forse, così facendo, rischiano di non adeguarsi ai tempi che cambiano. Solo la bi-olimpionica slovacca si sta dando pena nel provare canoe nuove per capire se potrà trarne beneficio. Nel frattempo il cigno dal lungo collo, Jana Dukatova,  passeggia con la sua canoa sul lago sotto il canale, guarda verso il nastro trasportatore e sembra chiedersi: “quando sarà che potrò salirci?”. In effetti, dopo l’operazione alla spalla per usura dello scorso ottobre e la lunga riabilitazione, sembra essere arrivato il tempo per rivederla galleggiare leggiadra sul canale olimpico, ma ovviamente anche per lei ci vorrà tempo prima di rivederla al top.

Vi lascio perché ho le gare delle schiacciate all’All Star Saturday (degli  All Star Game), della gare degli  uomini vi parlerò un altro giorno. Vi anticipo solo che i C1 sono fantastici, i C2, privi dei gemelloni slovacchi, perdono incisività e che nei kayak uomini è sempre  una lotta senza risparmio di colpi.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 20 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #17 il: Febbraio 24, 2011, 09:37:57 pm *
Mi chiedevo che cosa farebbero i C1 se le loro canoe pesassero come i K1 e fossero larghe 60 cm. Questo pensiero arriva guardando e riguardando le gare del week-end scorso e confrontando intermedi e tempi finali tra le diverse categorie. Tony, il mitico Tony Esanguet ha vinto con l‘1,9% da Walsh e Gargaud, senza la penalità,  avrebbe avuto lo 0,99%.
Ora il tracciato degli “Australian Open”, sia nella qualifica che nella semifinale e finale, non era certo molto impegnativo: tanto per fare un paragone sciistico, viste le medaglie conquistate ultimamente dagli sciatori azzurri ai recentissimi campionati del mondo, sembrava più un tracciato da slalom gigante che uno speciale! Un percorso che definirei aperto, con alcune serie di porte interessanti, ma nulla di difficile. Ad esempio la parte centrale era caratterizzata da tre porte in discesa molto distanziate che costringevano gli atleti a impostare con ampio anticipo ogni singola porta per non perdere velocità, ma non certo per problemi di linea. La possibilità era anche quella di adottare  una saggia retro sulla seconda porta, come Super Cali ha fatto in semifinale. Per tutto il resto del tracciato nulla di particolare o di impegnativo. Ovviamente, questo tipo di percorso,  premiava gli scivolatori e non certo atleti che magari preferiscono combinazioni strette e difficili. La domanda quindi è  semplicissima: com’è possibile che i C1 su un tracciato così aperto possono essere così vicini ai Kayak che, in teoria, avendo due palette possono spingere maggiormente su tratti rettilinei?
Per rispondere a ciò dobbiamo fare un altro tipo di analisi e cioè andare a vedere quello che succede nei percorsi molto difficili dove le percentuali di distacco dei C1 rispetto ai K1 sono più marcate. La media nel 2010 era del 6,55% sulle tre gare di Coppa (Praga, Seu, Augsburg), Europei (Bratislava) e Mondiali (Tacen).
Dati che ci dicono e ci fanno capire chiaramente che su percorsi chiusi i kayak rischiano moltissimo e riescono a ottenere tempi molto, molto veloci. Tutto ciò deriva anche dall’altissima competitività che c’è in questa categoria.
Se poi guardiamo attentamente il gesto tecnico ci accorgeremo che le canadesi hanno occasione di mettere in essere molto più spesso una risalita classica, mentre i Kayak sono costretti a cercare di limare centesimi in ogni azioni e quindi in ogni porta. Ne deriva che su percorsi come quello di Penrith, dove le risalite non presentavano la possibilità di tagliare più di tanto, i tempi di distacco si assottigliano, perché fondamentalmente, visto il livello raggiunto dai top paddlers della canadese, tra le due specialità non c’è un divario molto netto!
A questo punto sarebbe proprio interessante assistere allo scontro ad armi pari: C1 e K1 9 kg. x 60 cm.  punta e coda liberi.

Nel frattempo Martikan, che arriverà qui in settimana,  ha mandato avanti il suo nuovo gioiellino: canoa nuova per lui che non è altro che una “Ego” con l’impostazione da C1. Nei giorni delle gare era esposta nello stand di Vajda (sponsor della manifestazione) rosso cupo e con un assetto da “guerra”. Fa impressione pensare che si possa pagaiare inginocchiati su quel guscio che porta ancora le alette del pozzetto per un kayak... non si è dato neppure  la pena di toglierle!  Spero solo che non la veda  Raffy perché altrimenti so già quale sarà la sua richiesta per la promozione a scuola!

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 24 febbraio 2011

elena bargigli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #18 il: Febbraio 25, 2011, 11:11:05 am *
Interessante...si può dire la stessa cosa per le donne? Cioè che in un percorso non particolarmente difficile e fluido si avvicinano ai K1?

Si sa che ho un debole per questa specialità...

Grazie,

Elena.

