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Ettore Ivaldi

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L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* il: Gennaio 16, 2011, 02:03:15 pm *
Ahhh... finalmente seduto sull’Airbus A340 della Thai Airline, alla fila 41 poltrona J, in direzione Bangkok per proseguire poi per Sydney. Al mio fianco, sulla poltrona K, Zeno che in Australia si fermerà fino a giugno per allenarsi e per studiare. In Tailandia sosteremo per 4 giorni da  turisti, per recuperare la prima parte di viaggio e per assimilare meglio il jet-lag. L’obiettivo è arrivare a Sydney già pronti per iniziare una nuova avventura e la  stagione agonistica 2011 con una spinta in più e con tanta energia in corpo. Laggiù, sul canale olimpico di Penrith, troveremo tanti atleti per allenarci al meglio e per trovare spunti belli ed interessanti da raccontarvi e da condividere con tutti voi, nella speranza di fare cosa gradita. 

Ora è tutto così nella norma e così magico che sembra impossibile essere riusciti ancora una volta a superare al meglio alcune settimane di sconvolgimenti emozionali, di paure, di aspettative, di prove di coraggio per non tradire la  fede sportiva. Non è stato facile mettere la vera parola fine su una sicurezza lavorativa che però mi riservava solo la certezza di entrare in un meccanismo che ho sempre cercato di allontanare di evitare. Anche da queste esperienze però si impara a conoscere ancora di più le persone che ti circondano. Ti accorgi che spesso gli amici di vecchia data e di ex-fede canoistica non ti sono più vicini e che nulla fanno per cercare di riunire un passato che è dimenticato e sepolto, ma è ancora fonte di energia per me. Dall’altro lato ti sconvolge essere invitato a bere un tè da un collega di corso - tre cime di Lavaredo anno 1984 -  che sembrava non trasparire sentimenti, ma che, in realtà, con quel semplice gesto e una voce rotta dall’emozione, sa comunicarti energia e sincera stima... grazie Maurizio! Le delusioni più grandi arrivano da chi ha ruoli importanti all’interno delle  Amministrazioni dello Stato che certo non brillano per iniziativa ed idee, ma che viceversa cercano di pararsi al meglio le spalle con l’aggravante di lasciare nel grigiore Istituzioni che un tempo per me hanno rappresentato molto e che porterò comunque sempre nel cuore. Non si può pensare ad un mondo migliore o rinverdire i fasti del passato se davanti alle truppe non c’è un generale sul suo bianco cavallo e con la spada sguainata al cielo a dare l’esempio e a guidare fino alla morte i propri uomini per difendere sacrosanti ideali e la nostra storia. Costoro dovrebbero almeno avere il coraggio di guardare negli occhi i propri prodi e non nascondersi sotto la scrivania ad ogni squillo del telefono!

Delusioni dal nostro amato presidente federale che sui palchi delle premiazioni si spreca in lodi, parole e gloria,  ma che tuttavia contribuisce inesorabilmente alla caduta a picco del movimento sportivo italiano... e ora anche internazionale.

Per fortuna però che negli occhi di un ragazzino si vede una grande luce che sa illuminarci e darci coraggio.

Per fortuna però che una cena può essere ancora interrotta per ascoltare una canzone suonata con una chitarra che non ci si fida a lasciare in macchina perché è troppo preziosa, perché è troppo importante, perché rappresenta un sogno.

Per fortuna  però che le parole scritte su una e-mail hanno la forza dirompente di mille vulcani in eruzione e ti fanno capire che alla speranza e ai sogni non bisogna mettere mai freno, perché solo così ti rendi conto che non è mai tardi per vivere veramente. Seguire i sogni sempre, perché sono loro che ti indicano la strada da prendere, vero Luca?

Per fortuna però che veri amici, accompagnati da donne che hanno una spinta in più, sanno riequilibrarti per testimoniare con una semplice cena  che non sei mai solo nella tua corsa verso lidi infiniti e che forse qualcuno ancora ci crede. Siamo sulla tua stessa onda e, se pur a chilometri di distanza, cavalchiamo uniti e sempre con orgoglio. 

Per fortuna però che anche oltre gli anta si possano provare gioie nello scoprire nuovi confini informatici. La testa rischia un sovrariscaldamento, ma il corpo ne trarrà giovamento sconvolgendo i nostri dirimpettai, famigliari, amici.

Per fortuna però che ancora una volta lo sport ha fatto un miracolo con persone che oggi sembrano apparentemente lontano anni luce, ma che  vedi sorridere e gioire al ricordo di aver idealmente condiviso, più di 40 anni fa, la medaglia d’oro di Klaus Di Biasi restando appollaiati a 10 metri di altezza in una Monaco sconvolta dagli attacchi terroristici dei fedain. E’ quella l’energia giusta per realizzare - mi creda architetto - grandi progetti ed esserne nello stesso tempo protagonisti!

Per fortuna però che c’è l’amore delle nonne che con le loro spalle larghe e la loro esperienza sono querce nel nostro cammino.

Per fortuna però che c’è un angelo biondo nella mia vita che è sempre con me, che mi sorride, che mi rincuora, che è al mio fianco anche nelle decisioni meno romantiche, che mi consola e mi stimola. Per fortuna però che c’è quel sorriso, quegli occhi marini, quelle lacrime salate che comunque fanno parte di un immenso e meraviglioso sogno! Chiudo gli occhi e aspetto solo il tuo... sei, sette, otto...  poi ti porto nel vortice di una musica che ormai mi appartiene, che ormai fa parte di noi che è noi e che ci fa muovere e unire sempre di più.



... in air 15 Gennaio 2011

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi 

enrico lazzarotto

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #1 il: Gennaio 17, 2011, 12:51:57 am *
Caro Ettore, mi manchi di già.
Devo dire che 6 un uomo molto coraggioso, e x questo stimo te e tutta la tua famiglia, in bocca al lupo
enricolazz

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #2 il: Gennaio 18, 2011, 02:14:29 pm *
* Ultima modifica: Gennaio 18, 2011, 02:17:36 pm da Ettore Ivaldi *
Caro Enrico solo il sommo poeta
ti può rispondere e giustificar l’impresa

...
«S'i' ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell'ombra,
«l'anima tua è da viltade offesa;
la qual molte fïate l'omo ingombra
sì che d'onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand'ombra.
..."

Inferno  - Canto II


Non so se capita anche a voi, ma durante questi lunghi periodi di transizione da una stagione di gare all’altra mi sorgono sempre grandi interrogativi dettati dalla voglia di proporre agli atleti stimoli nuovi e se possibile innovativi. Allora via con evidenziatori e post-it che colorano sempre di più i miei testi sacri che trovano sempre posto in qualche angolo della valigia. Cerco di mettermi nella testa degli atleti per capire che cosa può stimolarli sempre di più e per tirare fuori tutto quello che hanno dentro e che magari faticano ad esprimere per mille motivi diversi. Forse questo stato d’animo l’ho ereditato da un passato di atleta senza punti di riferimento precisi. Una carriera agonistica che ha avuto sempre la necessità di organizzarsi autonomamente visto che certo non avevamo allenatori in grado di seguirci e guidarci. Punto fisso però è sempre stata la massima apertura a nazioni e a personaggi che hanno reso grande la canoa. Negli anni ho avuto la fortuna di conoscere a fondo campioni olimpici, mondiali e atleti di altissimo livello, ma soprattutto ho avuto il piacere di capire che cosa c’è stato dietro a queste grandi e belle realtà. Ora a distanza di moltissimi anni si possono forse tirare delle conclusioni e fare similitudini su situazioni che nel corso del tempo si sono evolute ma che, come ripeto, hanno molto in comune.
Mi ha fatto specie poche settimane fa’ vedere atleti che utilizzano ancora il lavoro del “Blaho” in palestra... quanti ricordi e quanta fatica e sudore collego a questo gesto così astruso e per certi versi assurdo.  Ma la domanda mi sorge spontanea: servirà mettere tutta questa energia in questi lavori se poi ti rendi conto che a livello tecnico ci sono forti carenze nel gesto della pagaiata e dello scorrimento della canoa? Non sarebbe meglio dedicare molto più spazio alla ricerca e all’analisi di soluzioni in questa direzione? Oppure, non  è forse troppo facile liquidare la scelta di questo lavoro solo per il fatto che Marco Previde Massara ne aveva  fatto una sorta di bandiera per i suoi successi negli anni ’80? Dimentichiamo forse che il campione delle acque del Ticino era un raffinato scivolatore e un artista dell’onda?
Leggendo e rileggendo i “testi sacri”  e confrontandoli poi con l’evoluzione che c’è stata in questo ultimo decennio grazie alla facilità di comunicazione attraverso la rete,  mi chiedevo che senso può avere un lavoro mirato alla potenza aerobica, con lo scopo finale di migliorare la soglia anaerobica, nei ragazzini o ragazzine che viceversa non hanno chiaro il concetto di come impostare una risalita o come risolvere situazioni ambigue di porte sfasate!
La mia più grande paura, in questi casi, è allenare un gesto sbagliato ed inutile. Anzi nelle peggiori delle ipotesi può diventare anche elemento di disturbo visto che il nostro corpo, per lo spirito della sopravvivenza della specie umana,  ricerca sempre il minor dispendio di energie nell’esecuzione di un gesto che purtroppo non coincide sempre con il massimo rendimento dello stesso. Sconvolgendo molte volte anche gli aspetti biomeccanici.
Il problema nasce però da chi cammina sulla riva a guidare i giovani e cioè da noi allenatori.  Siamo consapevoli della responsabilità che ci accolliamo nel momento in cui andiamo a proporre certi tipi di lavori e certi suggerimenti tecnici sulla crescita psico-fisica del nostro soggetto?

Credo di non dire nulla di nuovo nell’affermare che i vivai sono la linfa vitale per tutte le federazioni. Credo di non dire nulla di nuovo neppure se aggiungo che per fare ciò ci vuole personale preparato, con esperienza e con idee.  Guardando i programmi federali sia per lo slalom che per la canoa da velocità balza agli occhi di tutti la pochissima attività proposta a livello giovanile e in moltissimi casi viene affidata a pseudo tecnici, questo per il settore fluviale visto che responsabile della velocità a livello giovanile è un certo Beniamino Bonomi che dopo i giochi olimpici di Atene, se non sbaglio, ha iniziato a seguire i giovani del club e si sta formando come allenatore, ma l'amico di penna Frankguglielmi ci saprà illuminare meglio. Posso solo aggiungere che mi è piaciuta un'uscita di Bebo in televisione con Simona Ventura che alla domanda di chi voterebbe come atleta dell’anno,  non ha avuto dubbi e ha risposto tranquillamente la sua giovanissima atleta che ha esordito nel 2010 in nazionale con ottimi risultati vista l'età...questo è vero amore per il proprio lavoro.  

Ora io sono dell’avviso che nelle scuole materne ed elementari ci dovrebbe essere personale altamente qualificato, preparato e ben pagato, perché è qui che si forma il giovane. Per fare un banalissimo esempio sportivo possiamo tranquillamente dire che a Super Cali non serve un genio per seguirlo, ma, viceversa, al giovanissimo Paolo Ceccon serve un allenatore preparato, con esperienza, passione e soprattutto costanza.

D’altro canto mi fa un immenso piacere sapere che comunque altrove si sta ricercando nuove soluzioni e ci si applica per tentare di studiare il gesto dello slalom sotto aspetti magari ancora inediti. Così come sta facendo Guille Diez Canedo che in vista della tesi di laurea di scienze motorie a Lleida in Spagna sta cercando di misurare l’accelerazione del colpo su un percorso di slalom. Questo implica una serie di valutazioni legate a tutto ciò che concorre all’accelerazione stessa come ad esempio l’attrito della canoa sull’acqua, la forza dell’acqua, la resistenza all’aria, la forza di spostamento impressa nel moto e un altro milione di varianti. Ovviamente, come tutti gli studi, si cercherà  di ipotizzare l’accelerazione in un caso ben specifico e con la consapevolezza dell’esistenza di un margine d’errore elevato, ma nel tentativo comunque di approfondire piano piano questo argomento. Vi terrò aggiornati.


... volando si ha il tempo per concretizzare i pensieri e condividerli!

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #3 il: Gennaio 21, 2011, 01:35:49 am *
Ma lo sapevate che il cocco è come il maiale per noi? Nel senso che non si butta via nulla e tutto si recupera. L’ho imparato in Tailandia durante l’escursione al mercato sull’acqua  paradiso per la mia 40D e per la Go-Pro di Zeno. Brave persone i tailandesi che solo a Bangkok e provincia sono più di 16 milioni. Vi dicevo del cocco: non si butta via nulla, con i filamenti della buccia si fanno i materassi, con i semi le creme per il sole, la polpa si mangia e il latte lo si beve, il resto si brucia per  alimentare i vari processi di lavorazione. Non male quindi per l’agricoltura che è ricca ovviamente anche di tanta altra frutta squisita come papaia, ananas, banane, frutto della passione e  altri piccoli frutti dai nomi e dalle forme inverosimili.
Bangkok è una città dal traffico impossibile, dagli scooter con 3 o 4 persone a bordo, dai templi buddisti in ogni dove, dai ristoranti di lusso al cibo in ogni angolo della città. Bangkok vale la pena visitarla una volta nella vita, tanto più se siete di passaggio per qualche altra meta ed obiettivo.
Ma niente mi emoziona come tornare a lavorare sul canale di Penrith tanto più con un atleta che… ho visto nascere (e non solo) e che ho la fortuna di seguire pagaiata dopo pagaiata. Le prime discese  sull’acqua olimpica sono sempre molto emozionanti e stampano il sorriso in faccia. Poi la punta di  razionalità che vive in noi ti fa pensare e meditare  su quello che ti aspetta:  un lungo cammino per vivere un sogno. Infinite ore a pagaiare tra un’onda e un ricciolo, tra una risalita e una serie di porte sfasate, tra corti recuperi e lunghe prove cronometrate, tra visualizzazioni di percorsi ideali e concreta realtà.
Qui ad allenarsi c’è metà del mondo e l’altra metà arriverà presto e da queste prime presenze si capisce che la voglia di far bene è nel cuore di tanti atleti pronti a faticare e a lottare ad ogni colpo in acqua.
Il primo vero benvenuto  a Penrith però ci è stato dato da Ella che, a distanza di un anno, non ha avuto dubbi sulla nostra identità. Ci ha prima annusato, poi squadrato da testa ai piedi, poi le si sono illuminati gli occhi, ha preso fiato, ha iniziato a scodinzolare e alla fine ci è saltata in braccio slinguazzandoci ovunque. Non pensavamo ci riconoscesse subito e con tutta questa energia, anche se, per la verità, lo scorso anno, quando è arrivata in casa, era veramente piccola piccola e per più di tre mesi l’abbiamo accudita come si fa con un bambino appena nato. Siamo stati noi ad insegnarle a mettersi a sedere prima di mangiare, siamo stati noi a farle capire che in casa non si fa la pipì ma il luogo perfetto per lei è il giardino e siamo sempre stati noi a farle compagnia quando Mark era al lavoro in quel difficile momento della sua crescita. Oggi è una signora cagna di mezza altezza, robusta e scattante, ma, allo stesso tempo, molto meno vivace di un anno fa... Resta comunque sempre attratta dal nostro cibo che sembra adorare. Beh qualche cosa cucinerò anche per te carissima Ella. Magari dopo aver fatto il brodo ti lascio gli “ossi di brontosauro” che trovo solo da queste parti: e la commessa del supermarket   mi sorride ogni volta che mi vede acquistarne uno, convinta più  che mai che la cagnetta che ho a casa si faccia una gran festa, senza sapere però che prima lo userò io! Non dite niente neppure a Mark che l’alimenta solo a crocchette che acquista a sacchi da 50 chili e che non capisce dove Ella riesca a recuperare questi magici ossi... forse scavando nel terreno del vicino? Mah!

