A metà degli anni '70 spesso andavo in canoa per fiumi con l'amico Carlo Testa, per me come un fratello maggiore. Capitava già ai primi di marzo, se un pallido sole iniziava a sciogliere la neve di bassa quota. Caricavamo i nostri kayak in vetroresina su una 127 presa in prestito e via a cercar le prime acque. Guidava lui, io ero ancora spatentato. Allo sbarco, le nostre maglie di lana infeltrita fumavano di vapore, ovviamente non possedevamo alcuna muta ma per proteggerci dalle valangate d’acqua, almeno io, solo la classica Kway. Bivaccavamo lungo le rive e la mattina era dura alzarsi con l'idea di tornare a bagnarsi nelle gelide acque. Era arduo anche fare colazione, non avendo un fornello e con l'acqua delle borracce completamente ghiacciata per il freddo notturno. Dopo le prime volte mi feci furbo e iniziai a dormire con la borraccia nel sacco a pelo.
Mi chiedo ancora chi me lo facesse fare e credo solo per spirito di evasione, per senso di libertà. Quello stesso senso che prese il mio amico e lo portò a "naufragare" solo e smarrito, con due lire in tasca, dall'altra parte dell'oceano a "cercar fortuna", a inseguire un'illusione di felicità, un sogno nuovo, un bisogno di concretezza, più facile da realizzare nel Nuovo Mondo, e così fu, conquistandosi una cattedra di Italianistica e Culture comparate all'Università di Vancouver, dove tutt'ora insegna.
Mi trovai spiazzato. Le pagaiate insieme s’interruppero bruscamente, ma non la nostra amicizia, sempre viva, nonostante l’immensa distanza, nonostante non sia mai andato a trovarlo in tanti decenni. Il suo pensiero, come spesso accade a chi prende e va, rimase sempre rivolto alla sua terra, alla sua Lombardia, ... la nostra terra, così vicina e oggi così lontana nel chiuso delle nostre case.
Dal fondo dei suoi ricordi ha estratto questa poesia, un omaggio a tutti noi, scritta in Texas nel lontano 1983.
(Per leggere la poesia, cliccate sul titolo della chat; la troverete in allegato al mio post)