Francesco Iacobelli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #19 il: Febbraio 25, 2011, 01:51:31 pm *
Probabilmente la doppia pala su fiumi impegnativi avrà un utilizzo maggiore, in proporzione, nell'avanzamento rispetto alla ricerca di stabilità, rapportata alla monopala.
é possibile o è solo una mia deduzione?


maurizio bernasconi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #20 il: Febbraio 25, 2011, 05:36:36 pm *
Perché i primi cinque o dieci ciunisti al mondo, in tutte le epoche e direi anche in tutte le specialità, compreso nella flat, sembrano dei fenomeni, dei marziani? Osserviamo i distacchi dal gruppetto dei fenomeni fino al trentesimo piazzamento in C1 e poi lo stesso in K1 e vedremo una bella differenza. Il trentesimo K è fuori dalla finale per un soffio, il trentesimo C1 ha mancato almeno due o tre porte. (Correggetemi se sbaglio). Infatti gli atleti di vertice sono fenomeni ANCHE perché abbiamo pochi praticanti. Per completezza dell'esperimento Ettore, dovremmo ipotizzare anche un numero di praticanti uguale fra C e K. Allora sarebbe chiaro una volta per tutte che la vera canoa da fiume è la canadese. I canadesi restano ancora indietro dunque per: pesi e misure, daccordo, minor numero di praticanti, e ANCHE perché la tecnica della pagaiata in C obbliga a tempi di apprendimento più lunghi e al possesso di notevoli qualità individuali. Dunque non esiste una regola intrinseca al C perché debba andare più piano. Il kayak è un attrezzo frutto di compromessi. Occorreva arpionare una foca, oppure trasportare la nonna niosa a morire su un iceberg alla deriva fuorimano, occorreva star lì sei ore a mollo per pescare un paio di salmoni o far giocare all'eskimo i bambini a fine giugno sulla banchisa. Per tali occupazioni un kayak può anche andare, ma scendere un fiume è altra cosa! Quella posizione seduta da sedentari, quei culi incollati dalla gravità nel seggiolino, quel lavoro col busto e i fianchi più o meno bloccati come impiegati... non è cosa! Im/piegati, cioé essersi piegati ad accettare un lavoro; piegati dunque sottomessi, la schiena esposta alle frustate, seduti come esseri inutili, come intellettuali, come automobilisti, come pensionati che giocano a briscola.
Il ciunista sta invece col dorso eretto come un cavalliere, come un uomo. E' inginocchiato come uno che medita Zen o che parla da pari a pari con Dio.
In più: Ci=l'energia, almeno per i cinesi.

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #21 il: Febbraio 27, 2011, 01:55:28 pm *
* Ultima modifica: Febbraio 27, 2011, 01:57:57 pm da Ettore Ivaldi *
Una domenica mattina particolarmente fruttuosa dal punto di vista tecnico. Sarà stata la paella del party della sera precedente condita da una fresca e dissetante sangria; sarà stata l’aria di festa; sarà stata l’atmosfera degli addii; saranno stati i pochi slalomisti sul canale, ma l’allenamento si è dimostrato molto approfondito ed interessante. Abbiamo lavorato sull’effetto “molla” nelle risalite. Di che cosa si tratti cerco di spiegarlo nel miglior modo possibile se pur soggetto ad inevitabili e soggettive  interpretazioni.

In sostanza per ruotare velocemente nelle risalite bisogna lasciare la coda libera di agire. La pala in acqua svolge da  prima la funzione di timone, per preparare l’entrata, e poi assume il ruolo di fulcro nella rotazione. A questo punto la stessa pala, assolti i compiti precedenti, non deve fare altro che aspettare la conclusione della rotazione per tornare ad essere operativa non più staticamente. In questo frangente di tempo abbiamo la possibilità di caricarci di energia flettendo il braccio alto fino a portarlo praticamente dietro la testa. In fase di uscita l’impulso di spinta partirà proprio dal braccio alto che attiverà così l’effetto molla sopra denominato.
C’è un semplice segreto per ottenere il massimo da questo gesto: rispettare i tempi di esecuzione che sono distinti per ogni singola parte che interviene nell’azione e cioè per  braccia, spalle, gambe, canoa, pala.  Ognuno di questi elementi ha velocità diverse in tempi diversi. Molto spesso però non è facile da far capire agli atleti che vorrebbero sempre far girare le loro braccia alla velocità con cui il famoso road runner Beep-Beep scappa da Wile Coyote.
L’abbiamo già sottolineato - vi ricordate? - la mente lavora più veloce delle braccia che se non controllate vengono prese dall’euforia di seguire i pensieri che corrono alla velocità della luce.
Per mettere in pratica tutto ciò bisogna avere molta tranquillità e dedicare allenamenti specifici a questo tipo di lavoro. Per qualcuno può sembrare una perdita di tempo, ma in realtà non è così per chi vuole costruire un risultato.

Al di là di tutto ciò volevo anche cercare di rispondere alla mia amica Elena che si chiedeva che cosa succede per le donne in kayak su percorsi aperti com’è stato quello degli “Australian Open” da poco conclusi. Ovviamente dobbiamo ricorrere sempre alle statistiche che ci illuminano che ci dicono  che la media  nel 2010 su gare di coppa, europei e mondiali per il K1 women era del 17,2 in finale per le vincitrici che si abbassa al 13,5% in qualifica. Corinna Kulne ha vinto in Australia con un distacco poco superiore al 9%. Quindi mi sento di affermare che anche per le donne le percentuali calano su percorsi più aperti. Mi piace definirli da “gigante” come nello sci alpino.