Ok mi sono dilungato troppo e anche per oggi è tempo di andare a nanna alla prossima


Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 20 gennaio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #4 il: Gennaio 23, 2011, 08:17:56 am *
Ci sono cinque generazioni e 27 anni di differenza fra il vecchio e saggio David Ford, campione del mondo nel 1999 a Seu d’Urgell e argento nel 2003 ad Augsburg, e il giovane e abile Zeno Ivaldi, bronzo ai mondiali junior 2010 e campione europeo a squadre nel 2009, eppure in acqua, questa mattina, hanno lavorato assieme in una bella ed interessante sessione tecnica. Il canadese quest’anno a marzo vedrà la sua 44esima primavera, mentre per l’italiano di primavere non ne sono passate ancora 17. Il primo pagaia con la canoa Sonic, l’ultima uscita dalla produzione di Galasport, il secondo, dopo diverse prove ed esperimenti, non ha dubbi e rimane sulla Kapsl di Vajda. David è meticoloso e molto attento ai particolari, Zeno è più impulsivo e sensibile sull’acqua. Tra i due ci sono diversi centimetri di differenza nei bicipiti e nella pala... ovviamente a favore dell'atleta della foglia d’acero. Zeno riguardando il video dell’allenamento ha sorriso nel vedere il modo con cui il suo compagno di allenamento di oggi imposta qualche risalita: “ehi papi ma era proprio strano come facevate le risalite un tempo, un giro lunghissimo rispetto ad oggi!” Ebbene sì, un altro modo di portare la canoa: ricerca di fluidità all’interno delle morte e una posizione del corpo molto avanzata; certo la centralità di oggi sarebbe sembrata una cosa strana e poco redditizia. Con David ho avuto modo, durante l’allenamento, di commentare la sua voglia di adeguarsi e il suggerimento che mi sono sentito da dargli è stato quello di tagliare sì il palo in entrata ma cercare nello stesso tempo una dinamicità in fase di rotazione. Quella dinamicità che fa la differenza tra un atleta e l’altro. Ma David, non fosse altro per la sua lunga esperienza, mi ha risposto: “Normaly it's not my style and for me it's not easy to do it”.
In effetti il modo di andare di oggi è lontano anni luce dallo stile che per anni ha fatto storia e David Ford ha praticamente vissuto sulla sua pelle tutti questi passaggi. Quel cercare a volte quella posizione avanzata per mantenere il più possibile contatto con l’acqua al fine di far correre la canoa anche a costo di fare giri molto più lunghi sa di antico. Vedendo oggi i più giovani in acqua ci si rende conto che se si perde dinamicità si fa poca strada e seguendo questa mattina l’allenamento dei due atleti di mille generazioni diverse ci si rende perfettamente conto che la differenza sta proprio in questo. Ford dalla sua può metterci strategia, intelligenza tattica, esperienza e un fisico possente e nello stesso tempo resistente, ma non può far granché per migliorare agilità e destrezza. Elementi che al di là di tutto sono innati e che si coltivano e si sviluppano solo in giovanissima età. Ecco perché ci tengo a sottolineare che, secondo me, dall’allievo fino ai primi anni senior bisogna dare ampio spazio e privilegiare i lavori di velocità su percorsi corti e su tracciati impegnativi. Come si potrebbe altrimenti acquisire ed allenare tecniche che comportano comunque un grosso dispendio di energie con lavori troppo lunghi?
E’ impressionate pure nei senior di alto livello notare la differenza tecnica quando sono sul canale a fare lavori di loops e lavori tecnici su poche porte. Nel primo caso molte risalite sono fatte con il chiaro obiettivo di portare a termine il lavoro da fare, viceversa l’approccio mentale nel secondo caso è totalmente diverso, molto allenante al fine dell’obiettivo principale e cioè una gara che può variare dagli 85 ai 100 secondi. Questo ricordiamocelo bene perché altrimenti incorriamo in un errore che noi vecchi abbiamo fatto spesso e volentieri e cioè allenarci duramente per sopportare carichi di lavoro sempre più massacranti dimenticandoci che la gara ha tempi decisamente diversi e con tempi di recupero assai lunghi tra una manche e l’altra. Ron Lugbill ci diceva spesso: “ma voi vi allenate per allenarvi o vi allenate per gareggiare?”

Finita la sessione tecnica con David e Zeno mi sono fermato sulla riva a guardare l’allenamento dell’ora dopo. In acqua, fra gli altri, Fabien Lefevre, Peter Kauzer e Daniele Molmenti. Il francese è qui a Penrith dai primi di dicembre, sembra che in Australia voglia trasferirsi una volta finita la carriera sportiva. La moglie, una ex-fotomodella aprira' un negozio di modo e il piccolo crescera' tra i canguri. Lo sloveno si ferma sei settimane, anche lui qui in compagnia della fidanzata devota alla causa e spesso e volentieri con il video in mano. L’italiano è partito dall’amata Patria il 13 gennaio e dovrebbe tornare per metà marzo per andare quasi direttamente ad Atene, anche lui in dolce compagnia. Beh di loro avrò modo di parlarvi a lungo nel prossimo futuro visto che gli spunti e le curiosità non mancheranno certamente.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

... Penrith, 23 gennaio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #5 il: Gennaio 26, 2011, 11:54:14 am *
Sono giorni di relativa calma al canale di Penrith. In acqua non ci sono tantissimi atleti e i turni per il momento sono solo quattro al giorno con poco più o poco meno di 20 atleti per ora. Si inizia alle 8.30 con il primo, poi si prosegue nel pomeriggio dalle 15,15. Due alla mattina e due al pomeriggio. Gli argomenti di discussione sono  principalmente due: il tempo e il tennis. Preoccupazione per il primo visto che sono previsti forti rovesci e gran caldo nel prossimo futuro; come la cosa possa coesistere solo Gesù lo sa’, certo è che fra le 12 e le 16 è meglio starsene rintanati in casa con i ventilatori accesi e con il cocomero fresco sul tavolo per non farsi sopraffare  da crisi ipoglicemiche! Sulla ”7Sport” intanto danno 24 ore al giorno tennis tanto più ora che l’attenzione di questo sport è tutta concentrata a Melbourne per gli Australian Open.

Ora guardano fenomeni del calibro di Federer e Nadal mi viene spontaneo farmi delle domande e chiedermi come si possa arrivare a certi livelli e restarci così a lungo. Dove si trova la motivazione, cosa bisogna fare del vecchio? tenere o cambiare? Le stesse domande che mi pongo quando in acqua vedo girare in maniera quasi forsennata Molmenti (2010), Kauzer (2009) e Lefevre (2002 e 2003). I tre campioni del mondo del kayak maschile (tra parentesi gli anni in cui hanno vinto la prova iridata)  non hanno un allenatore che li segua costantemente; certo dei riferimenti precisi i tre li trovano rispettivamente in Pierpaolo Ferrazzi; Peter Kauzer (è il padre-allenatore che si chiama come il figlio-atleta... che fantasia sti’ sloveni)  e in Chauten per il transalpino. In sostanza sono qui da soli e si arrangiano più o meno in tutto e per tutto. Si prenotano i voli, noleggiano le auto, si trovano dove alloggiare, fanno la spesa, cucinano tre volte al giorno, prenotano le ore di acqua, si programmano l’allenamento, si danno da fare per avere qualche ripresa video, si analizzano, si studiano e pensano al domani.

Il più polivalente e fantasioso è sicuramente il francese che alterna allenamenti in C1 e in K1 in attesa che ritorni qui il suo compagno di barca - Denis Gaurgaud - attualmente in New Zeland per la gara di questo fine settimana che, dalle informazioni che ho, sarà  particolarmente partecipata. In kappa Lefevre usa la Kapsl II, l’evoluzione del modello precedente che, come sempre, “è più veloce e gira meglio”! Il buon Fabien alterna lavori di resistenza girando sul canale,  con lavori tecnici particolarmente corti e magari concentrandosi per i tre quarti dell’ora in un solo punto. Sembra divertirsi parecchio nella “main wave” - un buco che taglia in due il canale olimpico circa a metà percorso che forma un’onda piuttosto alta con giri d’acqua molto interessanti. Non scende praticamente mai dalla canoa durante la sessione e preferisce arrivare in fondo al canale e ritornare nello stesso punto con il nastro trasportatore. L’ho visto poi nei lavori di resistenza prediligere percorsi non particolarmente difficili, ma eseguire le risalite con la rapidità che lo contraddistingue. Cosa che ho notato anche nello scozzese Campbell Walsh: evidentemente il passare degli anni influisce proprio su questa fondamentale qualità. L’argento olimpico di Atene 2004 e campione d’Europa 2008 sta pagaiando su una canoa Nelo che è molto dinamica e che in teoria dovrebbe facilitarlo in questa azione.  Per la verità, tornando a Fabien, e se volessimo analizzare fino in fondo lo stato attuale del bianco di Francia, non si può non notare un certo calo proprio nella velocità di rotazione in uscita dalle risalite. Quella cioè che era la sua arma migliore. La passata stagione per lui in K1 non è stata una delle migliori visto che non è entrato in nessuna finale di coppa, mondiali o europei. Eppure in ogni gara ha sempre disputato delle ottime prove di qualifica, perdendosi poi nelle semifinali. Forse il doppio impegno, K1 e C2, anche per un campione del suo calibro, costa troppo? Oppure ha spostato la sua attenzione proprio nella specialità di coppia dove l’anno scorso ha messo al collo un argento prezioso ai mondiali di Tacen? Forse è convinto che sia più agevole e facile in C2 conquistare un oro ai giochi olimpici... unico metallo a cinque cerchi che gli manca nel suo palmares? Probabilmente lo stesso interessato non è in grado di rispondere a queste domande certo è che la sua appare tanto una sorta di “mission impossible”!

A chi certo non manca brillantezza e cambio di ritmo è lo sloveno Peter Kauzer. La sua  è una sorta di ossessione cercare in ogni risalita il contatto ravvicinato con il palo interno. Anche per lui solitamente lavori di resistenza alla mattina e della sana tecnica al pomeriggio in compagnia dell’inseparabile compagno Janos Peterlin. I due dalla riva sono seguiti dalla fidanza dell’estroso Pero (soprannome di Peter Kauzer che si porta dietro da sempre) che con una sorta di macchinetta fotografica tenta qualche ripresa... mi posso immaginare la qualità del video! Lo sloveno quest’anno si è cinto la testa della corona continentale e ha lasciato quella iridata al potente Molmenti.

Ah di lui vi parlerò un’altra volta ora c’è Nadal  vs Ferrer numero 1 e numero 7 non posso perderli, magari mi danno lo spunto per qualche pensiero tecnico notturno!

... alla prossima e Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 26 gennaio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #6 il: Gennaio 29, 2011, 10:01:00 am *
Quando non ci sei non ci sei! Il colpo era fiacco, la prevedibilità del gioco scontata, le gambe incollate al blu cemento di una Melburne che si era fermata in silenzio per seguire le gesta di un giocatore che, a soli 24 anni, è entrato nella storia del tennis e che è in grado di regalarci imprese epiche. Eppure anche il grande Nadal ha dovuto soccombere ad una giornata no, complice forse, un’influenza combattuta fino a pochi giorni prima dell’inizio del torneo australiano che gli ha fatto perdere diversi chili. Uno sguardo perso nel vuoto e gli occhi al cielo sono stati i segnali premonitori di una partita persa senza combattere e con l’unica sfida di restare in campo per onorare l’avversario-amico-conterraneo Ferrer. “Non so cosa mi sia successo” le parole del mancino iberico nel dopo partita “so solo - continua - che devo mettermi al lavoro subito non ho tempo da perdere”. Ecco la vera religione di Rafael: l’allenamento, la concentrazione su un obiettivo per non perdere mai contatto con la realtà. Testimonianza di una professionalità unica e sincera. Ed è proprio da queste parole che si capisce il senso e la filosofia dello sport. Infatti il risultato sportivo è talmente effimero che si concentra solo in un preciso istante: quell’istante. In un determinato e preciso spazio. Quando gioco a scala quaranta con Raffy e un giocatore di noi chiude, lui non vuole finire il gioco e spesso e volentieri, con una serie di manovre veloci ed istintive, blocca tutti con la frase “no un attimo perché avrei chiuso io la mano... ecco vedete: pesco questa, attacco l’altra, faccio un tris, metto un jolly, scarto e ...vinto!” Sì ma di vincere forse potremmo essere capaci un po’ tutti, il difficile è farlo quando serve, quando lo si dovrebbe fare. Metterlo in pratica prima che altri lo facciano! In quel preciso momento né prima né dopo. Questa riflessione nasce dal fatto di vedere tanti ottimi e bravi atleti pagaiare sul canale di Penrith, ma solo alcuni di loro vinceranno con una certa costanza. Eppure, scartandone veramente pochi, tanti sono bravi, tanti su alcune risalite volano, tanti fisicamente sono preparati... eppure solo in pochi arrivano ad imporre stile, eleganze e vittorie. C’è sicuramente qualcosa di innato - maggior abilità motoria, predisposizione fisica e motivazione - ma anche questo talento, che magari si può avere, va coltivato, sviluppato, migliorato.
Con il mio maestro di tango, il grande Fenzi - beh per la verità lui è anche un insegnante di educazione fisica e ha allenato per molti anni squadre di pallavolo e pallamano - facevamo una riflessione tecnica che porta a dire che ognuno alla fine ha un proprio stile, magari influenzato da diversi fattori, ma che dovrebbe essere l’espressione di ciò che si sente dentro e che si vuole esprimere. Non è forse così per l’arte? Bene la vita è un’espressione artistica, anche lo sport o il ballo sono mezzi per cercare di esprimere l’energia che ognuno porta con sé. Per poterlo fare però bisogna superare un grande inghippo! Bisogna essere capaci di ascoltarci e di lasciar libero il nostro corpo e la nostra mente di parlare di esprimersi. Solo allora possiamo veramente capire la nostra vocazione e realizzare ciò per cui siamo nati.
Scusate, ma quando lascio libere le mani di battere sulla bianca tastiera del Mac succede quello che avete letto sopra... che sia un’espressione di quello che c’è dentro di me?

