Spazio Federazioni > Discussioni FICK

On the Road on the Wave!

<< < (12/19) > >>

maurizio bernasconi:
Ho trovato un'altra uscita di Baron sul sito federale. "...L’unico a passare in semifinale è però quello di Benetti-Masoero di cui Baron apprezza l’atteggiamento competitivo anche se registra che 'si sono complicati la vita in due settori nel finale'’’. Nessuno si complica la vita per caso! C'è un tono di sufficienza fuorio luogo in questo giudizio. Anzi trovo proprio fuori luogo che Baron esprima pubblicamente giudizi meno che riguardosi nei confronti di atleti di questo livello, che poi dovrebbero essere i SUOI altleti. Quel certo errore, o incidente, l'atleta se lo ricorderà magari per tutta la vita, lo sognerà di notte. Al contrario le espressioni di insoddisfazione di Baron non mi paiono di capitale rilievo per raggiuingere gli scopi prefissi. Piuttosto si potrebbe rincuorare un atleta giovane, se si avesse della delicatezza, perché capita di sbagliare e non deve essere considerato una tragedia. Al solito. Quando si vince, ecco l'elenco dei nomi e i meriti dello staff tecnico, quando si sbaglia è colpa degli atleti. Tutti sappiamo che in Federazione ci sono persone molto diverse e fra loro alcune sono valide, ma quando a rilasciare una dichiarazione è il responsabile tecnico dello slalom, in quel momento chi parla è la Federazione. All'estensore di questi pezzi redazionali non firmati sul sito della Fed. direi che non è di grande interesse tenerci informati sul disappunto eventuale del resp. tec. quanto sarebbe di somma utilità un bel copia/incolla coi risultati delle gare e i tempi. E magari la voce degli atleti. Dicano loro se si sono complicati la vita. Comunque non c'è nulla di nuovo sotto il sole, nella mentalità di alcuni dirigenti, è evidente, gli atleti sono un male necessario.   

Ettore Ivaldi:
Due panini con bistecca e cipolle, un hot-dog e tre bibite otto euro. La carne è molto buona e la birra è fresca e leggera. Lo sanno bene i tifosi sloveni che sono arrivati a Cunovo in gran numero. Loro danno calore e supporto ai loro atleti e in modo particolare al grande Pero, al secolo Peter Kauzer. Arrivano tutti assieme con un pullman, indossano magliette azzurre con il logo dei prossimi mondiali a Tacen  e sventolano bandiere all’aria facendosi sentire rumorosamente con trombette a fiato che ti spaccano le orecchie. E pensare che nel 2006, ai mondiali di Praga,  il presidente della Fick, dopo avermi cortesemente accompagnato alla porta come commissario tecnico, mi aveva offerto di rientrare occupandomi della tifoseria italiana. “ho capito qual’è  il tuo ruolo: organizzatore di viaggi all inclusive per la canoa italiana, visto che abbiamo sempre un sacco di richiesta in questa direzione”. Peccato però che io  faccia di mestiere l’allenatore dal 1994 e prima avevo pagaiato per il mitico Canoa Club Verona, poi per il Corpo Forestale e contemporaneamente per la squadra azzurra, ma  il tour operator... non che mi risulti. E’ come chiedere al presidente di allenare gli atleti invece di fare il suo mestiere. 
Giusto per la cronaca a seguire le imprese dei nostri eroi italici in quel di Bratislava ci sono: la fidanzata di un atleta, una  mamma e il papà di un altro azzurro con due loro amici digiuni della disciplina in transito per il mare della Croazia e un gruppo di ben: due  fans from home di Super Cali. Quest’ultimo però ci aggiunge tutta la squadra cinese - qui a Bratislava in attesa del pre-mondiale della settimana prossima - la fidanzata Alexandra e ovviamente il sottoscritto. Naturalmente alla sua lista si aggiungo anche Marina e Zeno!

Sabato, vigilia di ferragosto, dedicato alle gare a squadre che, come sempre, divertono e offrono spettacolo da non perdere. Perché questa splendida specialità non sia olimpica non si capisce proprio, visto che l’atletica leggera ha la sua prova collettiva  e  così è  per il nuoto, scherma, tennis tavolo, ginnastica artistica e  per tanti altri sport. A Poznam, poi la settimana prossima ai mondiali di canoa da velocità, ci provano anche loro con la staffetta per cercare di portarla ai Giochi. Nello slalom la discesa di tre atleti contemporaneamente oltre ad essere emozionante e spettacolare regala senso di gruppo ed appartenenza, magari anche per pochi attimi, ma che offrono la dimensione di una nazione nelle diverse specialità. 