Il motivo di tutto ciò, sempre secondo me, non dipende da quanto espresso da Francesco Iacobelli legato cioè al fatto che la doppia pala “ avrà un utilizzo maggiore, in proporzione, nell'avanzamento rispetto alla ricerca di stabilità, rapportata alla monopala”,  ma deriva dal fatto (come ho cercato di esprimere nel post precedente)  che: “...sui percorsi chiusi i kayak rischiano moltissimo e riescono a ottenere tempi molto, molto veloci. Tutto ciò deriva anche dall’altissima competitività che c’è in questa categoria. Se poi guardiamo attentamente il gesto tecnico ci accorgeremo che le canadesi hanno occasione di mettere in essere molto più spesso una risalita classica, mentre i Kayak sono costretti a cercare di limare centesimi in ogni azioni e quindi in ogni porta. Ne deriva che su percorsi come quello di Penrith, dove le risalite non presentavano la possibilità di tagliare più di tanto, i tempi di distacco si assottigliano, perché fondamentalmente, visto il livello raggiunto dai top paddlers della canadese, tra le due specialità non c’è un divario molto netto”.


Il mitico Maurizio, che da molti anni non vedo e che immagino scrivere i suoi illuminanti scritti “inginocchiato” davanti al mare all’imbrunire, con folta barba e  avvolto da parei colorati, ci ricorda la storia e la ragione per cui si pagaia seduti o inginocchiati. Il fatto di avere pochi top paddlers in C1 e molti di più in kayak esce, secondo me,  da un retaggio culturale antico e speriamo superato. Era in uso infatti segare la pala in due e mettere in canadese quei giovani che non dimostravano di aver talento con la pagaia da kayak.
Non concordo con il fatto che la canadese è più complessa tecnicamente. In realtà ritengo esattamente l’opposto specialmente per il suo apprendimento in giovanissima età. La pensavo come Maurizio fino a luglio 2005 momento in cui Raffy, il mio figlio più piccolo classe 1997, è salito sul C1 da discesa di Vladi Panato attratto da quella canoa rossa e ovviamente dalla leggenda vivente di Vladi. In quel momento  mi si è aperto un mondo e ho capito, guardando incantato il piccolo C1, che non c’è nulla di più naturale che pagaiare inginocchiati con una pagaia monopala. La possibilità poi, per chi inizia, di concentrarsi su un solo lato e su una pagaia monopala  permette di essere più attenti e sensibili allo strumento che ci troviamo fra le mani.
Fatemi spendere una parola però anche per i kayak, se mai ne avessero bisogno. E’ vero che si è seduti, ma ricordiamoci anche che i migliori e più sensibili propriocettori sono proprio lì... Possiamo ricevere un sacco di informazioni che poi trasformiamo, in base alla nostra abilità, in gesti più o meno atletici, eleganti, vincenti, emozionanti!

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 27 febbraio 2011

maurizio bernasconi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #22 il: Febbraio 27, 2011, 09:32:57 pm *
Mentre consumo l'orizzonte e do tempo alla barba di crescere mi capita anche di fare delle osservazioni su giovanissimi canoisti  (12/16 anni) che si avvicinano al C1 in modo quasi del tutto ingenuo, sia ragazzi sia ragazze. Alcuni sono kayakisti e ci cimentano in canadese solo per allenamento, qualcuno mostra di scoprirsi canadese istintivo puro e sembra già definitivamente orientato alla monopala. Come al solito.
Ebbene vedo due fenomeni:
-  Tutti cercano di dirigere e procedere con aggiustamenti in debordé e riescono a districarsi benino fra le porte ancor prima di saper condurre una linea dritta precisa. Nessuno di loro sente la necessità di reinventare il gesto del vortice tantomeno sfregando il manico contro il fianco della barca. In effetti guardando un filmato attuale sul fiume e pure in acqua piatta non vediamo più distintamente eseguire il vortice dagli atleti evoluti; ma il fatto di non vederlo ci autorizza a credere che l'essenza, l'embrione di quel gesto non sia più presente nella pagaiata canadese? Io non lo so. Qui dovrebbe pronunciarsi un tecnico della canadese più aggiornato. Altra domanda è questa: anche ammesso logicamente che non serve eseguire ogni pagaiata con una componente di vortice, daccordo, possiamo per questo stabilire che si può oggi fare a meno di attraversare una fase iniziale di apprendimento nella quale il vortice viene appreso ed eseguito in modo scolastico? Dunque: visto che da soli non lo fanno (non in tempi rapidi almeno), è allora necessario che qualcuno glielo insegni oppure viene da solo prima o poi, oppure non serve più del tutto?
-  Altra cosa che osservo: nessuno prova se non incidentalmente a spostare il peso dalla parte opposta alla pagaiata, atteggiamento che una volta era considerato assolutamente imprescindibile della tecnica canadese. E' interessante notare che le tecniche abbiano un'evoluzione eppure il fatto che il peso si portasse all'esterno opposto alla pagaiata non poteva essere solo un vezzo d'altri tempi, era qualcosa che evidentemente rispondeva a una logica. Ancora una domanda: potrebbe essere utile al giovane atleta conoscere la tecnica, ed eventualmente anche gli errori, di quelli che praticavano lo stesso gesto in precedenza?