Nel frattempo, alla comitiva internazionale di atleti in raduno in Australia, si sono aggiunti anche i tedeschi Sebastian Schubert e Jasmin Schornberg, loro mi danno la possibilità di fare un’altra riflessione, che però si concretizzerà nero su bianco solo domani!

Ora devo andare a giocare a calcio, grande incontro al Cambrige Park Courte! Vi relazionerò anche su questo e poi la semifinale Ferrer vs Murray... di questo ci penseranno i giornali ad aggiornarvi o se andate su Sky Sport potete seguire il commento di due grandi esperti come Rino Tommasi e Gianni Clerici, quest'ultimo poeta e grande letterato della pallina gialla!

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 28 gennaio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #7 il: Febbraio 02, 2011, 04:08:13 am *
Non c’è nulla di più gustoso di una fetta di anguria fresca finito allenamento a 40 gradi e oltre! Il caldo si fa sentire anche per chi pagaia tra onde e riccioli in un canale che si sta animando giorno dopo giorno. E’ arrivata sua eccellenza il vescovo, con un profilo importante, con un portamento elegante e con tanta energia in corpo a due anni dai giochi olimpici attesi come una sorta di “Riscossa 2”. Lui ovviamente è Tony Estanguet che, con Emily Fer e il tecnico Curinier, Sylvain, è arrivato domenica scorsa: si fermeranno per oltre un mesetto a curare tecnica e fisico. Dopo due giorni scende ancora con la manica corta, ma non ci impiegherà molto a gettare alle ortiche giacchette e magliette per pagaiare "a braccio" come direbbe il buon Bacò! Gli italiani in raduno, nel frattempo, sono arrivati alla loro ultima settimana e domenica rientreranno a casa dopo la garetta organizzata dal canoa club locale con tanto di grigliata finale. Dicevo gli azzurri in raduno tornano, ma non certo Daniele Molmenti che si fermerà qui per tutto il mese di febbraio. Lui il pagaiatore solitario, lui che alla mattina arriva in dolce compagnia quasi sempre per il secondo turno ed inizia a girare come un criceto sulla ruota. Che faccia loops o percorsi divisi non si nota troppo la differenza: la velocità e il modo in cui affronta le risalite è sempre aggressivo al punto giusto. L’importante è macinare porte su porte in acqua mossa e non perdere tempo con test sull’acqua piatta che lasciano il tempo che trovano. Super Cali si divide tra palestra e canoa sul canale riservando alla domenica il giusto recupero magari con un tuffo al mare o con un barbeque tra amici.
Ma veniamo al punto che vi anticipavo pochi giorni fa. Ho notato che ormai gli atleti di vertice, ma non solo, si stanno unificando al modello slovacco che sarebbe praticamente un lavoro mirato ad personam. L’unica differenza è forse il seguito tecnico. Prediamo ad esempio i tedeschi Jasmin Schornberg e Sebastian Shubert. Li conoscete tutti vero, non serve dirvi che lei ha vinto i mondiali nel 2009 e non ha ancora 25 anni, mentre Schubert nel 2010 ha vinto l’europeo U23 in K1!? Sembra strano infatti vedere i due teutonici allenarsi senza il seguito di allenatori, fisio e medici che seguono regolarmente la squadra tedesca; anche i tedeschi hanno cambiato le coordinate lasciando liberi gli atleti di seguire la strada che meglio credono offrendo loro libertà ed euro fino alle selezioni di fine marzo. Così i due giovanotti non hanno perso tempo e, preso il primo volo libero, e si sono imbarcati per venire a Penrith ad allenarsi. La stessa cosa si può dire per Peter Kauzer, anche lui qui a pagaiare sul canale in compagnia del fidato sparring-partner Jano Peterlin. Lefevre in Australia ha trovato casa e, tecnico o non tecnico, squadra o non squadra, macina ore sull’acqua seduto o inginocchiato. Tanto vale ovviamente per il suo compagno Dennis Gargau che, approfittando però delle gare in Nuova Zelanda , è scappato per una pausa dal suo compare. Lì tra i kiwi si è imposto alla grande in C1 tanto da far tremare anche i K1 visto che in qualifica ha fatto registrare il miglior tempo assoluto. Per dover di cronaca devo però aggiungere che anche Fabien Lefevre avrebbe dovuto raggiungere il compagno di barca, ma... ha perso l’aereo poiché è rimasto bloccato sulla M4 diverse ore per un incidente.
David Ford, John Hastin, Benoit e Nicholas Peschier, Violetta ed Helmut Oblinger, Maurice Nevau, Robert Bouten, Pierre Bourliau sono sulla stessa barca... anche loro a pagaiare su questo canale senza tecnici, ma decisi a far un gran bene in vista della qualifica olimpica di Bratislava il prossimo settembre.
Quindi possiamo tranquillamente dire che la strada aperta da Martikan e compagni sta facendo scuola anche se gli slovacchi, dal mio punto di vista, andranno alla grande fino a quando i mostri sacri pagaiaeranno, ma poi, inevitabilmente, ci sarà una catastrofe generazionale, visto che si è creato un vero buco alle loro spalle, ma di questo magari ne parliamo un’altra volta. Volevo concludere l’osservazione di oggi facendo notare che la vita è fatta di corsi e ricorsi storici. Infatti già a partire dal 1984 gruppi di atleti, notate atleti e non squadre nazionali, si accordavano per organizzare dei training camp comuni. Il primo a cui partecipai come atleta fu appunto in quell’anno a Kernville - California, presenti, oltre ai tre italiani (Renato De Monti, Paolo Benciolini e il sottoscritto), la britannica che noi avevamo soprannominato “The Queen” Elisabeth Sherman con la sua connazionale Allan Gaill, oltre ovviamente a mostri sacri del tempo come Jon Lugbill, David Hearn, Kent Ford, Cathy Hearn, Dana Chadlek, Thierry Humeau e tanti altri. Poi, dopo il via negli Stati Uniti, iniziò l’era del Costa Rica sul fiume Reventazon. Bei ricordi e tante ore passate a pagaiare in compagnia di chi condivideva un sogno.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 2 febbraio 2011

Skillo

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #8 il: Febbraio 02, 2011, 09:24:53 am *
Caro Ettore, siamo tutti qui. Noi ex, noi amici. Noi.
Ti leggiamo sempre, ti seguiamo e ci godiamo ogni lettera, ogni frase, ogni parola che pubblichi. La passione arde forte anche se a volte la cenere, che la vita ed altri impegni emettono inesorabilmente, tendono a coprirla e spegnerla.
Sono proprio certe tue mail e queste pagine di CKI a mantenerla viva, a far sì che essa continui ad ardere.
Avrei mille parole e cento commenti ma me li tengo per me nel rispetto verso chi fa, verso chi opera fattivamente ed è rimasto nell'ambiente che molti di noi hanno dovuto abbandonare perché la vita è andata in direzione diversa.
Il nostro cuore di canoisti è comunque con te e batte più forte quando legge le tue cronache.
Un abbraccio.

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #9 il: Febbraio 04, 2011, 11:10:56 pm *
dedicato al mitico Skillo le stupende parole di una grandissima donna - Madre Teresa di Calcutta

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.

Però ciò che é importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un`altra delusione.

Fino a quando sei vivo, sentiti vivo.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.

Non lasciare che si arruginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Pero` non trattenerti mai!


Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #10 il: Febbraio 05, 2011, 12:23:54 pm *
L’erba si sta ingiallendo al Penrith Wildwater Center, il sole cocente non dà tregua. Chi gestisce il tutto fatica a stare al passo per cercare di irrigare adeguatamente il tappeto verde preso d’assalto da noi allenatori che maciniamo ogni giorno chilometri per seguire i nostri atleti. Se il prato hai i suoi problemi per sopravvivere anche lo scozzese Walsh non scherza di certo! Sembra un’anima in pena e non riesce a decidersi che barca usare. Si alterna con la Nelo e con una canoa che della Kapsl porta solo il nome perché è stata tagliata, stretta, allungata, modificata e chissà cos’altro ancora. Oggi si è fermato a lungo sotto la “Maine wave” a fare una serie di combinazione di risalite, destra-sinistra e ancora destra, ma vedendo la sua azione e le espressioni del viso non convinceva molto e non mi sembrava molto soddisfatto neppure lui. Il povero allenatore  Shaun Pearce ad un certo punto, disperato, si è immerso nell’acqua nascosto dietro ad un ostacolo: unica cosa positiva che è riuscito a fare è stata quella di rinfrescarsi! Chissà cosa avrà pensato il campione del mondo di vent’anni fa nel riprendere un Walsh che ultimamente non riesce ad azzeccare grandi gare e che sembra essere caduto in depressione. Cos’è rimasto di quel kappa uno che ha saputo buttare giù dal carro quel gran pagaiatore che risponde al nome di Paul Ratcliffe?  Magari domani scambio due parole con Pearce e vediamo che cosa mi dirà. Ma nel frattempo vi racconto questa sugli allenatori inglesi: pensate che praticamente ogni mattina prima che arrivi l’acqua scendono a piedi nel budello di cemento e perlustrano tutti i buchi che servono per fissare i vari ostacoli. Ci infilano il braccio dentro e rumando-rumando (si capisce o è solo dialetto veronese?) sul fondo pescano un po’ di tutto: monetine, anellini, braccialetti. La cosa li rende molto felici,  evidentemente lo spirito dei loro avi deve aver lasciato il segno.

Se Walsh impazzisce a forza di confrontare canoe diverse, poco più a monte mi divertito proponendo a Hradilek, Ford e Zeno una serie di combinazioni interessanti: discesa, passaggio a sinistra  di un palo posto su un lato di un buco, successiva risalita a destra e poi ancora una risalita a  sinistra. In buona sostanza bisognava usare il buco per fermare la velocità e per farsi trasportare dentro la risalita. La cosa, a primo acchito, sembrava una banalità, ma in realtà si è dimostrata essere una manovra molto interessante. L’arcano di tutto, dopo svariati tentativi e prove, è avere il corpo perfettamente bilanciato al centro della canoa. Infatti l’errore iniziale comune era quello di caricare la coda andando a ruotare la canoa con il colpo largo a sinistra. La soluzione vincente si è dimostra invece essere quella di anticipare la rotazione con un Duffek a destra che poi veniva mantenuto in acqua per dosare il bilanciamento della canoa nel momento in cui si entrava inevitabilmente nel buco. A questo punto l’aggancio alto si trasforma in pagaiata propulsiva per entrare nella risalita a destra. Al gruppetto dei tre moschiettieri ad un certo punto si è unito anche l’estroso Peter Kauzer. Il baldanzoso fenomeno sloveno non ha esitato ad interpretare nel modo più corretto la combinazione proposta. Nel campione europeo 2010  impressiona la capacità di dirigere a suo piacimento la canoa anche in situazioni molto estreme. L’altra sua grande caratteristica è quella di trovare soluzioni tecniche in tempi rapidissimi.
La sessione di allenamento è poi finita alla “Maine Wave” per una sfida tra i quattro su una combinazione risalita a sinistra e risalita a destra. Quest’ultima  poco più in basso sul lato opposto. La difficoltà stava nel riuscire a superare un’onda turacciolo che si spacca giusto a metà e lascia poche vie di scampo per penetrarla. Anche qui si è capito che la soluzione migliore è con la canoa piatta alla ricerca dell’acquisizione di velocità per superare un ostacolo qual’è l’onda di mezzo canale. Ford fatica però ad arrivare sulle risalite in anticipo per infilarci dentro la testa e uscirne con una veloce rotazione della coda... evidentemente gli anni si fanno sentire anche per lui e non è facile adeguarsi a queste eccitanti e dinamiche tecniche. Le risalite così, quando è possibile attuarle, ti fanno guadagnare una montagna di tempo, anche se bisogna avere l’accortezza di non farsi prendere troppo la mano con la consapevolezza che non tutte le risalita devo essere affrontate allo stesso modo. Infatti ogni porta ha la sua caratteristica e la sua soluzione... basta entrare in sintonia con l’acqua e con ognuna di loro!   

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi



Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #11 il: Febbraio 10, 2011, 10:52:41 pm *
Paese che vai presa elettrica che trovi e qui in Australia sono veramente strane. Fare una foto sarebbe troppo facile per spiegarvi come sono fatte, ci provo invece con le parole e vediamo in che labirinto mi infilo! Ok fate conto di vedere le nostre spine: due ferretti perfettamente paralleli tra loro che in gergo tecnico sono descritti come due  contatti cilindrici con diametro 4 con interasse 19 mm, leggermente convergenti. Qui i due ferretti o contatti sono perfettamente piatti e sono inclinati esattamente di 30° rispetto alla verticale,  formano cioè una “V”. Le prese sui muri offrono la possibilità di inserire anche un terzo ferro perfettamente diritto e più lungo degli altri due: la messa a terra. Fate conto di vedere la faccia di un cinese  che ha appena mangiato una fetta di limone. La cosa interessante però delle spine elettriche di ogni utensile è quella di avere una caratteristica molto utile. Infatti noi per estrarre la spina dalla presa del muro afferriamo il filo e tiriamo o, nella migliora delle ipotesi, afferriamo con due dita  la spina stessa e tiriamo. Qui invece le spine  sono dotate di una specie di anello che ti permette di infilarci dentro il dito medio in modo tale che puoi tirare tranquillamente senza danneggiare il filo elettrico.
Fischia, sono tutto sudato, ma sono uscito ancora vivo dal labirinto in cui mi ero cacciato. Poi morso dalla  curiosità sono andato su internet e ho visto che questo tipo di spina si usa oltre che in Australia anche in Argentina, Cina, Nuova Guinea, Nuova Zelanda e Uruguay.
A parte ciò  vorrei farvi partecipi di un’osservazione tecnica. In sostanza la fase più critica in una risalita è la rotazione della canoa al suo intero e la successiva fase di uscita.
Partirei dicendo che il livello generale tecnico per l’approccio ad una risalita è cresciuto notevolmente. Cioè molti atleti preparano bene la porta stessa e sono in grado di eseguire al meglio le manovre di avvicinamento e taglio all’interno della porta. Solo nella  terza fase si notano notevoli differenze tra atleti molto evoluti e atleti che stanno crescendo e che  viceversa cercano una prestazione importante. In una risalita classica la sequenza può essere questa: preparazione/approccio - entrata - rotazione della coda - spostamento del busto avanti - uscita.
Cambia il modo con cui si utilizza la pala in relazione anche al tipo di risalita e all’acqua relativa. C’è chi preferisce utilizzare il Duffek o chi viceversa usa più facilmente la frenata interna. Indipendentemente dal tipo di manovra utilizzata si rischia di bloccare la coda e la sua conseguente rotazione una vola inserita la stessa nell’acqua. L’errore più frequente è quello di utilizzare il colpo a valle non per lasciar correre la canoa verso il basso, ma per mantenere la punta verso monte. Dal mio punto di vista sono tanti i fattori che concorrono a fare ciò. Il primo assoluto è quello di voler fare qualche cosa a tutti i costi,  pensando erroneamente che ciò possa aiutarci ad andare più veloci. Il cervello corre molto e le nostre braccia vogliono seguire questi impulsi. In realtà molte volte dobbiamo lasciare libera la nostra canoa di agire e noi dobbiamo solo seguirla senza opporre resistenza. E’ difficile farlo per il semplice motivo che molti atleti vogliono istintivamente tenere sempre sotto controllo la propria imbarcazione e non concederle spazi vitali. La causa può  dipendere anche da un assetto troppo stretto che rimanda immediatamente ogni reazione ai nostri gesti.
Un buon strumento per valutare la rotazione nella risalita può essere l’utilizzo di una telecamera fissa sulla riva. In questo modo l’analisi si completa prendendo il tempo in entrata e il tempo in uscita sullo stesso palo e confrontandoli con le immagini e le sensazioni del vissuto per ogni atleta.
Con Zeno stiamo affrontando queste problematiche e mi rendo conto che devono essere assimiliate con molta tranquillità. Confrontandomi poi via skype (che bella cosa internet) con Enrico Lazzarotto mi ha ricordato una cosa molto importante e che mi è piaciuta parecchio.  Infatti l’estroso e raffinato pagaiatore mi dice riferendosi al giovanetto:  “lascialo sempre con la spregiudicatezza della sua età: porterà grossi risultati in tutto sia in kayak che nella vita”. Che dire? Ha proprio ragione perché altrimenti non si spiegherebbero le evoluzioni che costantemente ci sono!

