Accolgo l’invito di Marittimo e apro un nuovo topic artico sul roll, o kayak roll (o canoe roll) o Greenland roll, impropriamente chiamato eskimo roll e, in Italia, eskimo.
Non posso che trovarmi d’accordo anche con l’ultimo intervento di RossoFiorentino, postato nel topic “Pagaia Groenlandese o Tradizionale”.
Il kayak, o qajaq in lingua Inuit o iqyax in lingua Unangax, era una fonte di vita per quelle popolazioni; era uno dei beni più preziosi, se non il più prezioso di ogni famiglia, e per questo era fonte di gioia, quando si ritornava dalla cacccia con carne, pelli, grasso…
Proviamo però a spostarci dietro le quinte. Andare a caccia in kayak era indubbiamente pericoloso e poteva generare paura, angoscia, depressione e, fisicamente, lesioni, ferite o morte. Quando la stagione estiva volgeva al termine, non c’era tempo per fermarsi, c’era la necessità di prepararsi per il lungo e gelido inverno con adeguate scorte alimentari, di combustibile, di pelli ad uso personale e, dal 1500 in avanti, anche di pellami in genere, che l’anno dopo, nella successiva stagione estiva, avrebbero scambiato con prodotti che, via via, diventavano ai loro occhi sempre più necessari se non essenziali, offerti da balenieri e commercianti europei.
Come è nell’indole umana, archiviavano le esperienze negative e cercavano di esaltare le gioie, le soddisfazioni, la bellezza, l’entusiasmo alla vita, che, nonostante la sua durezza, valeva la pena, mettendo al mondo figli da crescere, sfamare, vestire, istruire ma era richiesta determinazione e volontà per superare avversità e convivere con una natura molto più inospitale e aspra che in altri luoghi del mondo. I morti si coprivano di sassi o, quando possibile, si sotterravano e si compiangevano al buio, nel silenzio del proprio cuore, perché, quando il sole brillava, non restava che guardare avanti e pensare alla vita, anziché perdere tempo a scrivere pipponi come i miei sul Foum di CK Italia.
La vita delle popolazioni artiche era di una durezza a noi incomprensibile. Chiunque di noi sarebbe emigrato verso sud, eppure questi popoli non emigrarono. Addirittura alcune etnie pare che si trovarono spiazzate nei momenti di minore glaciazione e soffrirono, perché non seppero adattarsi con le loro tecniche e il loro stile di vita a climi più miti!
Da primavera avanzata e per tutta la stagione estiva, per procacciarsi il cibo, sempre lo stesso, poi preparato più o meno sempre nello stesso modo, uscivano in kayak in mare, talvolta si ritrovavano a largo con venti che tagliavano la faccia e mare agitato, non potendo contare su 3BMeteo, e non erano neppure rare le onde anomale, dovute alla rottura e caduta in acqua di enormi blocchi di ghiaccio. I violenti strattoni delle prede arpionate o gli attacchi di quelle mancate o disturbate e innervosite completavano il quadretto, mettendo in serio pericolo l’incolumità dei kayaker, che rischiavano di capovolgersi.
Alcune etnie zavorravano i kayak per renderli quasi irribaltabili, altre prediligevano scafi dalle forme molto larghe e dai fondi piatti, per ottenere una grande stabilità primaria (tanto per ribadire che i kayak impiegati erano delle più varie fogge e non c’era il kayak ideale - come spesso si crede - visto che fogge anche molto diverse tra loro erano impiegate per i medesimi scopi in condizioni e mari analoghi da etnie diverse). Questi popoli, avendo quasi azzerato il rischio di ribaltarsi, non conoscevano affatto le manovre del kayak roll. Infatti i kayaker delle popolazioni artiche non erano tutti abili nel roll, anzi, è vero il contrario.
Alcune etnie, come gli Inuit, impiegavano kayak non così stabili da annullare il rischio di ribaltarsi e per questo si trovarono a sviluppare le tecniche del kayak roll.
Ribaltarsi a quelle latitudini, se non si era in grado di eseguire il kayak roll, significava morire in breve per ipotermia; ma ancor prima che subentrasse l’ipotermia, si moriva per annegamento, poiché non sapevano nuotare. Quando mai avrebbero potuto imparare a nuotare in quelle acque gelide?