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #23 il: Marzo 04, 2011, 09:59:08 pm *
Premessa onde evitare confusioni: parliamo di slalom -

Il “J stroke”, come lo chiamano gli americani, si è evoluto parecchio nel corso degli anni e specialmente nella tecnica dello slalom!    Non si sfrega più infatti il manico della pagaia sul bordo della canoa, permettendo così agli arnesi del mestiere di mantenersi intatti  per lungo tempo ( il vecchio e annoso problema delle canadesi).
Le imbarcazioni e i tracciati su canali artificiali  hanno comunque  un peso molto  determinante in tutto ciò. Aggiungo anche che la tecnica si è raffinata di molto.  La conseguenza ovvia è che  viene  usato in maniera diversa e con molta parsimonia. I canadesi più evoluti lo utilizzano in una fase statica perché la canoa è portata principalmente diritta con il lavoro delle gambe e dei fianchi.  In sostanza il “vortice” - in italiano - frena l’avanzamento  ed è stato sostituito con una sorta di richiami di punta in fase propulsiva della pagaiata o, come già detto, da un costante aggiustamento della direzione voluta attraverso l’inclinazione dei fianchi.

Detto ciò è interessante il primo  quesito che pone l’uomo dalla barba lunga e dall’infinito consumato e cioè: “è giusto che qualcuno glielo insegni oppure viene da solo prima o poi, oppure non serve più del tutto”?

Ritengo che i gesti e i movimenti in generale dovrebbero essere acquisiti attraverso una scoperta motoria personale. L’allenatore, o in questo caso anche il maestro o l’istruttore, deve creare gli “stati di necessità” con l’obiettivo di far scoprire all’allievo le soluzioni più adatte alle esigenze di quel momento. Le risposte passeranno attraverso la soggettività di ognuno che saprà e dovrà imparare ad elaborare velocemente gli stimoli esterni. Per essere più concreti dobbiamo dire al nostro allievo di partire da un punto e arrivare in un’altro punto il più velocemente possibile e con il minor dispendio di energia. Per fare ciò può impiegarci molto tempo oppure può scoprire e trovare la soluzione molto rapidamente. In tutti e due i casi comunque il gesto finale resterà acquisito e sarà certamente il più adatto alle sue caratteristiche. Attenzione! Il tutto deve essere logicamente diretto passo per passo dalle proposte intelligenti di chi lo segue. Strada questa decisamente più costosa e faticosa rispetto a quella di elencare una serie di precise e schematiche indicazioni tecniche.
L’allievo se  riceverà direttamente da noi la risposta finale, statene certi,  diventerà al massimo un ottimo esecutore, ma non necessariamente il più veloce. Ricordiamoci che le nostre risposte dirette, in questo caso la spiegazione di come fare il J-stroke, passano attraverso  il nostro vissuto o alle nostre osservazioni su schemi motori ben precisi.  Il problema nasce da tutta una serie di filtri interpretativi che si mettono tra l’allenatore e il suo atleta.  Quest’ultimo non riuscirà ad esprimere al 100% le sue potenzialità, vuoi per una pigrizia mentale, vuoi per risposte che in parte ha già avuto. L’ho già sottolineato molte volte nei miei scritti tecnici: il pericolo più grande per un allenatore è quello di limitare l’atleta ad eseguire manovre e tecniche che ha nella testa l’allenatore, ma non nell’atleta che deve invece essere e rimanere il vero protagonista tecnico di se stesso.  Il nostro compito diventa quello di proporre delle scelte non in modo categorico, ma dobbiamo dirigere alla scoperta personale.

Sul secondo dubbio amletico di Maurizio mi sento di dire che in slalom l’obiettivo oggi è quello di mantenere la canoa il più possibile in equilibrio. Solo in uno stato di massimo equilibrio l’atleta potrà effettivamente esprimere meglio la sua azione propulsiva anche nelle varie fasi di rotazione della canoa stessa. Il gioco del peso c’è, ma è molto sottile.   Se poi è utile per un giovane conoscere gli errori di quelli che praticavano lo stesso gesto in precedenza mi sento sempre di rispondere che in effetti c’è così tanto da lavorare che perdere tempo sugli errori del passato forse non ne vale la pena. Considerando soprattutto il fatto che materiali, mezzi e campi di gara si sono decisamente evoluti seguendo sempre... gli stati di necessità.

Altra cosa è per un giovane conoscere la storia del proprio sport, ma qui non sono obiettivo e quindi lascio la disquisizione ad altri... io la metterei obbligatoria nei corsi per istruttori ed allenatori, perché se ci dimentichiamo del nostro passato, faticheremo a trovare il nostro futuro.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #24 il: Marzo 09, 2011, 03:55:54 pm *
Se c’è qualcuno che è in grado di darmi una spiegazione non dico scientifica, ma quantomeno plausibile, sul fatto che ogni volta che riprendo le cuffiette precedentemente riposte con cura nella borsa, le ritrovo immancabilmente tutte arricciate e aggrovigliate, lo ringrazio in  anticipo! Perdo una vita per sbrogliarle e così mi innervosisco per  nulla. Va beh, aspetto vostre delucidazioni e suggerimenti su come ripiegare questi fili magici. Nel frattempo vi faccio partecipi di una considerazione nata ieri durante il lavoro tecnico con i miei giovani atleti brasiliani. Ah forse ho saltato un passaggio, forse non vi ho detto che sono partito dall’Australia il primo marzo per venire qui a Foz do Iguazu nello stato del Paranà. Ricordate i mondiali del 2007? C’è un canale eccezionale e soprattutto un progetto di sviluppo per lo slalom che ha dell’incredibile in vista delle Olimpiadi di Rio 2016, ma di questo vi scriverò un’altra volta. Volevo parlare delle risalite e come approcciarsi ad esse. In un precedente intervento -

Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
« Risposta #11 inserita:: Febbraio 10, 2011, 10:52:41 pm ») -

davo per acquisito in senso generale questa fase delle porta da fare controcorrente e ne rimango convinto per quanto riguarda gli atleti di livello e quelli che hanno una certa esperienza. Ma la cosa non è assolutamente scontata nei giovani. Nasce con loro una problematica chiarissima e cioè quella di far capire e percepire come arrivare nella risalita e quale deve essere la velocità di entrata. Ecco perché ieri ho proposto varie soluzioni o meglio varie possibilità da provare e da percepire in acqua. Ho suggerito di cambiare l’approccio prima sperimentando un arrivo molto veloce, poi via via, sempre più lento (per quanto possa essere lento un arrivo su un filone d’acqua comunque di per sé veloce). Ad ogni tentativo i giovani junior provavano ad entrare con velocità diverse. Poi ci siamo concentrati per capire e percepire (scusate se insisto su questo verbo che va preso in considerazione sotto l’aspetto fisico e come esperienza sensoriale) come reagisce la nostra canoa a velocità diverse e soprattutto come ci si deve comportare con il corpo e la pala. Alla fine di due ore di prove su due porte i ragazzi hanno fatto loro un principio fondamentale che riassumerei velocemente in questo assunto: la tua velocità si deve relazionare alla possibilità di mantenere il più a lungo possibile la pala in acqua nell’ultima fase di avvicinamento alla porta. Sia nel caso in cui la risalita venga risolta con la pala in acqua dalla parte interna, sia con il colpo largo esterno. Diventa fondamentale l’approccio per guidare la canoa all’intero della risalita con il principio che è meglio perdere un po’ di velocità in fase di entrata, ma mantenerla sempre per tutta la rotazione della stessa all’interno e cercare di accelerare in fase di uscita. In questo modo si avrà sempre la situazione sotto controllo. Anche dal punti di vista fisico ci sarà un minor dispendio di energie con la possibilità di recuperare proprio in questa fase che di per sé sembrerebbe assurdo. Giusto per far capire anche per chi arriva dal nuoto... la risalita è come una virata nello stile libero o crawl. Affronta cioè le stesse problematiche e serve all’atleta per recuperare energie. Per niente i record in vasca corta sono più bassi. Considerate che nella vasca da 25 mt. sui 100 metri s.l. è più veloce del 3,8% mentre nei 200 mt. s.l. si arriva al 4,5%.
Sostanzialmente troviamo che la virata presenta le seguenti problematiche:

- Deve cambiare il movimento lineare in avanti in modo da imprimere al suo corpo un movimento rotatorio
- Effettuando la capriola deve eseguire una mezza torsione in modo che
   dopo la spinta data con i piedi, si trovi con il petto rivolto verso il basso
- Deve completare la virata in modo che i piedi non siano né troppo vicini
   né troppo lontani per dare una spinta

... chiaro il concetto?

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguazu, 9 marzo 2011

Francesco Iacobelli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #25 il: Marzo 09, 2011, 05:25:10 pm *

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #26 il: Marzo 11, 2011, 10:32:38 pm *
Oh, deep in my heart,
I do believe
We shall overcome, some day