Per concludere aggiungerei solo il fatto che in una risalita bisogna trovare l’anello in cui infilare la pala per poi tirare... senza danneggiare il filo, non elettrico, ma il filo immaginario che vi porta il  prima possibile a tagliare il traguardo.


Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 10 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #12 il: Febbraio 15, 2011, 12:21:26 am *
Ho appreso al meglio il significato del verbo “encantar” da Josean Lekue, il medico che per alcuni anni ha collaborato con me nella squadra spagnola. Preparatissimo uomo di scienza e grande sportivo, ha terminato il suo lavoro per la canoa quando l’Atletic Club de  Bilbao l’ha ingaggiato per seguire la prima squadra.  La sua passione per il calcio era nota a tutti noi e ricordo che un giorno dopo una partitella fra noi canoisti ci fermammo a parlare dello sport pallonaro per eccellenza. Fu in quell’occasione che il dottor Josean mi spiegò che non sapeva per quale motivo era così attratto dal gioco del calcio. L’unica vera ragione o spiegazione che si era  dato derivava dal fatto  che restava “encantado” ogni volta che vedeva una partita. Usò esattamente  questo verbo, pronunciato ed esaltato  dal suo forte accento che rendeva alla grande il concetto, senza bisogno di aggiungere null’altro.  Una sorta di momento topico al quale non poteva reagire se non subire e godere di tale effetto.
Ecco! La stessa cosa succede anche a me quando mi trovo di fronte a certi personaggi che con un sol gesto sono capaci di “incantarti” bloccandoti il respiro, mentre le sinapsi che ti collegano al cervello vibrano impazzite.  L'unica cosa che riesco  a fare nei successivi tre o quattro giorni è rivivere quello che i miei occhi hanno visto e che hanno fissato nella poca materia grigia che ancora mi rimane a disposizione. L’altro giorno è successo ancora una volta, è per questo che mi sento euforico e particolarmente appagato... sapete chi è stato l’artefice di tutto ciò? Un certo Stanislav Jezek. Non vi dice nulla questo nome? Scherzo ovviamente perché tutti lo conoscono e tutti gli appassionati di slalom avranno seguito le sue imprese iridate ed olimpiche (secondo in semifinale e quinto in finale a Beijing 2008). L’anno scorso vinse la gara di coppa a  Seu d’Urgell e commentai così il su successo:

Re: On the Road on the Wave!
« Risposta #28 inserita:: Giugno 27, 2010, 06:34:37 pm »“


“...
Grandissima prova del ceco Stanislav Jezek nella canadese monoposto. Leggero e abile come un gatto, ha 34 anni è  sposato e ha due figli, un mago dell’informatica, ha vinto sei medaglie ai campionati del mondo, ma qui ci ha deliziato con gesti eleganti e una grande interpretazione del tracciato che lo ha visto in costante accelerazione. Non arriva a 70 chili tutto compreso e supera il metro e ottanta, ma quando ti stringe la mano devi stare attento perché te la stritola con estrema facilità. Il suo tempo in semifinale gli avrebbe regalato il settimo posto nel kayak uomini! “


Ma torniamo alla cronaca di oggi perché vi dicevo che ieri il ceko mi ha stupito e lasciato incantato in una frazione di secondo. Era giusto in zona arrivo sull’acqua ferma che si stava riscaldando per l’ora di allenamento che sarebbe iniziata da lì a pochissimo. Io scendevo dalla piccola collinetta della partenza per parlare con Zeno a fine allenamento come siamo abituati a fare per tirare le somme del lavoro fatto. In quel mentre ho visto una canoa uscire dall’acqua totalmente, cioè per una frazione di secondo la canoa di Jezek è volata sull’acqua. Come sia successo ora ve lo spiego. Immaginatevi un C1 che alla fine di una propulsione avanti trasforma questo colpo in propulsione indietro piantando la coda nell’acqua. Classica manovra per incandelarsi, ma a metà corsa della coda lo stesso colpo è tornato ad essere propulsivo in avanti. L’effetto derivato da questo guizzo e gesto felino è stato il cambio di direzione con successiva fuoriuscita di tutto lo scafo dall’acqua. Per fortuna che non ero solo in quel momento per assistere al miracolo, in acqua al fianco di Jezec anche Alexander Slafkovský, come me, è rimasto a bocca aperta.  Capisco il vostro imbarazzo e forse l’incredulità nel credere che tutto ciò sia possibile, ma se pensate che un  simpatizzante della canoa  (come qualcuno mi ha definito aggiungendo anche  personaggio molto idealista e poeta, ma ahimè poco pratico) abbia avuto le visioni, non vi rimane che chiedere a Jezec di farvelo rivedere: lui i miracoli è in grado di farli a suo  piacimento... sempre che non abbia dell’altro da fare!

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi


Penrith, 15 febbraio 2011

P.S. è arrivata anche Elena Kaliska.  Nuovo look in canoa per la  bi-campionessa olimpica, ma magari scatto qualche foto e ve le mostro.
Andrea Romeo, Omar Raiba con il tecnico Matteo  Appodia sono gli ultimi arrivi dall’Italia, aspettiamo il neo dottore Cipressi che sbarcherà da queste parti i primi della settimana prossima.

Skillo

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #13 il: Febbraio 16, 2011, 10:49:17 am *
Ho visto Slafkovský mettere la canoa in verticale sull'acqua piatta per poi sdraiarsi all'indietro col busto quasi a fare "il morto" mentre continuava a mantenere la prua dritta verso il cielo senza alcuna fatica. Non è un esercizio che solo lui sappia fare, ma non è nemmeno una robetta da tutti. Quindi, se Slafko è rimasto a bocca aperta davanti al guizzo di Jezek, .... doveva essere davvero un bel guizzo!

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #14 il: Febbraio 17, 2011, 08:45:46 pm *
La curva del canale di  Penrith è magica e si colora sempre di colori diversi.  Il  tratto di cielo che vi si rispecchia ospita  spettacolari nuvole o un sole cocente. Ogni volta che mi trovo da quelle parti mi sento immerso in un sogno e tutto ciò che mi circonda assume una particolare luce.  In lontananza si scorgono le “Blue Mountain”. Il nome della rapida è “number 2” che sta quindi a valle della “main wave” e a monte della “deep fryer” - friggitrice!

Questa mattina abbiamo lavorato proprio in quel tratto e lo scenario ci ha messo tutti di buon umore. La luce ancora tenue delle prime ore della giornata offre la giusta concentrazione per lavori tecnici di qualità, tanto più se eseguiti da atleti  con tanta energia in corpo. Abbiamo posto come obiettivo di giornata l’ascolto dell’acqua e la successiva risposta da parte del canoista. In quel tratto infatti l’acqua non è mai regolare e cambia in continuazione, quindi le strategie di reazione vanno decise nel momento preciso in cui accadono, sempre che si sia in grado di raccogliere lo stimolo giusto. 
L’aspetto tecnico interessante emerso durante l’allenamento è stato quello dell’utilizzo della pala dallo stesso lato senza estrarla dall’acqua. Cerco di spiegarmi meglio. Avevo proposto una risalita ad esse venendo da destra e uscendo a sinistra in una zona dove l’acqua non è difficile ma presenta dei ritorni strani. L’idea era quella di affrontare la risalita con il colpo largo a destra, quindi a valle, sfruttando prima la velocità dell’acqua e poi la piccola area di morta giusto sul palo interno. A questo punto nasceva il problema dell’uscita visto che non c’era la possibilità e il tempo di trasformare il colpo in aggancio per togliersi da quella situazione piuttosto calda! La soluzione si è trovata lasciando la stessa propulsione larga in acqua, che a fine corsa si è trasformata in un valido punto d’appoggio per far ruotare la canoa permettendo al corpo di eseguire un piccolo spostamento laterale con il successivo guizzo di uscita.

Seconda proposta una serie di porte a pettine abbastanza angolate e su acqua veloce con successiva risalita a sinistra sulla “friggitrice”. Anche qui dopo alcuni tentativi di passare le porte  direttamente si è optato per uno spostamento della coda sul terzo palo in modo tale da riuscire ad entrare diretti sulla risalita sfruttando un ricciolo sul fianco destro. Anche qui i tempi non permettevano la possibilità di togliere la pala dall’acqua per agganciarsi sull’onda-ricciolo. La soluzione è stata trovata anche in questo caso mantenendo la pala in acqua dopo il colpo di propulsione avanti di sinistro.

La morale della storiella è: pensa e agisci da C1 quando non hai il tempo e la possibilità di cambiare colpo.

Domani si torna a respirare aria frizzante, emozionante, mirabolante... domani iniziano gli Australian Open più di 300 atleti in gara in rappresentanza di 20 nazioni, non male per un inizio di stagione che si prospetta molto emozionante. Seguite on line risultati e video su http://aus​open.canoe​.org.au/  mentre per colore e approfondimenti ovviamente questo forum e http://ett​oreivaldi.​blogspot.c​om/ per intermedi e appunti tecnici.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 17 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #15 il: Febbraio 18, 2011, 02:12:22 pm *
* Ultima modifica: Febbraio 18, 2011, 02:55:13 pm da Philippe Devanneaux *
Non c’è regina o più alta signoria
che dipinto abbia in sé sì tal splendore.
  
Chi tanta meraviglia in te rifuse
   e d’unica beltà si fé fattore?

Vi consiglio di visitare questo  sito http://ausopen.canoe.org.au/default.asp?MenuID=Results/20918. Dopo di che scendete e apritevi in PDF la classifica dei C1. Iniziate a leggerla riga per riga. Leggete il nome e poi l’ultimo numero che trovate per ogni rigo in fondo. Risulterà praticamente questo:

GARGAUD-CHANUT Denis 96,84
SLAFKOVSKY Alexander 97,75
JEZEK Stanislav 98,23
BENUS Matej  98,32
ELOSEGI Ander 100,47
ESTANGUET Tony 100,61

riuscite a capire la poesia, la soave musica di questi nomi e di questi numeri che si associano tra loro?  Riprovate ancora  

GARGAUD-CHANUT Denis 96,84
SLAFKOVSKY Alexander 97,75
JEZEK Stanislav 98,23
BENUS Matej  98,32
ELOSEGI Ander 100,47
ESTANGUET Tony 100,61

e poi ancora, ancora... che spettacolo signori miei leggere si tal beltà  e associarle a quanto visto.

Atleti che ci prendo per mano e ci guidano nella selva oscura di un tracciato che ha tanto da raccontare, così come Virgilio condusse  il Sommo Poeta nei meandri dello sconosciuto e del Divino.

Azioni eleganti, movimenti decisi, danze soavi, musica per le nostre orecchie. Che spettacolo e cosa ci hanno regalato questi personaggi che del C1 ne fanno una vera e propria arte. Usano il loro strumento prediletto fra i paletti dello slalom come il chirurgo usa il bisturi per incidere senza sbavature, senza errori e soprattutto con determinazione. La loro discesa non è contro il tempo, ma è per il tempo e per la storia.

Scusate, quasi me ne scordavo... mi riferivo alle gare di qualifica di oggi agli “Australian Open 2011”. Lo davo per scontato che si fosse capito,  ma solo ora mi rendo conto che non tutti vivono di pane e slalom e forse non sapevano neppure che qui a Penrith sul canale olimpico si stanno disputando queste gare di ranking. Valide anche come  selezione per formare la squadra nazionale giallo-verde. Non sapevate forse neppure che oggi è il compleanno di Amur... beh consolatevi, io di più non so!

Anche il cucciolo ha fatto vedere gran belle cose nella qualifica. Solo una grossa  penalità regalata dal cielo gli ha impedito di vedere scritto sulla carta il suo vero e attuale potenziale. Secondo me comunque, è sulla strada giusta. Bisogna lavorare molto,  ma questa è l’ultima cosa che ci spaventa. In settimana analizzeremo il tutto.

Domani semifinale e finale per C1 Men, K1 donne  e C2, riposano i Kayak maschili e le donne della canadese singola che rientreranno in scena domenica.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 18 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #16 il: Febbraio 20, 2011, 12:24:33 pm *
« così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva. »
(Divina Commedia, Purgatorio, canto XXX, versi 28/33)
[/i]


Lo confesso appena sveglio mi precipito a guardare il sunto della serata canora italiana, perché come dice Luca Panziera: “San Remo è sempre San Remo”. Se pur lontano da casa sono sempre attratto dalle nostre cose, dalle nostre tradizioni, dalla nostra italianità.
Sono impazzito di gioia ad ascoltare Benigni  che  decantava  la bellezza dell’Italia e del nostro  Risorgimento. Ha parlato di Mazzini, Cavour, Garibaldi, dei padri fondatori che erano così avanti da essere tutt’oggi attuali e moderni. A quest’immagine dell’Italia ci aggiungerei anche le impresi di Dorando Pietri, Fausto Coppi, Primo Carnera, Adolfo Consolini, Livio Berruti e visto che di bellezza si parla non si possono non citare Ondina Valle e Sara Simeoni, donne delizia, calore e completezza della nostra vita. La mia è una deformazione professionale, lo so!  Quando poi il  Roberto che vale un altro Oscar ha cantato “Fratelli d’Italia” mi è venuto da piangere e il cuor è impazzito. Di una bellezza unica ... che dispiacere non poter lavorare per i colori del... “candido vel, di verde mando e fiamma viva”. Per un paese che amo e per il mio inno! Infondo anche Ernesto Che Guevara era nato in Argentina e ha combattuto per la libertà a Cuba e poi in Bolivia.
Il lungo week-end di gare però mi ha dato nuove energie, nuova linfa vitale per affrontare qualche difficoltà inaspettata lungo il percorso, ma la vita è fatta di tutto ciò.