Anche se fossero stati capaci, sarebbero comunque stati impediti dai pesanti indumenti che indossavano per proteggersi dal freddo, che si sarebbero impregnati d’acqua; il panico li avrebbe colti e sarebbero andati pian piano a picco. Senz’altro qualcuno si salvò aiutato dai compagni, se si trovava in prossimità della riva e se riuscivano a tenerlo al caldo, ma non andò sempre così.
Immaginate di non saper nuotare e di sentirvi costretti ad andare in kayak a cacciare in un mare gelido, anche lontani da riva. Appare allora comprensibile come tra i maschi di tali popolazioni potesse sorgere la fobia dell'acqua allo stato liquido, al punto da provare terrore alla sola idea di salire su un kayak. Per quanto ci si avvicinasse al kayak da molto giovani e facesse parte del vissuto quotidiano, non erano poi così rari i casi di giovani che non riuscivano a superare la paura iniziale e si faceva prendere da questa fobia. Chi non imparava a condurre un kayak sentiva venir meno la propria dignità di uomo, diventava un problema enorme per tutti, un peso per gli altri e non potendo cacciare, non poteva mettere su famiglia, non poteva occuparsi della sopravvivenza di una moglie, di figli, dei suoi genitori. Tali fobie erano oltretutto alimentate dagli incidenti mortali che prima o poi capitavano in ogni comunità e che colpivano duramente la famiglia di appartenenza del disgraziato.
Capitava che nelle battute di caccia qualcuno si ribaltasse e crepasse, o perché non sapeva eseguire il roll o perché non era così esperto nella manovra, dato che, ribaltandosi mentre di cacciava, ci si poteva trovare impigliati in una cima o senza più il contatto con la pagaia, e non era particolarmente piacevole esercitarsi a fine giornata nelle acque davanti a casa. Ogni morto annegato in un villaggio aumentava il terrore nelle psiche dei più deboli, al punto che capitava che alcuni si rifiutassero di salire in kayak e, di conseguenza, di cacciare e sostenere la propria famiglia. Immaginate la morte in kayak di un amico non per “fatalità”, né per errore, ma solo perché - come voi - non sapeva eseguire il roll; annegato in fiume che scorre in un canyon senza possibilità di sbarco, che aveste dovuto scendere anche voi il giorno seguente!
Chi vinceva la paura inziale, la maggior parte dei maschi, non avevano tuttavia il coraggio o lo stato d’animo per imparare il roll. Immaginate, ancora, di dover imparare questa manovra senza saper nuotare, al circolo polare artico, non in piscina o nei nostri mari caldi, senza la maschera al volto per recuperare l’orientamento stando sotto sopra e vedere la posizione della pala, con indumenti che, per quanto ben studiati, non sono certamente come le nostre mute stagne e le nostre maglie tecniche, pur potendo contare sull’assistenza di un maestro, le lezioni potrebbero diventare penose e angoscianti, se non vedeste in breve i primi risultati incoraggianti. E spesso tardano a venire, non s’impara al primo colpo. spesso accade. Per questo, la maggior parte – sottolineo – la maggior parte ci rinunciava!
Nel nostro immaginario pensiamo che fossero tutti capaci e bravi, ma non era affatto così. Bisognava superare la paura iniziale e, poi, ci voleva tempo, come in ogni cosa, per diventare esperti a costruire il proprio kayak insieme alle mogli, a pagaiare, a cacciare, a superare i drammi, e pochi diventavano dei veri esperti anche nel roll, capaci di raddrizzarsi in qualunque posizione e situazione.
Cito dal mio libro:
"Stupisce, invece, che la maggioranza di coloro che avrebbero dovuto conoscere il kayak roll non fosse capace di eseguirlo: nel 1911, quando il kayak era ancora uno strumento primario per la sopravvivenza degli Inuit, Hans Reynolds realizzò uno studio statistico su 2.228 kayaker attivi in Groenlandia, da cui risultò che solo 867, pari al 39%, era capace di eseguire il kayak roll, nonostante da sempre venissero organizzate gare e spettacoli di kayak roll d’estate tra quelle popolazioni."
All’inizio del 1900 furono eseguite anche diverse indagini medico-psichiatriche tra gli Inuit sulle loro fobie e paure (oggi definibili “attacchi di panico”), causate dal kayak e su come, in alcuni, fossero devastanti e limitanti.