Campebell Walsh e Fabien Lefevre sono stati i protagonisti in negativo per le loro rispettive squadre. Tutti e due si sono rovesciati sull’ultimo salto con l’inevitabile conseguenza di perdere la risalita e la seguente porta in discesa. Fuori quindi inglesi e francesi e con italiani al palo per l’uscita di scena in semifinale, la gara nel kayak maschile a squadre si è risolta tra polacchi, tedeschi e sloveni. Bravi i bianco-rossi con Dariusz Popiela e Mateusz e Grzegorz Polaczyk che portano a casa corona europea e gloria su tedeschi e sloveni. Amara consolazione per il piccolo, ma potente Popiela, che a giugno, prima del rinvio dell’europeo, aveva vinto la qualifica  e che invece ieri è rimasto inesorabilmente fuori dai venti semifinalisti.
Kauzer ha provato a guidare i suoi compagni sul gradino più alto del podio, ma le due penalità di Dejan Kralj, impediscono agli sloveni di vincere l’oro: sarà forse rimandato a settembre su acque più amiche?
Nella canadese monoposto Martikan, Slafkovsky e Benus incantano come sempre e vedere all’opera questi tre felini a caccia della preda fa dimenticare il grande caldo e il sole battente che siamo costretti a prenderci visto che dalla tribuna coperta non ci è consentito seguire.
Ci aspettavamo il trionfo  degli slovacchi anche in C2 dopo che avevano dominato la semifinale. Questa volta gli Skantar sono incappati in un banalissimo errore tra la 18 e la 19 che è costato a tutti la gara di finale. Trionfo quindi dei Ceki che non si sono fatti certo scappare  l’opportunità di un titolo europeo.

Per le donne è stata ancora una volta una lotta per la sopravvivenza. Vincono le tedesche che sembrano aver rivoluzionato il famoso motto dei moschettieri di Dumas in:  “tutte contro tutte e ognuna per conto suo”. Il loro tempo ha un distacco del 25% dal  K1 maschile che ci fa capire esattamente la dimensione di questa finale in rosa. Vi lascio immaginare il resto del podio! Esultano le polacche, che dalla loro hanno fisici atletici e molto carini e chiudono seconde davanti alle padrone di casa prive della Kaliska, che toccano le porte come se fossero ciliegie da mangiare sull’albero a giugno.

Domani semifinali e finali individuali, mentre a Solkan (Slovenia) è in corso la seconda prova della Teen Cup le giovani speranze di oggi... i campioni di domani.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Cunovo, 14 agosto 2010 - Campionati Europei Slalom 2^ giornata gare a squadre. 