Mi sono piaciute particolarmente le donne e soprattutto le giovinette. Ci hanno regalato una grande lezione di stile scrivendo a chiari lettere sull’acqua che forza e strategie di gara affannose non portano lontano. Loro - Jessica Fox (115% dal Walsh vincitore nel K1Men), Ursa Kragelj, Katerina Kudejova, Rosalyn Lawerence  affrontano la gara con leggerezza ed eleganza; anticipano le porte, entrano bene nelle risalite e sono veloci ad uscire. Canoa piatta e leggera come foglie al vento. Qualcuna impressiona anche per cambi di ritmo e fluidità del gesto. Non si può dire altrettanto per Corinna Kuhnle  che però, con colpi potenti e tanta forza, dopo la delusione amorosa, si consola con l’oro agli  Australian Open. Lei ha reagito positivamente ai dolori del cuore altrettanto non si può dire per Leanne Guinea che arriva solo terza in canadese monoposto dietro alle giovanissime Rosalyn e Jessica. Il  109% dal primo uomo in kayak dell’austriaca la dice lunga.
Sempre bella, affascinante e brava  Jasmin Schornberg. Con lei ho avuto modo di lavorare tecnicamente in qualche seduta di allenamento in questo mese a Penrith e ho apprezzato molto la sua concretezza nell’azione. Non si perde in veroniche, non sceglie mai linee estreme, fa della semplicità la sua arma migliore. Le veterane Oblinger, Fer e Kaliska ovviamente proseguono sulla loro strada, sempre competitive ovviamente, ma forse, così facendo, rischiano di non adeguarsi ai tempi che cambiano. Solo la bi-olimpionica slovacca si sta dando pena nel provare canoe nuove per capire se potrà trarne beneficio. Nel frattempo il cigno dal lungo collo, Jana Dukatova,  passeggia con la sua canoa sul lago sotto il canale, guarda verso il nastro trasportatore e sembra chiedersi: “quando sarà che potrò salirci?”. In effetti, dopo l’operazione alla spalla per usura dello scorso ottobre e la lunga riabilitazione, sembra essere arrivato il tempo per rivederla galleggiare leggiadra sul canale olimpico, ma ovviamente anche per lei ci vorrà tempo prima di rivederla al top.

Vi lascio perché ho le gare delle schiacciate all’All Star Saturday (degli  All Star Game), della gare degli  uomini vi parlerò un altro giorno. Vi anticipo solo che i C1 sono fantastici, i C2, privi dei gemelloni slovacchi, perdono incisività e che nei kayak uomini è sempre  una lotta senza risparmio di colpi.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 20 febbraio 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #17 il: Febbraio 24, 2011, 09:37:57 pm *
Mi chiedevo che cosa farebbero i C1 se le loro canoe pesassero come i K1 e fossero larghe 60 cm. Questo pensiero arriva guardando e riguardando le gare del week-end scorso e confrontando intermedi e tempi finali tra le diverse categorie. Tony, il mitico Tony Esanguet ha vinto con l‘1,9% da Walsh e Gargaud, senza la penalità,  avrebbe avuto lo 0,99%.
Ora il tracciato degli “Australian Open”, sia nella qualifica che nella semifinale e finale, non era certo molto impegnativo: tanto per fare un paragone sciistico, viste le medaglie conquistate ultimamente dagli sciatori azzurri ai recentissimi campionati del mondo, sembrava più un tracciato da slalom gigante che uno speciale! Un percorso che definirei aperto, con alcune serie di porte interessanti, ma nulla di difficile. Ad esempio la parte centrale era caratterizzata da tre porte in discesa molto distanziate che costringevano gli atleti a impostare con ampio anticipo ogni singola porta per non perdere velocità, ma non certo per problemi di linea. La possibilità era anche quella di adottare  una saggia retro sulla seconda porta, come Super Cali ha fatto in semifinale. Per tutto il resto del tracciato nulla di particolare o di impegnativo. Ovviamente, questo tipo di percorso,  premiava gli scivolatori e non certo atleti che magari preferiscono combinazioni strette e difficili. La domanda quindi è  semplicissima: com’è possibile che i C1 su un tracciato così aperto possono essere così vicini ai Kayak che, in teoria, avendo due palette possono spingere maggiormente su tratti rettilinei?
Per rispondere a ciò dobbiamo fare un altro tipo di analisi e cioè andare a vedere quello che succede nei percorsi molto difficili dove le percentuali di distacco dei C1 rispetto ai K1 sono più marcate. La media nel 2010 era del 6,55% sulle tre gare di Coppa (Praga, Seu, Augsburg), Europei (Bratislava) e Mondiali (Tacen).
Dati che ci dicono e ci fanno capire chiaramente che su percorsi chiusi i kayak rischiano moltissimo e riescono a ottenere tempi molto, molto veloci. Tutto ciò deriva anche dall’altissima competitività che c’è in questa categoria.
Se poi guardiamo attentamente il gesto tecnico ci accorgeremo che le canadesi hanno occasione di mettere in essere molto più spesso una risalita classica, mentre i Kayak sono costretti a cercare di limare centesimi in ogni azioni e quindi in ogni porta. Ne deriva che su percorsi come quello di Penrith, dove le risalite non presentavano la possibilità di tagliare più di tanto, i tempi di distacco si assottigliano, perché fondamentalmente, visto il livello raggiunto dai top paddlers della canadese, tra le due specialità non c’è un divario molto netto!
A questo punto sarebbe proprio interessante assistere allo scontro ad armi pari: C1 e K1 9 kg. x 60 cm.  punta e coda liberi.

Nel frattempo Martikan, che arriverà qui in settimana,  ha mandato avanti il suo nuovo gioiellino: canoa nuova per lui che non è altro che una “Ego” con l’impostazione da C1. Nei giorni delle gare era esposta nello stand di Vajda (sponsor della manifestazione) rosso cupo e con un assetto da “guerra”. Fa impressione pensare che si possa pagaiare inginocchiati su quel guscio che porta ancora le alette del pozzetto per un kayak... non si è dato neppure  la pena di toglierle!  Spero solo che non la veda  Raffy perché altrimenti so già quale sarà la sua richiesta per la promozione a scuola!

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 24 febbraio 2011

elena bargigli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #18 il: Febbraio 25, 2011, 11:11:05 am *
Interessante...si può dire la stessa cosa per le donne? Cioè che in un percorso non particolarmente difficile e fluido si avvicinano ai K1?

Si sa che ho un debole per questa specialità...

Grazie,

Elena.

Francesco Iacobelli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #19 il: Febbraio 25, 2011, 01:51:31 pm *
Probabilmente la doppia pala su fiumi impegnativi avrà un utilizzo maggiore, in proporzione, nell'avanzamento rispetto alla ricerca di stabilità, rapportata alla monopala.
é possibile o è solo una mia deduzione?


maurizio bernasconi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #20 il: Febbraio 25, 2011, 05:36:36 pm *
Perché i primi cinque o dieci ciunisti al mondo, in tutte le epoche e direi anche in tutte le specialità, compreso nella flat, sembrano dei fenomeni, dei marziani? Osserviamo i distacchi dal gruppetto dei fenomeni fino al trentesimo piazzamento in C1 e poi lo stesso in K1 e vedremo una bella differenza. Il trentesimo K è fuori dalla finale per un soffio, il trentesimo C1 ha mancato almeno due o tre porte. (Correggetemi se sbaglio). Infatti gli atleti di vertice sono fenomeni ANCHE perché abbiamo pochi praticanti. Per completezza dell'esperimento Ettore, dovremmo ipotizzare anche un numero di praticanti uguale fra C e K. Allora sarebbe chiaro una volta per tutte che la vera canoa da fiume è la canadese. I canadesi restano ancora indietro dunque per: pesi e misure, daccordo, minor numero di praticanti, e ANCHE perché la tecnica della pagaiata in C obbliga a tempi di apprendimento più lunghi e al possesso di notevoli qualità individuali. Dunque non esiste una regola intrinseca al C perché debba andare più piano. Il kayak è un attrezzo frutto di compromessi. Occorreva arpionare una foca, oppure trasportare la nonna niosa a morire su un iceberg alla deriva fuorimano, occorreva star lì sei ore a mollo per pescare un paio di salmoni o far giocare all'eskimo i bambini a fine giugno sulla banchisa. Per tali occupazioni un kayak può anche andare, ma scendere un fiume è altra cosa! Quella posizione seduta da sedentari, quei culi incollati dalla gravità nel seggiolino, quel lavoro col busto e i fianchi più o meno bloccati come impiegati... non è cosa! Im/piegati, cioé essersi piegati ad accettare un lavoro; piegati dunque sottomessi, la schiena esposta alle frustate, seduti come esseri inutili, come intellettuali, come automobilisti, come pensionati che giocano a briscola.
Il ciunista sta invece col dorso eretto come un cavalliere, come un uomo. E' inginocchiato come uno che medita Zen o che parla da pari a pari con Dio.
In più: Ci=l'energia, almeno per i cinesi.

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #21 il: Febbraio 27, 2011, 01:55:28 pm *
* Ultima modifica: Febbraio 27, 2011, 01:57:57 pm da Ettore Ivaldi *
Una domenica mattina particolarmente fruttuosa dal punto di vista tecnico. Sarà stata la paella del party della sera precedente condita da una fresca e dissetante sangria; sarà stata l’aria di festa; sarà stata l’atmosfera degli addii; saranno stati i pochi slalomisti sul canale, ma l’allenamento si è dimostrato molto approfondito ed interessante. Abbiamo lavorato sull’effetto “molla” nelle risalite. Di che cosa si tratti cerco di spiegarlo nel miglior modo possibile se pur soggetto ad inevitabili e soggettive  interpretazioni.

In sostanza per ruotare velocemente nelle risalite bisogna lasciare la coda libera di agire. La pala in acqua svolge da  prima la funzione di timone, per preparare l’entrata, e poi assume il ruolo di fulcro nella rotazione. A questo punto la stessa pala, assolti i compiti precedenti, non deve fare altro che aspettare la conclusione della rotazione per tornare ad essere operativa non più staticamente. In questo frangente di tempo abbiamo la possibilità di caricarci di energia flettendo il braccio alto fino a portarlo praticamente dietro la testa. In fase di uscita l’impulso di spinta partirà proprio dal braccio alto che attiverà così l’effetto molla sopra denominato.
C’è un semplice segreto per ottenere il massimo da questo gesto: rispettare i tempi di esecuzione che sono distinti per ogni singola parte che interviene nell’azione e cioè per  braccia, spalle, gambe, canoa, pala.  Ognuno di questi elementi ha velocità diverse in tempi diversi. Molto spesso però non è facile da far capire agli atleti che vorrebbero sempre far girare le loro braccia alla velocità con cui il famoso road runner Beep-Beep scappa da Wile Coyote.
L’abbiamo già sottolineato - vi ricordate? - la mente lavora più veloce delle braccia che se non controllate vengono prese dall’euforia di seguire i pensieri che corrono alla velocità della luce.
Per mettere in pratica tutto ciò bisogna avere molta tranquillità e dedicare allenamenti specifici a questo tipo di lavoro. Per qualcuno può sembrare una perdita di tempo, ma in realtà non è così per chi vuole costruire un risultato.

Al di là di tutto ciò volevo anche cercare di rispondere alla mia amica Elena che si chiedeva che cosa succede per le donne in kayak su percorsi aperti com’è stato quello degli “Australian Open” da poco conclusi. Ovviamente dobbiamo ricorrere sempre alle statistiche che ci illuminano che ci dicono  che la media  nel 2010 su gare di coppa, europei e mondiali per il K1 women era del 17,2 in finale per le vincitrici che si abbassa al 13,5% in qualifica. Corinna Kulne ha vinto in Australia con un distacco poco superiore al 9%. Quindi mi sento di affermare che anche per le donne le percentuali calano su percorsi più aperti. Mi piace definirli da “gigante” come nello sci alpino.

Il motivo di tutto ciò, sempre secondo me, non dipende da quanto espresso da Francesco Iacobelli legato cioè al fatto che la doppia pala “ avrà un utilizzo maggiore, in proporzione, nell'avanzamento rispetto alla ricerca di stabilità, rapportata alla monopala”,  ma deriva dal fatto (come ho cercato di esprimere nel post precedente)  che: “...sui percorsi chiusi i kayak rischiano moltissimo e riescono a ottenere tempi molto, molto veloci. Tutto ciò deriva anche dall’altissima competitività che c’è in questa categoria. Se poi guardiamo attentamente il gesto tecnico ci accorgeremo che le canadesi hanno occasione di mettere in essere molto più spesso una risalita classica, mentre i Kayak sono costretti a cercare di limare centesimi in ogni azioni e quindi in ogni porta. Ne deriva che su percorsi come quello di Penrith, dove le risalite non presentavano la possibilità di tagliare più di tanto, i tempi di distacco si assottigliano, perché fondamentalmente, visto il livello raggiunto dai top paddlers della canadese, tra le due specialità non c’è un divario molto netto”.


Il mitico Maurizio, che da molti anni non vedo e che immagino scrivere i suoi illuminanti scritti “inginocchiato” davanti al mare all’imbrunire, con folta barba e  avvolto da parei colorati, ci ricorda la storia e la ragione per cui si pagaia seduti o inginocchiati. Il fatto di avere pochi top paddlers in C1 e molti di più in kayak esce, secondo me,  da un retaggio culturale antico e speriamo superato. Era in uso infatti segare la pala in due e mettere in canadese quei giovani che non dimostravano di aver talento con la pagaia da kayak.
Non concordo con il fatto che la canadese è più complessa tecnicamente. In realtà ritengo esattamente l’opposto specialmente per il suo apprendimento in giovanissima età. La pensavo come Maurizio fino a luglio 2005 momento in cui Raffy, il mio figlio più piccolo classe 1997, è salito sul C1 da discesa di Vladi Panato attratto da quella canoa rossa e ovviamente dalla leggenda vivente di Vladi. In quel momento  mi si è aperto un mondo e ho capito, guardando incantato il piccolo C1, che non c’è nulla di più naturale che pagaiare inginocchiati con una pagaia monopala. La possibilità poi, per chi inizia, di concentrarsi su un solo lato e su una pagaia monopala  permette di essere più attenti e sensibili allo strumento che ci troviamo fra le mani.
Fatemi spendere una parola però anche per i kayak, se mai ne avessero bisogno. E’ vero che si è seduti, ma ricordiamoci anche che i migliori e più sensibili propriocettori sono proprio lì... Possiamo ricevere un sacco di informazioni che poi trasformiamo, in base alla nostra abilità, in gesti più o meno atletici, eleganti, vincenti, emozionanti!

