Pochi nell'ambiente della canoa ricordano il suo nome e per la verità lui canoista non lo è mai stato, anche se il mondo dell'acqua viva a lui deve molto. Era comparso dal nulla in Valsesia verso la metà degli anni '80 con Paolo Oliaro e un paio di hydrospeed, i primi che si vedessero in Italia. Fu lui a organizzare i primi corsi e le prime discese commerciali. Il suo passaggio nel mondo dell'acqua viva durò una decina di anni ma la sua passione, quella alla quale sarebbe tornato, era la montagna. Roberto era anche uno speleologo esperto e con lui aprimmo i primi percorsi di Canyoning in Valsesia in anni nei quali il canyoning non era ancora arrivato in Italia. Arrampicava e camminava dando la sensazione di essere senza peso, la stessa leggerezza con la quale, apparentemente, affrontava la vita.
Roberto è stato uno dei protagonisti del "Mucchio Selvaggio", il gruppo di alpinisti che ruppe in modo irriverente le tradizioni e le convenzioni delle guide alpine. Introdussero il free-climbing, spesso slegati e vestiti di tenute improbabili.
Roberto era un maestro di vita, surreale e indescrivibile. Parlava sempre con tono assente e pacato dicendo enormità e raccontando storie stralunate dove personaggi veri si mischiavano con macchiette felliniane. Molte sue storie finivano con il racconto di un nano che l'aveva caricato di botte. Prudentissimo e spericolato sapeva valutare cosa fare e cosa no: ricordo perfettamente la prima discesa delle gole del Sesia in Hydro che lui fece fare al povero Piva perchè, a suo dire, avendogli salvato la vita, Piva era diventato di sua proprietà e doveva fare quel che diceva lui. L'acqua era tanta, ma Roberto aveva attentamente valutato che l'impresa era possibile, a noi sembrava un suicidio. Oggi ci scendono i turisti.
A Katmandu si fece ricamare su una maglietta nera "Metti la morte nella vita", non sapeva spiegare il perché, gli piaceva la frase. Durante una memorabile spedizione in Nepal si nutrì principalmente di vasi di maionese locale dal colore inquietante, gli piaceva anche se ne ricavava mal di stomaco ogni sera. L'anno successivo in Valsesia passo un'estate a trippa in scatola. Era irriverente e serissimo e nel suo profondo aveva già trovato la risposta a molte domande il che gli permetteva di essere quel che manifestava.
Scomparve dalla Valsesia una sera a bordo della sua Volga, l'improbabile limousine di produzione sovietica in uso ai dirigenti di partito affermando che Bonelli usciva dalla storia della Valsesia per entrare nella leggenda. Fu così.
Lo andai a trovare anni fa a casa sua a Torino, abitava in un magazzino-appartamento dove aveva sigillato le finestre col silicone per non far entrare il rumore, tanto diceva, non le apriva mai. Aristocratico, schivo e appassionato di antichità mi vendette il suo letto di noce, quello che da allora mi trascino nei vari traslochi per l'Europa.
Dormirci ora mi sarà difficile.
Ciao Roberto, non sai quanto mi manchi,
Andrea Gatti