Il maître ha maniche esageratamente lunghe e nel suo girovagare per la sala è costretto  a tenere le braccia conserte. Beh! poca cosa visto che lui in teoria non deve usare le mani, ma controllare la situazione e  parlare con i clienti. A servire e a prendere le comande ci sono i camerieri. I camerieri ve li raccomando, diciamo che sono sullo stile del capo, senza giacca per fortuna, ma hanno  vita complicata perché ad ogni ordine devono scrivere due bigliettini e spesso e volentieri ci perdono dietro una vita. Scrivere non è proprio il loro mestiere e la penna la impugnano più come un mattarello che come uno strumento delicato per incidere lettere con senso compiuto.  Hanno camicia bianca con colli troppo larghi tenuti uniti da papillon neri decisamente arruffati e stinti. Non che io sia un gran signore o un uomo avvezzo ai grandi servizi, ma era solo per darvi il benvenuto in Sud-America e per farvi capire che qui le cose girano in maniera piuttosto diversa rispetto al vecchio continente.
Ci ho impiegato un pochino per ri-ambientarmi, lo ammetto, visto che erano quattro anni che mancavo da queste parti e avevo perso i modi, i colori, i tempi, i profumi i suoni e gli odori, che si vivono e si respirano quaggiù. Il passaggio dall’Australia perfezionista al Brasile spontaneo ma pieno di vita, non è sempre facile. Le silenziose auto del continente australe con il cambio automatico che viaggiano su strade così lisce e diritte da farti addormentare sono in contrasto con le rumorose quattro ruote del continente americano che si muovono un pochino a singhiozzo per quella miscela di alcool e gasolio che utilizzano come combustibile. Aziono ancora, a distanza di una settimana, i tergicristalli invece delle frecce che qui sono sulla sinistra e là...  sulla destra, come la guida.
Qui le strade sono giungle di buche, affollate da ogni tipo di mezzo. Si va da chi spinge un carretto carico di ferro o plastica agli stanchi e magri cavalli che si trascinano uomini in cima a carri che sembrano diligenze. Ci sono poi i Suv targati Paraguay dai vetri scuri che non rallentano sui dissipatori di velocità e tanto meno per fare passare la gente sulle strisce pedonali. Il resto sono auto di ogni genere bottate all’inverosimile che vengono usate fino all’ultimo respiro e poi sfasciate per recuperare qualche moneta sul mercato del ferro vecchio.
Lungo le strade si vende agua de coco fria. Agli angoli ci sono persone che cercano la via da prendere per mete sconosciute. Cercano, ma sembrano non trovare la via giusta  o forse l’hanno trovata prima di noi, illusi di percorrere sempre il cammino più corretto e veloce.
I semafori vanno capiti ed interpretati. Informano sul tempo che rimane illuminando via via rossi o verdi diversi. Per le svolte a sinistra ci si porta al centro della strada e si sta pronti a partire appena possibile, non è come in Australia dove si passa uno alla volta... rigorosamente seguendo le strisce per terra che determinano il tuo raggio di manovra. Ma questo ve l’avevo già raccontato.
Gli autobus sfrecciano veloci e tante volte non si fermano alle fermate perché sono già stracolmi. La gente in attesa però sembra non darci peso e aspetta speranzosa o forse rassegnata il prossimo, che forse si fermerà.
Le donne hanno culi enormi che fasciano con jeans troppo stretti e si muovono su tacchi sempre esagerati. I negozi di scarpe come le farmacie sono ovunque e le calzature si possono acquistare anche a rate. Sulle targhette esposte nelle vetrine c’è il prezzo pieno e poi la suddivisione delle  varie trance. Ci si può sfamare con cinque euro e mangiare dell’ottima carne per dieci. La gente per dissetarsi beve il “mate” che porta concentrato in un bicchiere di legno, per aggiungerci poi  dell’acqua ghiacciata.

Il sole batte ancora forte  anche se in teoria siamo a fine estate e  ci si prepara per l’autunno. Le formiche, al campo da slalom, stanno lavorando ininterrottamente per mettere a dimora nelle loro case minuscoli pezzi di foglie perché marciscano e diano vita a quel fungo che le manterrà in vita nel periodo invernale. Non hanno pause, sono organizzate al meglio. C’è chi le taglia e passa al setaccio e chi invece trasporta dal produttore al consumatore, sembra di essere sulla Milano - Venezia nei giorni feriali con tanti Tir e macchine in ogni dove. Lavorano sodo anche le migliaia di persone impegnate a mantenere pulita l’area della diga di Itaipu, la più grande al mondo con le sue 20 turbine che producono il 25% di elettricità per tutto il Brasile e il 90 % per il Paraguay. Una realizzazione architettonica che fa paura per dimensioni ed estensione. Non ci si può fermare a pensare alla maestosità dell’opera perché ti verrebbe il capogiro e crolleresti a terra disarmato interrogandoti dove l’uomo potrà mai arrivare.

Benvenuti in Sud America!  

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

P.S. e pensare che ero partito per raccontarvi il progetto Olimpiadi Rio 2016! mi sono perso ma arriverò prima o poi.
P.S.2 Un mito che fa di nome Francesco Jacobelli. Carissimo geologo ho passato la serata ad esercitarmi e ora sono un mago, ripiego e riprendo le cuffiette in un attimo all'occorrenza - grazie ... rock style

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #27 il: Marzo 14, 2011, 11:49:25 am *
«Con quel che ci è accaduto, quel che succede,
quel che conosciamo e quel che non possiamo conoscere,
inventiamo un qualcosa che non è una semplice rappresentazione,
ma una creazione totalmente nuova e più reale
di qualsiasi cosa reale ed esistente,
e se la rendiamo viva e
il risultato è buono, diventa immortale».
Ernest Hemingway