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith, 27 febbraio 2011

maurizio bernasconi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #22 il: Febbraio 27, 2011, 09:32:57 pm *
Mentre consumo l'orizzonte e do tempo alla barba di crescere mi capita anche di fare delle osservazioni su giovanissimi canoisti  (12/16 anni) che si avvicinano al C1 in modo quasi del tutto ingenuo, sia ragazzi sia ragazze. Alcuni sono kayakisti e ci cimentano in canadese solo per allenamento, qualcuno mostra di scoprirsi canadese istintivo puro e sembra già definitivamente orientato alla monopala. Come al solito.
Ebbene vedo due fenomeni:
-  Tutti cercano di dirigere e procedere con aggiustamenti in debordé e riescono a districarsi benino fra le porte ancor prima di saper condurre una linea dritta precisa. Nessuno di loro sente la necessità di reinventare il gesto del vortice tantomeno sfregando il manico contro il fianco della barca. In effetti guardando un filmato attuale sul fiume e pure in acqua piatta non vediamo più distintamente eseguire il vortice dagli atleti evoluti; ma il fatto di non vederlo ci autorizza a credere che l'essenza, l'embrione di quel gesto non sia più presente nella pagaiata canadese? Io non lo so. Qui dovrebbe pronunciarsi un tecnico della canadese più aggiornato. Altra domanda è questa: anche ammesso logicamente che non serve eseguire ogni pagaiata con una componente di vortice, daccordo, possiamo per questo stabilire che si può oggi fare a meno di attraversare una fase iniziale di apprendimento nella quale il vortice viene appreso ed eseguito in modo scolastico? Dunque: visto che da soli non lo fanno (non in tempi rapidi almeno), è allora necessario che qualcuno glielo insegni oppure viene da solo prima o poi, oppure non serve più del tutto?
-  Altra cosa che osservo: nessuno prova se non incidentalmente a spostare il peso dalla parte opposta alla pagaiata, atteggiamento che una volta era considerato assolutamente imprescindibile della tecnica canadese. E' interessante notare che le tecniche abbiano un'evoluzione eppure il fatto che il peso si portasse all'esterno opposto alla pagaiata non poteva essere solo un vezzo d'altri tempi, era qualcosa che evidentemente rispondeva a una logica. Ancora una domanda: potrebbe essere utile al giovane atleta conoscere la tecnica, ed eventualmente anche gli errori, di quelli che praticavano lo stesso gesto in precedenza?

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #23 il: Marzo 04, 2011, 09:59:08 pm *
Premessa onde evitare confusioni: parliamo di slalom -

Il “J stroke”, come lo chiamano gli americani, si è evoluto parecchio nel corso degli anni e specialmente nella tecnica dello slalom!    Non si sfrega più infatti il manico della pagaia sul bordo della canoa, permettendo così agli arnesi del mestiere di mantenersi intatti  per lungo tempo ( il vecchio e annoso problema delle canadesi).
Le imbarcazioni e i tracciati su canali artificiali  hanno comunque  un peso molto  determinante in tutto ciò. Aggiungo anche che la tecnica si è raffinata di molto.  La conseguenza ovvia è che  viene  usato in maniera diversa e con molta parsimonia. I canadesi più evoluti lo utilizzano in una fase statica perché la canoa è portata principalmente diritta con il lavoro delle gambe e dei fianchi.  In sostanza il “vortice” - in italiano - frena l’avanzamento  ed è stato sostituito con una sorta di richiami di punta in fase propulsiva della pagaiata o, come già detto, da un costante aggiustamento della direzione voluta attraverso l’inclinazione dei fianchi.

Detto ciò è interessante il primo  quesito che pone l’uomo dalla barba lunga e dall’infinito consumato e cioè: “è giusto che qualcuno glielo insegni oppure viene da solo prima o poi, oppure non serve più del tutto”?

Ritengo che i gesti e i movimenti in generale dovrebbero essere acquisiti attraverso una scoperta motoria personale. L’allenatore, o in questo caso anche il maestro o l’istruttore, deve creare gli “stati di necessità” con l’obiettivo di far scoprire all’allievo le soluzioni più adatte alle esigenze di quel momento. Le risposte passeranno attraverso la soggettività di ognuno che saprà e dovrà imparare ad elaborare velocemente gli stimoli esterni. Per essere più concreti dobbiamo dire al nostro allievo di partire da un punto e arrivare in un’altro punto il più velocemente possibile e con il minor dispendio di energia. Per fare ciò può impiegarci molto tempo oppure può scoprire e trovare la soluzione molto rapidamente. In tutti e due i casi comunque il gesto finale resterà acquisito e sarà certamente il più adatto alle sue caratteristiche. Attenzione! Il tutto deve essere logicamente diretto passo per passo dalle proposte intelligenti di chi lo segue. Strada questa decisamente più costosa e faticosa rispetto a quella di elencare una serie di precise e schematiche indicazioni tecniche.
L’allievo se  riceverà direttamente da noi la risposta finale, statene certi,  diventerà al massimo un ottimo esecutore, ma non necessariamente il più veloce. Ricordiamoci che le nostre risposte dirette, in questo caso la spiegazione di come fare il J-stroke, passano attraverso  il nostro vissuto o alle nostre osservazioni su schemi motori ben precisi.  Il problema nasce da tutta una serie di filtri interpretativi che si mettono tra l’allenatore e il suo atleta.  Quest’ultimo non riuscirà ad esprimere al 100% le sue potenzialità, vuoi per una pigrizia mentale, vuoi per risposte che in parte ha già avuto. L’ho già sottolineato molte volte nei miei scritti tecnici: il pericolo più grande per un allenatore è quello di limitare l’atleta ad eseguire manovre e tecniche che ha nella testa l’allenatore, ma non nell’atleta che deve invece essere e rimanere il vero protagonista tecnico di se stesso.  Il nostro compito diventa quello di proporre delle scelte non in modo categorico, ma dobbiamo dirigere alla scoperta personale.

Sul secondo dubbio amletico di Maurizio mi sento di dire che in slalom l’obiettivo oggi è quello di mantenere la canoa il più possibile in equilibrio. Solo in uno stato di massimo equilibrio l’atleta potrà effettivamente esprimere meglio la sua azione propulsiva anche nelle varie fasi di rotazione della canoa stessa. Il gioco del peso c’è, ma è molto sottile.   Se poi è utile per un giovane conoscere gli errori di quelli che praticavano lo stesso gesto in precedenza mi sento sempre di rispondere che in effetti c’è così tanto da lavorare che perdere tempo sugli errori del passato forse non ne vale la pena. Considerando soprattutto il fatto che materiali, mezzi e campi di gara si sono decisamente evoluti seguendo sempre... gli stati di necessità.

Altra cosa è per un giovane conoscere la storia del proprio sport, ma qui non sono obiettivo e quindi lascio la disquisizione ad altri... io la metterei obbligatoria nei corsi per istruttori ed allenatori, perché se ci dimentichiamo del nostro passato, faticheremo a trovare il nostro futuro.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #24 il: Marzo 09, 2011, 03:55:54 pm *
Se c’è qualcuno che è in grado di darmi una spiegazione non dico scientifica, ma quantomeno plausibile, sul fatto che ogni volta che riprendo le cuffiette precedentemente riposte con cura nella borsa, le ritrovo immancabilmente tutte arricciate e aggrovigliate, lo ringrazio in  anticipo! Perdo una vita per sbrogliarle e così mi innervosisco per  nulla. Va beh, aspetto vostre delucidazioni e suggerimenti su come ripiegare questi fili magici. Nel frattempo vi faccio partecipi di una considerazione nata ieri durante il lavoro tecnico con i miei giovani atleti brasiliani. Ah forse ho saltato un passaggio, forse non vi ho detto che sono partito dall’Australia il primo marzo per venire qui a Foz do Iguazu nello stato del Paranà. Ricordate i mondiali del 2007? C’è un canale eccezionale e soprattutto un progetto di sviluppo per lo slalom che ha dell’incredibile in vista delle Olimpiadi di Rio 2016, ma di questo vi scriverò un’altra volta. Volevo parlare delle risalite e come approcciarsi ad esse. In un precedente intervento -

Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
« Risposta #11 inserita:: Febbraio 10, 2011, 10:52:41 pm ») -

davo per acquisito in senso generale questa fase delle porta da fare controcorrente e ne rimango convinto per quanto riguarda gli atleti di livello e quelli che hanno una certa esperienza. Ma la cosa non è assolutamente scontata nei giovani. Nasce con loro una problematica chiarissima e cioè quella di far capire e percepire come arrivare nella risalita e quale deve essere la velocità di entrata. Ecco perché ieri ho proposto varie soluzioni o meglio varie possibilità da provare e da percepire in acqua. Ho suggerito di cambiare l’approccio prima sperimentando un arrivo molto veloce, poi via via, sempre più lento (per quanto possa essere lento un arrivo su un filone d’acqua comunque di per sé veloce). Ad ogni tentativo i giovani junior provavano ad entrare con velocità diverse. Poi ci siamo concentrati per capire e percepire (scusate se insisto su questo verbo che va preso in considerazione sotto l’aspetto fisico e come esperienza sensoriale) come reagisce la nostra canoa a velocità diverse e soprattutto come ci si deve comportare con il corpo e la pala. Alla fine di due ore di prove su due porte i ragazzi hanno fatto loro un principio fondamentale che riassumerei velocemente in questo assunto: la tua velocità si deve relazionare alla possibilità di mantenere il più a lungo possibile la pala in acqua nell’ultima fase di avvicinamento alla porta. Sia nel caso in cui la risalita venga risolta con la pala in acqua dalla parte interna, sia con il colpo largo esterno. Diventa fondamentale l’approccio per guidare la canoa all’intero della risalita con il principio che è meglio perdere un po’ di velocità in fase di entrata, ma mantenerla sempre per tutta la rotazione della stessa all’interno e cercare di accelerare in fase di uscita. In questo modo si avrà sempre la situazione sotto controllo. Anche dal punti di vista fisico ci sarà un minor dispendio di energie con la possibilità di recuperare proprio in questa fase che di per sé sembrerebbe assurdo. Giusto per far capire anche per chi arriva dal nuoto... la risalita è come una virata nello stile libero o crawl. Affronta cioè le stesse problematiche e serve all’atleta per recuperare energie. Per niente i record in vasca corta sono più bassi. Considerate che nella vasca da 25 mt. sui 100 metri s.l. è più veloce del 3,8% mentre nei 200 mt. s.l. si arriva al 4,5%.
Sostanzialmente troviamo che la virata presenta le seguenti problematiche:

- Deve cambiare il movimento lineare in avanti in modo da imprimere al suo corpo un movimento rotatorio
- Effettuando la capriola deve eseguire una mezza torsione in modo che
   dopo la spinta data con i piedi, si trovi con il petto rivolto verso il basso
- Deve completare la virata in modo che i piedi non siano né troppo vicini
   né troppo lontani per dare una spinta

... chiaro il concetto?

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguazu, 9 marzo 2011

Francesco Iacobelli

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #25 il: Marzo 09, 2011, 05:25:10 pm *

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #26 il: Marzo 11, 2011, 10:32:38 pm *
Oh, deep in my heart,
I do believe
We shall overcome, some day


Il maître ha maniche esageratamente lunghe e nel suo girovagare per la sala è costretto  a tenere le braccia conserte. Beh! poca cosa visto che lui in teoria non deve usare le mani, ma controllare la situazione e  parlare con i clienti. A servire e a prendere le comande ci sono i camerieri. I camerieri ve li raccomando, diciamo che sono sullo stile del capo, senza giacca per fortuna, ma hanno  vita complicata perché ad ogni ordine devono scrivere due bigliettini e spesso e volentieri ci perdono dietro una vita. Scrivere non è proprio il loro mestiere e la penna la impugnano più come un mattarello che come uno strumento delicato per incidere lettere con senso compiuto.  Hanno camicia bianca con colli troppo larghi tenuti uniti da papillon neri decisamente arruffati e stinti. Non che io sia un gran signore o un uomo avvezzo ai grandi servizi, ma era solo per darvi il benvenuto in Sud-America e per farvi capire che qui le cose girano in maniera piuttosto diversa rispetto al vecchio continente.
Ci ho impiegato un pochino per ri-ambientarmi, lo ammetto, visto che erano quattro anni che mancavo da queste parti e avevo perso i modi, i colori, i tempi, i profumi i suoni e gli odori, che si vivono e si respirano quaggiù. Il passaggio dall’Australia perfezionista al Brasile spontaneo ma pieno di vita, non è sempre facile. Le silenziose auto del continente australe con il cambio automatico che viaggiano su strade così lisce e diritte da farti addormentare sono in contrasto con le rumorose quattro ruote del continente americano che si muovono un pochino a singhiozzo per quella miscela di alcool e gasolio che utilizzano come combustibile. Aziono ancora, a distanza di una settimana, i tergicristalli invece delle frecce che qui sono sulla sinistra e là...  sulla destra, come la guida.
Qui le strade sono giungle di buche, affollate da ogni tipo di mezzo. Si va da chi spinge un carretto carico di ferro o plastica agli stanchi e magri cavalli che si trascinano uomini in cima a carri che sembrano diligenze. Ci sono poi i Suv targati Paraguay dai vetri scuri che non rallentano sui dissipatori di velocità e tanto meno per fare passare la gente sulle strisce pedonali. Il resto sono auto di ogni genere bottate all’inverosimile che vengono usate fino all’ultimo respiro e poi sfasciate per recuperare qualche moneta sul mercato del ferro vecchio.
Lungo le strade si vende agua de coco fria. Agli angoli ci sono persone che cercano la via da prendere per mete sconosciute. Cercano, ma sembrano non trovare la via giusta  o forse l’hanno trovata prima di noi, illusi di percorrere sempre il cammino più corretto e veloce.
I semafori vanno capiti ed interpretati. Informano sul tempo che rimane illuminando via via rossi o verdi diversi. Per le svolte a sinistra ci si porta al centro della strada e si sta pronti a partire appena possibile, non è come in Australia dove si passa uno alla volta... rigorosamente seguendo le strisce per terra che determinano il tuo raggio di manovra. Ma questo ve l’avevo già raccontato.
Gli autobus sfrecciano veloci e tante volte non si fermano alle fermate perché sono già stracolmi. La gente in attesa però sembra non darci peso e aspetta speranzosa o forse rassegnata il prossimo, che forse si fermerà.
Le donne hanno culi enormi che fasciano con jeans troppo stretti e si muovono su tacchi sempre esagerati. I negozi di scarpe come le farmacie sono ovunque e le calzature si possono acquistare anche a rate. Sulle targhette esposte nelle vetrine c’è il prezzo pieno e poi la suddivisione delle  varie trance. Ci si può sfamare con cinque euro e mangiare dell’ottima carne per dieci. La gente per dissetarsi beve il “mate” che porta concentrato in un bicchiere di legno, per aggiungerci poi  dell’acqua ghiacciata.