Vi prego passatemi il paragone, non mi sono montato la testa, ma lasciatemi dire per un solo momento che mi sto immedesimando in uno dei mie miti letterari e cioè Ernest Hemingway. Dai... non sorridete e se avete pazienza cerco di spiegarvi perché. E’ risaputa la passione per la pesca del grande scrittore statunitense e io guarda caso sono seduto a pescare in compagnia di Argos - il general manager della Federazione Brasiliana - discutendo di cose che sono la mia vita e che implicheranno per il futuro un enorme impegno. Attorno a noi una sorta di oasi di verde, palme, alberi, acqua, ruscelli che rinfrescano l’aria tutt’intorno. La canna da pesca in mano che ogni tanto ci fa sobbalzare sulla sedia con braccioli. Il pescetto fritto sul tavolo ci fa buona compagnia così come la freschissima Sol - una birra brasiliana che fa 4 gradi e mezzo e che ti disseta e ti tiene allegro.
Si parla dei progetti futuri, di quello che qui inizia già a concretizzarsi, del lungo lavoro che ci aspetta per cercare di arrivare preparati al sogno olimpico di Rio 2016. L’idea è quella di avere quattro centri sparsi per il Brasile con un riferimento nazionale che è a Foz do Iguacu dove fluiranno i migliori atleti per definire tecnica e preparazione. Nelle altre sedi si lavora con la base partendo dalle scuole con 4 allenatori per singola realtà impegnati costantemente sei giorni alla settimana per mettere le basi dello slalom. I giovani partono dall’acqua piatta con l’eskimo, poi impostazione sulle porte, verifiche tecniche, test, e avvicinamento all’acqua mossa. Si sta pensando a tutto, dalle sistemazioni logistiche, alle collaborazioni con medici e fisioterapisti, materiali tecnologici, alle strutture e come evitare errori che ovviamente ci saranno nel corso del lungo cammino. Ho preparato uno studio ed una analisi sul concetto di base che dovrà guidarci da qui al 2016, prendendo in esame esperienze internazionali per oltre tre decenni. Tutto ciò lo presenterò il 17 marzo ad una serie di figure che opereranno nel progetto. Sono fermamente convinto che il lavoro, unito a periodiche verifiche e aggiustamenti, possa portare lontano. E’ un puzzle che va unito e fatto funzionare attraverso una ottima gestione politica, amministrativa e ovviamente tecnica. Come dice il grande Alviano Mesaroli il lavoro dell’allenatore è quello dell’alchimista che cerca di trasformare i metalli vili in metalli nobili! Un lavoro delicato, paziente, dalle mille sfaccettature che mette insieme tante conoscenze, senza tralasciare la quotidianità e la pratica, perché senza tutto ciò non si può pensare di portare avanti grandi progetti.
Passeranno tanti giorni in mare aperto senza pescare un pesce, ma “l’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non essere sconfitto” come il vecchio Ernest ci ha insegnato.
Seduti vicino a me ci saranno vecchi e giovani amici che accompagnerò qui quando verranno a trovarmi. Pescheremo assieme, ci racconteremo le ultime novità, salteremo sulla sedia quando i grossi pacu abboccheranno alla nostra lenza. Li sfiniremo per qualche minuto prima di tirarli fuori dall’acqua. Saranno giorni che non dimenticheremo tanto facilmente, seduti a gustarci la birra leggera e fresca che c’è da queste parti e il buon pescetto fritto. Vi racconterò come stanno crescendo i ragazzi che alleno, vi racconterò e vi farò vedere che i sogni qualche volta possono concretizzarsi, che i sogni prenderanno forma e forse farete fatica a risalire sull’aereo per tornare a casa, ma comunque vada tutto ciò deve essere vissuto per capirlo e per sentirlo scorrere nelle vene.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 14 marzo 2011

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #28 il: Marzo 16, 2011, 09:27:02 pm *
Chi l’avrebbe mai detto che il mio borsone olimpico finisse la sua avventura in un paese lontano, oltre oceano eppure la vita ci riserva sempre tante sorprese.
Mi ricordo quando lo ricevetti, faceva parte del completo olimpico per Atene 2004. Bello, robusto, una tela molto particolare, blu con inserti azzurri e il bianco ai lati con la scritta “Italia Team” e sotto il tricolore stilizzato. Su un lato porta il logo del Coni, che per la verità non mi piace molto e anche al sua simbologia mi lascia un pochino perplesso. Nel lato opposto il marchio dell’allora sponsor tecnico e cioè ASICS che come tutti sanno è l’acronimo di Anima Sana in Corpore Sano aforisma di “mens sana in corpore sano”. Già... quante avventure assieme e ora purtroppo è arrivato il tempo dei saluti, ma si sa che prima o poi bisogna affrontare questo aspetto della vita. Per la verità avrei dovuto lasciarlo morire tranquillo in Australia, infatti il danno finale successe proprio la sera prima di partire. Stavo chiudendo la cerniera principale e chiesi aiuto a Zeno perché effettivamente era troppo carico. In due si sa si fa meglio e non ci furono problemi a comprimere un pochino le cose al suo interno e a chiuderlo. Nel mentre però che eseguivamo una manovra che di per sé è sempre complessa e rischiosa, successe il patatrak! La zip si chiuse ma cedette un lato della cucitura. Zeno ed io ci guardammo molto perplessi. Il povero borsone ora si trovava ferito e pieno di mercanzie, ma soprattutto doveva affrontare un viaggio trans-oceanico, doveva esser preso in consegna da chissà quante mani e trasportato a lungo su nastri trasportatori che non hanno pietà delle loro prede. Loro, i nastri trasportatori, non guardano in faccia nessuno e vanno diritti verso l’obiettivo, poco importa se ad una curva il passeggero sbatte sugli angoli o su un cavalcavia scivola verso valle, tanto troverà qualcosa di più pesante che lo fermerà e lo riporterà a destinazione e soprattutto non parla, anche se i segni però, a volte, li porta evidenti.
Le alternative erano due. La prima cambiare borsa e abbandonare al suo destino il povero sventurato, ma non avevo nessuna voglia di rifare un’altra volta la fatica che avevo appena concluso. Facendo così avrei poi lasciato il mio figliolo senza bagaglio costretto ad andare a comprarsi una borsa nuova, visto che avrei dovuto prendere la sua. L’idea geniale però balenò prima negli occhi del giovincello e poi nella sua mente che espresse una banalità più che unica: “ che problemi ci sono all’aeroporto te lo fai imballare”. Giusto e così feci. A Buenos Aires, dove mi sono fermato una notte e ho dovuto cambiare aeroporto con conseguente nuovo check-in, ovviamente non ho sballato il borsone con la scritta Italia, per questo motivo ho dormito vestito in hotel e mi sono comprato uno spazzolino per i denti nuovo appena sbarcato a terra.
Arrivato a destinazione ho tagliato le striscette che lo tenevano unito e lui l’amico di tante avventure si è sciolto come neve al sole. La tasca laterale era un po’ che mi aveva abbandonato, il fondo era decisamente provato, ma tutto sommato manteneva il suo aspetto fiero non fosse altro per la grande avventura sportiva che aveva vissuto solo sette anni prima. Per dirla veramente tutta l’ho riempito ancora una volta visto che ho dovuto cambiare hotel, nell’illusione che forse mi ero confuso e che in realtà tutte le sue parti erano ancora integre ed efficienti. Mi sbagliavo anche se il vecchio borsone ha cercato di avere la sua ultima impennata d’orgoglio e mi ha condotto fino all’interno della nuova camera. Lì si è lasciato morire e lì lo lascerò portando però sempre con me un ricordo molto bello dei giorni trascorsi assieme. Mi sembrava giusto fargli conoscere il suo sostituto che ho appena acquistato su una bancarella nell’avenida Brasil per poco meno di trenta euro. Tutto nero, porta anche due rotelline su un lato per faticare meno nei tragitti tra i lunghi corridoi di aeroporti che non finiscono mai. Ha due barre di rinforzo nel fondo e ovviamente il tipo che me l’ha venduto mi ha assicurato che è di ottima qualità, tela grossa e zip a prova di bomba, importante è crederci!
Non facciamo un dramma però! Nella vita bisogna cambiare ed essere aperti sempre a nuove avventure, ricercare nuovi lidi con entusiasmo e passione. Non mi dimenticherò della mia vecchia valigia, non mi dimenticherò mai di tutte le cose che mi ha trasportato per il mondo, non dimenticherò mai il suo devoto contributo che ha contribuito a farmi vivere questa nuova e affascinante avventura.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 16 marzo 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #29 il: Marzo 19, 2011, 12:15:37 am *
Molti slalomisti si ostinano ad usare il palo come punto preciso di riferimento per eseguire manovre di rotazione o spostamenti specifici. In realtà non sempre i tracciati costringono l’atleta a tutto ciò, ma i meccanismi allenati in quel modo portano comunque a questo tipo di scelta. Dal mio punto di vista diventa un fattore limitante e sbrigativo: limitante perché troppo spesso ci si dimentica che si possono scegliere altre linee d’acqua per entrare nelle risalite oppure nelle porte in discesa: il palo, o la porta, diventa l’unico riferimento visivo dell’atleta creando dei limiti nella scelta di altre possibilità, senza considerare tutti i rischi che si assumono ruotando vicino o sul palo stesso.
E’ sbrigativo perché l’atleta nella sua analisi a secco non prende in considerazione bene i movimenti d’acqua che dovrebbero essere alla base di ogni spostamento sul tracciato.
Cosa si deve e cosa si può fare per far capire all’atleta di analizzare meglio l’acqua prima di prendere decisioni affrettate? Il primo consiglio che normalmente adotto è quello di proporre percorsi molto aperti che seguano l’acqua con il posizionamento del palo distante dal punto dove l’acqua è più vantaggiosa. In questo modo l’atleta non prenderà nemmeno in considerazione il riferimento visivo del palo, ma cercherà l’acqua veloce. Il secondo metodo che utilizzo è quello di costringere l’atleta, attraverso il posizionamento della porta precedente, ad utilizzare linee molto rette prima per arrivare in anticipo sul passaggio che mi interessa. Lo scopo rimane quello di cercare anche soluzioni lontano dalle porte che diventano in questo modo esclusivamente un passaggio obbligato niente di più. “De paso” si dice in portoghese di una porta posizionata in corrente e che si traduce bene con la parola transito che rende benissimo l’idea del concetto che vorrei esprimere. Myrian Jerusalmi, ora do per scontato che la conosciate tutti altrimenti chiedete a google.com, spiega bene il concetto dello slalom. In sostanza lei dice che è molto semplice basta seguire i numeri sopra le porte che ti dicono in che sequenza devi fare il tutto! Semplice no? Lo stesso concetto di quando guidate la macchina. Infatti i segnali sono posti diversi metri prima di quello che vogliono segnalare così successivamente vi trovate pronti a fare ciò che è indicato. Il tutto quindi con margine ed anticipo e non all’ultimo secondo rischiando di non fermarvi allo stop.
Mi sembra di avervi detto tutto in merito a questa idea che sto cercando di far percepire ai giovani atleti brasiliani e non inculcare. Ah! forse inculcare in questi giorni è un po’ inflazionato. E’ un po’ che sono fuori dall’amata Italia, ma le castronerie del nostro premier fanno il giro del mondo.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 18 marzo 2011