Il sole batte ancora forte  anche se in teoria siamo a fine estate e  ci si prepara per l’autunno. Le formiche, al campo da slalom, stanno lavorando ininterrottamente per mettere a dimora nelle loro case minuscoli pezzi di foglie perché marciscano e diano vita a quel fungo che le manterrà in vita nel periodo invernale. Non hanno pause, sono organizzate al meglio. C’è chi le taglia e passa al setaccio e chi invece trasporta dal produttore al consumatore, sembra di essere sulla Milano - Venezia nei giorni feriali con tanti Tir e macchine in ogni dove. Lavorano sodo anche le migliaia di persone impegnate a mantenere pulita l’area della diga di Itaipu, la più grande al mondo con le sue 20 turbine che producono il 25% di elettricità per tutto il Brasile e il 90 % per il Paraguay. Una realizzazione architettonica che fa paura per dimensioni ed estensione. Non ci si può fermare a pensare alla maestosità dell’opera perché ti verrebbe il capogiro e crolleresti a terra disarmato interrogandoti dove l’uomo potrà mai arrivare.

Benvenuti in Sud America!  

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

P.S. e pensare che ero partito per raccontarvi il progetto Olimpiadi Rio 2016! mi sono perso ma arriverò prima o poi.
P.S.2 Un mito che fa di nome Francesco Jacobelli. Carissimo geologo ho passato la serata ad esercitarmi e ora sono un mago, ripiego e riprendo le cuffiette in un attimo all'occorrenza - grazie ... rock style

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #27 il: Marzo 14, 2011, 11:49:25 am *
«Con quel che ci è accaduto, quel che succede,
quel che conosciamo e quel che non possiamo conoscere,
inventiamo un qualcosa che non è una semplice rappresentazione,
ma una creazione totalmente nuova e più reale
di qualsiasi cosa reale ed esistente,
e se la rendiamo viva e
il risultato è buono, diventa immortale».
Ernest Hemingway

Vi prego passatemi il paragone, non mi sono montato la testa, ma lasciatemi dire per un solo momento che mi sto immedesimando in uno dei mie miti letterari e cioè Ernest Hemingway. Dai... non sorridete e se avete pazienza cerco di spiegarvi perché. E’ risaputa la passione per la pesca del grande scrittore statunitense e io guarda caso sono seduto a pescare in compagnia di Argos - il general manager della Federazione Brasiliana - discutendo di cose che sono la mia vita e che implicheranno per il futuro un enorme impegno. Attorno a noi una sorta di oasi di verde, palme, alberi, acqua, ruscelli che rinfrescano l’aria tutt’intorno. La canna da pesca in mano che ogni tanto ci fa sobbalzare sulla sedia con braccioli. Il pescetto fritto sul tavolo ci fa buona compagnia così come la freschissima Sol - una birra brasiliana che fa 4 gradi e mezzo e che ti disseta e ti tiene allegro.
Si parla dei progetti futuri, di quello che qui inizia già a concretizzarsi, del lungo lavoro che ci aspetta per cercare di arrivare preparati al sogno olimpico di Rio 2016. L’idea è quella di avere quattro centri sparsi per il Brasile con un riferimento nazionale che è a Foz do Iguacu dove fluiranno i migliori atleti per definire tecnica e preparazione. Nelle altre sedi si lavora con la base partendo dalle scuole con 4 allenatori per singola realtà impegnati costantemente sei giorni alla settimana per mettere le basi dello slalom. I giovani partono dall’acqua piatta con l’eskimo, poi impostazione sulle porte, verifiche tecniche, test, e avvicinamento all’acqua mossa. Si sta pensando a tutto, dalle sistemazioni logistiche, alle collaborazioni con medici e fisioterapisti, materiali tecnologici, alle strutture e come evitare errori che ovviamente ci saranno nel corso del lungo cammino. Ho preparato uno studio ed una analisi sul concetto di base che dovrà guidarci da qui al 2016, prendendo in esame esperienze internazionali per oltre tre decenni. Tutto ciò lo presenterò il 17 marzo ad una serie di figure che opereranno nel progetto. Sono fermamente convinto che il lavoro, unito a periodiche verifiche e aggiustamenti, possa portare lontano. E’ un puzzle che va unito e fatto funzionare attraverso una ottima gestione politica, amministrativa e ovviamente tecnica. Come dice il grande Alviano Mesaroli il lavoro dell’allenatore è quello dell’alchimista che cerca di trasformare i metalli vili in metalli nobili! Un lavoro delicato, paziente, dalle mille sfaccettature che mette insieme tante conoscenze, senza tralasciare la quotidianità e la pratica, perché senza tutto ciò non si può pensare di portare avanti grandi progetti.
Passeranno tanti giorni in mare aperto senza pescare un pesce, ma “l’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non essere sconfitto” come il vecchio Ernest ci ha insegnato.
Seduti vicino a me ci saranno vecchi e giovani amici che accompagnerò qui quando verranno a trovarmi. Pescheremo assieme, ci racconteremo le ultime novità, salteremo sulla sedia quando i grossi pacu abboccheranno alla nostra lenza. Li sfiniremo per qualche minuto prima di tirarli fuori dall’acqua. Saranno giorni che non dimenticheremo tanto facilmente, seduti a gustarci la birra leggera e fresca che c’è da queste parti e il buon pescetto fritto. Vi racconterò come stanno crescendo i ragazzi che alleno, vi racconterò e vi farò vedere che i sogni qualche volta possono concretizzarsi, che i sogni prenderanno forma e forse farete fatica a risalire sull’aereo per tornare a casa, ma comunque vada tutto ciò deve essere vissuto per capirlo e per sentirlo scorrere nelle vene.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 14 marzo 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #28 il: Marzo 16, 2011, 09:27:02 pm *
Chi l’avrebbe mai detto che il mio borsone olimpico finisse la sua avventura in un paese lontano, oltre oceano eppure la vita ci riserva sempre tante sorprese.
Mi ricordo quando lo ricevetti, faceva parte del completo olimpico per Atene 2004. Bello, robusto, una tela molto particolare, blu con inserti azzurri e il bianco ai lati con la scritta “Italia Team” e sotto il tricolore stilizzato. Su un lato porta il logo del Coni, che per la verità non mi piace molto e anche al sua simbologia mi lascia un pochino perplesso. Nel lato opposto il marchio dell’allora sponsor tecnico e cioè ASICS che come tutti sanno è l’acronimo di Anima Sana in Corpore Sano aforisma di “mens sana in corpore sano”. Già... quante avventure assieme e ora purtroppo è arrivato il tempo dei saluti, ma si sa che prima o poi bisogna affrontare questo aspetto della vita. Per la verità avrei dovuto lasciarlo morire tranquillo in Australia, infatti il danno finale successe proprio la sera prima di partire. Stavo chiudendo la cerniera principale e chiesi aiuto a Zeno perché effettivamente era troppo carico. In due si sa si fa meglio e non ci furono problemi a comprimere un pochino le cose al suo interno e a chiuderlo. Nel mentre però che eseguivamo una manovra che di per sé è sempre complessa e rischiosa, successe il patatrak! La zip si chiuse ma cedette un lato della cucitura. Zeno ed io ci guardammo molto perplessi. Il povero borsone ora si trovava ferito e pieno di mercanzie, ma soprattutto doveva affrontare un viaggio trans-oceanico, doveva esser preso in consegna da chissà quante mani e trasportato a lungo su nastri trasportatori che non hanno pietà delle loro prede. Loro, i nastri trasportatori, non guardano in faccia nessuno e vanno diritti verso l’obiettivo, poco importa se ad una curva il passeggero sbatte sugli angoli o su un cavalcavia scivola verso valle, tanto troverà qualcosa di più pesante che lo fermerà e lo riporterà a destinazione e soprattutto non parla, anche se i segni però, a volte, li porta evidenti.
Le alternative erano due. La prima cambiare borsa e abbandonare al suo destino il povero sventurato, ma non avevo nessuna voglia di rifare un’altra volta la fatica che avevo appena concluso. Facendo così avrei poi lasciato il mio figliolo senza bagaglio costretto ad andare a comprarsi una borsa nuova, visto che avrei dovuto prendere la sua. L’idea geniale però balenò prima negli occhi del giovincello e poi nella sua mente che espresse una banalità più che unica: “ che problemi ci sono all’aeroporto te lo fai imballare”. Giusto e così feci. A Buenos Aires, dove mi sono fermato una notte e ho dovuto cambiare aeroporto con conseguente nuovo check-in, ovviamente non ho sballato il borsone con la scritta Italia, per questo motivo ho dormito vestito in hotel e mi sono comprato uno spazzolino per i denti nuovo appena sbarcato a terra.
Arrivato a destinazione ho tagliato le striscette che lo tenevano unito e lui l’amico di tante avventure si è sciolto come neve al sole. La tasca laterale era un po’ che mi aveva abbandonato, il fondo era decisamente provato, ma tutto sommato manteneva il suo aspetto fiero non fosse altro per la grande avventura sportiva che aveva vissuto solo sette anni prima. Per dirla veramente tutta l’ho riempito ancora una volta visto che ho dovuto cambiare hotel, nell’illusione che forse mi ero confuso e che in realtà tutte le sue parti erano ancora integre ed efficienti. Mi sbagliavo anche se il vecchio borsone ha cercato di avere la sua ultima impennata d’orgoglio e mi ha condotto fino all’interno della nuova camera. Lì si è lasciato morire e lì lo lascerò portando però sempre con me un ricordo molto bello dei giorni trascorsi assieme. Mi sembrava giusto fargli conoscere il suo sostituto che ho appena acquistato su una bancarella nell’avenida Brasil per poco meno di trenta euro. Tutto nero, porta anche due rotelline su un lato per faticare meno nei tragitti tra i lunghi corridoi di aeroporti che non finiscono mai. Ha due barre di rinforzo nel fondo e ovviamente il tipo che me l’ha venduto mi ha assicurato che è di ottima qualità, tela grossa e zip a prova di bomba, importante è crederci!
Non facciamo un dramma però! Nella vita bisogna cambiare ed essere aperti sempre a nuove avventure, ricercare nuovi lidi con entusiasmo e passione. Non mi dimenticherò della mia vecchia valigia, non mi dimenticherò mai di tutte le cose che mi ha trasportato per il mondo, non dimenticherò mai il suo devoto contributo che ha contribuito a farmi vivere questa nuova e affascinante avventura.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 16 marzo 2011

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #29 il: Marzo 19, 2011, 12:15:37 am *
Molti slalomisti si ostinano ad usare il palo come punto preciso di riferimento per eseguire manovre di rotazione o spostamenti specifici. In realtà non sempre i tracciati costringono l’atleta a tutto ciò, ma i meccanismi allenati in quel modo portano comunque a questo tipo di scelta. Dal mio punto di vista diventa un fattore limitante e sbrigativo: limitante perché troppo spesso ci si dimentica che si possono scegliere altre linee d’acqua per entrare nelle risalite oppure nelle porte in discesa: il palo, o la porta, diventa l’unico riferimento visivo dell’atleta creando dei limiti nella scelta di altre possibilità, senza considerare tutti i rischi che si assumono ruotando vicino o sul palo stesso.
E’ sbrigativo perché l’atleta nella sua analisi a secco non prende in considerazione bene i movimenti d’acqua che dovrebbero essere alla base di ogni spostamento sul tracciato.
Cosa si deve e cosa si può fare per far capire all’atleta di analizzare meglio l’acqua prima di prendere decisioni affrettate? Il primo consiglio che normalmente adotto è quello di proporre percorsi molto aperti che seguano l’acqua con il posizionamento del palo distante dal punto dove l’acqua è più vantaggiosa. In questo modo l’atleta non prenderà nemmeno in considerazione il riferimento visivo del palo, ma cercherà l’acqua veloce. Il secondo metodo che utilizzo è quello di costringere l’atleta, attraverso il posizionamento della porta precedente, ad utilizzare linee molto rette prima per arrivare in anticipo sul passaggio che mi interessa. Lo scopo rimane quello di cercare anche soluzioni lontano dalle porte che diventano in questo modo esclusivamente un passaggio obbligato niente di più. “De paso” si dice in portoghese di una porta posizionata in corrente e che si traduce bene con la parola transito che rende benissimo l’idea del concetto che vorrei esprimere. Myrian Jerusalmi, ora do per scontato che la conosciate tutti altrimenti chiedete a google.com, spiega bene il concetto dello slalom. In sostanza lei dice che è molto semplice basta seguire i numeri sopra le porte che ti dicono in che sequenza devi fare il tutto! Semplice no? Lo stesso concetto di quando guidate la macchina. Infatti i segnali sono posti diversi metri prima di quello che vogliono segnalare così successivamente vi trovate pronti a fare ciò che è indicato. Il tutto quindi con margine ed anticipo e non all’ultimo secondo rischiando di non fermarvi allo stop.
Mi sembra di avervi detto tutto in merito a questa idea che sto cercando di far percepire ai giovani atleti brasiliani e non inculcare. Ah! forse inculcare in questi giorni è un po’ inflazionato. E’ un po’ che sono fuori dall’amata Italia, ma le castronerie del nostro premier fanno il giro del mondo.

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguacu, 18 marzo 2011

Skillo

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #30 il: Marzo 20, 2011, 08:34:20 am *
Mentre consumo l'orizzonte e do tempo alla barba di crescere mi capita anche di fare delle osservazioni su giovanissimi canoisti  (12/16 anni) che si avvicinano al C1 in modo quasi del tutto ingenuo, sia ragazzi sia ragazze. Alcuni sono kayakisti e ci cimentano in canadese solo per allenamento, qualcuno mostra di scoprirsi canadese istintivo puro e sembra già definitivamente orientato alla monopala. Come al solito.
Ebbene vedo due fenomeni:
-  Tutti cercano di dirigere e procedere con aggiustamenti in debordé e riescono a districarsi benino fra le porte ancor prima di saper condurre una linea dritta precisa. Nessuno di loro sente la necessità di reinventare il gesto del vortice tantomeno sfregando il manico contro il fianco della barca. In effetti guardando un filmato attuale sul fiume e pure in acqua piatta non vediamo più distintamente eseguire il vortice dagli atleti evoluti; ma il fatto di non vederlo ci autorizza a credere che l'essenza, l'embrione di quel gesto non sia più presente nella pagaiata canadese? Io non lo so. Qui dovrebbe pronunciarsi un tecnico della canadese più aggiornato. Altra domanda è questa: anche ammesso logicamente che non serve eseguire ogni pagaiata con una componente di vortice, daccordo, possiamo per questo stabilire che si può oggi fare a meno di attraversare una fase iniziale di apprendimento nella quale il vortice viene appreso ed eseguito in modo scolastico? Dunque: visto che da soli non lo fanno (non in tempi rapidi almeno), è allora necessario che qualcuno glielo insegni oppure viene da solo prima o poi, oppure non serve più del tutto?
-  Altra cosa che osservo: nessuno prova se non incidentalmente a spostare il peso dalla parte opposta alla pagaiata, atteggiamento che una volta era considerato assolutamente imprescindibile della tecnica canadese. E' interessante notare che le tecniche abbiano un'evoluzione eppure il fatto che il peso si portasse all'esterno opposto alla pagaiata non poteva essere solo un vezzo d'altri tempi, era qualcosa che evidentemente rispondeva a una logica. Ancora una domanda: potrebbe essere utile al giovane atleta conoscere la tecnica, ed eventualmente anche gli errori, di quelli che praticavano lo stesso gesto in precedenza?
Scusa se ti cito ma ho letto solo ora e devo chiarire a cosa mi riferisco in ciò che scrivo.
Il "vortice" è la base dell'avanzamento rettilineo della canadese slalom singola in acqua piatta. 
Se vuoi solo "spostarti" dal punto A al punto B puoi certamente usare pagaiate in debordè, frenatine, agganci, richiami, fianchi e quello che vuoi, ma se vuoi farlo nel minor tempo possibile (e con la massima economia) non puoi fare a meno di eseguire una buona "J".
Col C2 potresti riuscirci senza, così come con il c1 discesa (col c2 non la DEVI proprio fare), ma in fiume, dove col c1s puoi fare quasi tutto velocemente senza dover per forza usare la J, la sua obbligatorietà diventa crescente per il c2s, per il c1d e per il c2d.
In discesa, sui fiumi, ti assicuro che i fianchi delle canadesi e i manici delle pale si segnano pesantemente ancor oggi così come spesso si segnano i fianchi dei c2s all'altezza del pozzetto posteriore.
Io imparai bene lo "J" (scusami ma "vortice" mi è un po' alieno) solo quando feci il militare a Sabaudia. Lì, per me che in acqua piatta ero abituato a fare al massimo 20 metri in linea retta, dovetti fare i conti con quelle che mi parvero sterminate distanze. Imparai e ne fui davvero felicissimo perché, come tutte le cose, se lo sai fare puoi anche non usarlo, ma se non lo sai fare ....
Lo spostamento del peso per quanto riguarda il ciunista slalom è invece legato a ciò che ha già detto Ettore: la regola maxima della canoa fluviale è racchiusa in un'unica parola: equilibrio. Chi non ha problemi di equilibio può pagaiare laddove altri sono costretti a pensare anche a stare meglio in piedi. La propulsione o la manovra più efficace sulla carta, funziona in pratica solo se la si può mettere in opera senza componenti parassitate da problemi di equilibrio. In poche parole: se non ti devi spostare col peso per bilanciare ciò che fai in acqua, vuol dire che non serve farlo.
IBAL

Filippo Caminati

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #31 il: Marzo 22, 2011, 12:19:44 pm *
Io personalmente che pagaio sia in C2 che in C1 discesa, e da poco anche con i SUP, mi accorgo che ora mai specialmente in C1 discesa sono sempre di più quelli che cambiano lato e che quindi non hanno quasi bisogno della J o come lo chiamo io lo "scarto", io che invece pagaio sempre e solo da un lato lo utilizzo sempre, avendo un assetto asimmetrico dentro la barca con il ginocchio opposto al lato di pagaiata più avanzato lo scarto è quasi impercettibile specialmente quando il ritmo è superiore alle 70 pagaiate a minuto ma essenziale,  in c2 secondo me non è proprio vero che non viene usato perché gli scompensi di forza portano comunque ad uno sbandamento laterale e quindi diviene quasi necessario utilizzarlo, magari in modo meno accentuato ma io lo uso, anche per poter fare le curve senza usare la timonata. Con il Sup che sto provando negli stessi giorni mi capita la stessa cosa ovvero non cambio mai lato e utilizzando la J procedo sempre in linea retta.
Io personalmente trovo difficile insegnarlo perché le persone trovano più naturale cambiare lato invece di utilizzare la J, forse perché il pagaiare sempre da una stessa parte richiede più equilibrio. Detto questo secondo me è giusto che i ragazzi ci arrivino per gradi e in modo naturale per poter acquisire una propria tecnica di avanzamento.

Ciao

Ettore Ivaldi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #32 il: Marzo 23, 2011, 06:34:07 pm *
A volte alcune giornate diventano veramente importanti. Ti fissano e ti rimembrano aspetti fondamentali. E’ stato così oggi con il gruppo del pomeriggio con cui ho lavorato con molto piacere e con il tempo che a volte ti sembra ti possa prendere in giro tanto passa velocemente.
Avevo il rumore del canale alle spalle che mi richiamava, ma ho preferito far finta di nulla e  lavorare sull’acqua piatta per ripassare e per puntualizzare alcuni fondamentali. Certe volte ci vuole coraggio per saper dire no!
La pagaiata, che sembra una cosa scontata per molti e sulla quale si passa spesso e volentieri sopra, rivela in realtà la vera potenzialità di uno slalomista. Il modo con cui si ruotano le spalle  e con cui si tira la pala in acqua con la relativa spinta dei piedi la dice lunga. Ho cercato di mettere nella condizione i miei giovani atleti di scoprire quante cose si possono fare mantenendo la pala in acqua sia per le canadesi che per i kappisti. Ho cercato di far capire che la pala non è altro che il prolungamento in acqua delle nostre mani e del nostro… “culo”. Risate perché pensavano che scherzassi, ma in realtà, dopo i vari sghignazzamenti e chiarimenti sul fatto che proprio lì abbiamo grandi neurotrasmettitori hanno “tastato con mano” quanto detto e proposto. Anche i più esperti tra loro si sono resi conto che se si utilizzano al meglio la rotazione delle spalle e la pala nell’acqua si risparmia la forza delle braccia che potrebbe venire buona al momento di dover cambiare ritmo o per risolvere situazioni con poco spazio e in maniera molto dinamica.
Domani proseguirò il lavoro con gli istruttori che seguono il lavoro del gruppo dei giovanissimi, più di 1.000 ragazzini che, tre volte alla settimana, vanno al lago ad apprendere l’eskimo e i fondamentali della canoa. Bisogna avere la certezza che i giovanissimi abbiano la possibilità di essere messi nella condizione di scoprire da soli le tecniche di base aiutati e coaudiuvati da personale preparato ed attento. Quella che viene chiamata la scoperta guidata. Ma come fare se ci si intestardisce a tutti i costi solo ed esclusivamente sull’apprendimento legato a gesti tecnici troppo schematizzati e senza dare spazio alla percezione dello stesso movimento? Ecco domani cercherò di trasmettere tutto ciò a chi deve seguire i primi passi... (pagaiate) degli oltre mille giovani brasiliani che si stanno mettendo in moto per un grande obiettivo.
Mi accorgo solo ora però che il 21 marzo è passato. E qui finisce un altro inverno fra i paletti dello slalom. Ringrazio tutti i lettori che mi hanno accompagnato dal 16 gennaio a oggi. Spero di avervi trasmesso emozioni sentimenti che abbiamo avuto la fortuna di vivere prima in Australia e ora in Brasile. Ho condiviso con voi preoccupazioni, dubbi, ma anche certezze e voglia di migliorare. Ho cercato insomma di farvi partecipi di tutto ciò che un allenatore dello slalom vive costantemente... spero di esserci riuscito.
Un ringraziamento particolare a tutti gli interventi che hanno animato e stimolato tutti noi. Sono certo che molti avrebbero voluto partecipare, ma forse per pigrizia non l’hanno fatto, qualche volta però bisogna sforzarsi per cercare di comunicare nella speranza che si possa sempre migliorare e superare momenti troppo statici e negativi per il nostro movimento. La stagione è ormai alle porte e quindi fra non molto si ritornerà a parlare di selezioni, noi qui in Brasile le abbiamo finite domenica scorsa. Torneremo ad emozionarci con la Coppa del Mondo per arrivare diretti al mondiale di Bratislava alla seconda settimana di settembre: selezione olimpica!
Che dire di più se non augurare a tutti una grande stagione fra i “paletti dello slalom” e naturalmente ...

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Foz do Iguazu, 23 marzo 2011

maurizio bernasconi

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #33 il: Marzo 23, 2011, 08:56:15 pm *
come tutte le cose, se lo sai fare puoi anche non usarlo, ma se non lo sai fare ....
Sono c.zzi... appunto... concordo con Skillo.

E da Ettore viene questa definizione davvero efficace: "la scoperta guidata". Caro Ettore casualmente in questo periodo sto leggendo delle lezioni teatro di Strasberg, tenute all'Actor Studio negli anni '60. Ti stupiresti perché le sue parole e il suo metodo con gli attori somigliano in modo incredibile ai tuoi. E' un punto di vista che definirei "moderno", dunque contrario a un criterio "tradizionale" di insegnamento di qualcosa che si immagina definitivo, perfetto ed eterno". Forse tornerò su quest'argomento un po' complesso ma appassionante. Se qualcuno poi mi fa sapere che gli interessa, ne riparlo volentieri. 

E' abbastanza sconfortante accorgersi che anche su argomenti di ABC come questo della pagaiata canadese sfuggono persino i termini necessari per spiegarci con chiarezza tra noi. Non ho difficoltà comunque ad abbandonare l'autarchico "vortice" per adottare volentieri "J", che ha il vantaggio di essere capito ovunque.

La pratica diretta, le immagini filmate e gli altri ausili di apprendimento sono utili ma non potranno mai sostituire le parole perché le parole sono gli strumenti che utilizziamo non solo per comunicare ma anche per pensare. Pensare al nostro gesto tecnico non è obbligatorio, potremmo anche vincere un mondiale senza mai riflettere su quello che stiamo facendo. Però un istruttore ci pensa. Chi disegna una canoa ci pensa. Chi inventerà una soluzione geniale ci pensa. Chi saprà spiegare con chiarezza ai giovani quello che sta facendo ci pensa.

In attesa di tornare sul discorso del "J", argomento che non mi sembra esaurito, metto la mia pietruzza intanto alla costruzione di un piccolo vocabolario utile con una definizione di "scarto".
 
- Lo scarto è un'altra cosa. Viene da écart (francese). E' quella manovra brusca che si realizza, direi quasi solo in slalom, portando la pala canadese proprio sotto alla pancia della canoa, o al fondo se preferite, spostando l'oliva all'esterno e il peso del corpo leggermente dalla parte opposta, per poi tirare con decisione facendo leva col manico sul fianco dell'imbarcazione. La canoa si sposta lateralmente dalla parte opposta alla pala immersa la quale agisce con il lato del suo dorso. In acqua ferma un C1 da slalom si sposta lateralmente circa di un metro, ma lo scarto si usa per lo più in C2, soprattutto per spostare la coda e raddrizzare la traiettoria. Da quando i due pozzetti sono ravvicinati forse conviene eseguirlo in modo più arretrato, anche se così facendo la forza sarà certamente minore e potremmo definirlo qualcosa di più simile a una timonata.

Ben vengano correzioni e integrazioni a questa definizione.
 

Skillo

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #34 il: Marzo 24, 2011, 07:52:07 am *
Pronti!
Maurizio ha detto benissimo; lo scarto deriva da ... ed è quella manovra che ...
tutto giusto.
Integriamo un po: lo scarto cambia il suo effetto a volte in modo radicale a seconda del dove, come e quando viene effettuato. Se parliamo di c1s e stabiliamo per semplicità che la barca sia immobile in acqua piatta possiamo ottenere una traslazione o scarroccio verso il alto opposto di pagaia, proprio come ha detto Maurizio, se eseguiamo lo scarto all'altezza del pozzetto. Se spostiamo il punto di appoggio della manovra verso la coda otterremo una componente rotazionale tanto maggiore quanto maggiore sarà la distanza dal pozzetto del punto d'appoggio o di applicazione.
Va da se che la componente di traslazione (lo spostamento laterale del centro geometrico della canoa/canoista ) diminuirà proporzionalmente. Riuscendo a fare uno scarto all'altezza della maniglia di coda si otterrà una rotazione quasi priva di scarroccio.
Se invece di spostare il punto d'appoggio dello scarto verso la coda, lo sposto verso la prua della canoa, ottengo le stesse identiche cose ma con rotazione inversa.
Va detto che lo scarto è una manovra potente ma che essendo legata ad un punto d''appoggio e a delle misure geometriche non grandissime, tra le quali ricordo "lunghezza della pala" e "ampiezza del movimento", ha dei vantaggi importanti a fronte di limiti precisi.
Con lo scarto posso iniziare o bloccare una rotazione ( blocco, che è poi sua principale funzione) ma non posso effettuare una rotazione veloce e ampia della canoa, posso scarrocciare potentemente ma solo per poche decine di cm.
Questa manovra era spesso usata in situazioni che oggi non la vedono più protagonista come un tempo. Una manovra che a me è sempre piaciuta molto era la rotazione dei c2s con lo scarto effettuato dal canoista anteriore. Il caso tipico era la classica porta da eseguirsi in retro. Per capirci bene pensiamo alla solita situazione risalita, discesa sullo stesso filo e discesa sul filo successivo e quasi in asse con la risalita. Il c2 che ha l'anteriore pagaiante a valle nel tratto risalita-retro può effettuare lo scarto anteriore durante la rotazione nella retro scegliendo il punto d'appoggio sul fianco a seconda della necessità, miscelando rotazione e arresto della canoa.
Un esercizio interessante ai fini della pura giocoleria e della gestione dell'equilibrio è lo scarto in debordè.
Tornando allo scarto classico, uno degli ultimi grandi scartatori in c1s fu l'inglese Edges che, prima di morire in un tragico incidente d'auto, deliziò il mondo della canoa col suo stile pressocché unico. Stile col quale agguantò un bronzo ai mondiali di Augsburg, quelli che videro il nostro ottimo Demonti sulla quarta piazza e l'estroso Dario Ferrazzi quinto nei k1.
In discesa invece, lo scarto viene usato alla grande: spesso non c'è modo migliore di bloccare efficacemente la rotazione di un c2 e, qualche volta, anche di un c1 in uscita da una veloce rotazione stretta o dall'effetto indesiderato di qualche componente della corrente o dei flutti o di qualche ostacolo.

A presto.

Filippo Caminati

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Re: L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
* Risposta #35 il: Marzo 24, 2011, 01:31:58 pm *
In C1 discesa specialmente mantenendo la barca piatta si usa utilizzare sotto la barca per creare un vortice che fa scarrocciare la barca sul lato della pagaiata per mantenere una traiettoria lineare e quindi di avanzamento perfetto.... poi per curvare sullo stesso lato il discorso si amplia, ma per quanto mi riguardo avendo avuto l'opportunità di pagaiare con V. Panato lui mi disse che per far avanzare il C1 importante è il far muovere la pagaia nell'acqua quasi al di sotto della pancia per creare un effetto di spostamento....