Ettore Ivaldi:
Ve l’avevo detto, capisco se non l’avessi detto, ma l’ho detto! E’ anche vero che ho cercato spesso e volentieri di fare finta di nulla o sorvolarci sopra con voli pindarici. Qualche accenno e poche righe, perché temevo di creare una sovraesposizione e annoiarvi con racconti monotema.  Anche Simona Ventura è una gran bella donna e una brava presentatrice, però a volte ce la propongono in tutte le salse e quando è troppo è troppo, ma... non posso a questo punto fare finta di nulla e non raccontarvi ciò che i miei occhi hanno visto assieme ad altre 5.000  persone, secondo la questura, 20.000 secondo Berlusconi! Addirittura qualcuno, che di mestiere fa il meteorologo, mi ha accusato di divinizzare personaggi come Martikan o qualche altro slovacco. Beh se il mio amico invece di andare a camminare oggi sul monte Baldo a raccogliere le stelle alpine fosse stato qui, si sarebbe ricreduto ed inizierebbe ad appendere in camera i santini di tre C1 che oggi ci hanno riportato indietro nel tempo e più esattamente al 1979. Allora le tre bandiere erano a stelle e strisce ed era un campionato del mondo e i nomi erano quelli di Lugbill, Hearn e Robinson.  Oggi è un europeo e le bandiere sono quelle slovacche.  I tre sono gli stessi dell’anno scorso che nella gara di Coppa del Mondo già avevano monopolizzato il podio. Una gara di coppa però non ha la stessa intensità ed enfasi di un campionato continentale e soprattutto non aveva il seguito di pubblicità che invece ha avuto questa edizione europea. Prima rimandata ed annullata e poi recuperata a metà agosto, nel bel mezzo dell’estate.
Il primo a scendere in finale è Matej Benus, con la sua canoa marroncina che porta disegnato un fiore stilizzato, lo stesso che ha su una parete di casa, giusto prima di entrare in stanza da letto. Vive praticamente nella casa delle fate, sotto il castello di Bratislava, immerso nel bosco assieme ad una ragazza dolcissima e una delle sue due sorelle: la farmacista, non la canoista. Per arrivare alla porta di entrata bisogna camminare cinque o sei minuti per un sentierino, aprire un cancello, attraversare il giardino di alberi da frutto, e, dopo aver scavalcato alcune canoe entri nel saloncino con cucina e ripostiglio. Una scala praticamente a pioli ti porta al primo piano dove ci sono le due stanze da letto e il fiore stilizzato. Benus, solo otto giorni fa, era arrivato secondo agli europei under 23 dopo averli vinti nel 2009.  La sua discesa di finale è pulita e veloce, le sue lunghe leve pescano l’acqua sempre avanti, avanti, avanti...
Martikan, in semifinale aveva fatto il minimo indispensabile per raggiungere la finale e aveva chiuso al terzo posto dietro a Slafkovsky, che invece aveva un incredibile 89,48. Quel tempo gli sarebbe valso tranquillamente la finale anche fra i K1 uomini e la vittoria finale solo se l’avesse fotocopiato nell’ultima battuta di questi europei. La storia però è andata diversamente e Martino, davanti ad un pubblico festoso e colorato, si veste a festa con manica lunga bianca attillata. Divora la prima risalita a destra con un debordè che toglie dall’acqua solo alla porta successiva. Arriva al primo intermedio, dopo circa 30 secondi, con un vantaggio su Benus di 1,41. E subito dopo arriva il capolavoro della giornata: entra nella risalita numero nove a sinistra - dalla sua per intenderci - come un fulmine e quando infila in acqua l’aggancio la barca prende velocità, ruota, si carica di energia atomica, supera la barriera del suolo e si ritrova d’incanto alla dieci. Al secondo intermedio, dopo un minuto di gara, il vantaggio aumenta a due secondi, ma non è finita qui. Se il capolavoro è stato fatto alla nove, il miracolo arriva esattamente nove porte dopo e cioè alla 18 in risalita a destra sotto l’ultimo salto. Ora, solo il signore assoluto della monopala, può pensare di tenere la sua canoa perpendicolare alla corrente -  e che corrente!- e contemporaneamente spostare tutto lo scafo a destra con il debordè in acqua. La cosa gli riesce a meraviglia e stento ancora a crederci ora a distanza di alcune ore rivedendo al rallentatore la sua discesa. In quel modo arriva fino a metà traghetto. Quando toglie il debordè è per fare forza dalla sua aggrappandosi a milioni di molecole di idrogeno ed ossigeno. Alla risalita successiva sa di aver fatto qualche cosa di magico ed unico, alza il fianco destro e si proietta sulla fotocellula. Solo l’ultima onda, prima di interrompere il fascio di luce, riesce a bagnargli il viso e spaccarsi sui suoi bicipiti. Forse la sete di riscossa, dopo una coppa del mondo molto incerta, viene appagata proprio da quell’ultimo spruzzo, da quell’ultimo sussulto prima che la realtà diventi già storia da raccontare.   
Alexander Slafkovosky non è un maestro della fotocopia e, se pur mettendo in scena una tecnica sopraffina e agilità felina ferma i cronometri sul 91,86 più due penalità. Terzo posto per lui e trionfo per la Slovacchia. Il presidente Slovacco Cibak è al mio fianco a guardare la gara. Alla fine mi abbraccia con affetto e la prima cosa che gli viene in mente di chiedermi sono i nomi e l’anno del sogno americano. La memoria non mi tradisce,  visto che sono nato e cresciuto con quella generazione, e una volta che glieli ricordo mi dice:”esatto proprio loro Ettore, oggi si è ripetuta la storia”. Mi sono permesso di aggiungere il fatto che però oggi il sogno lo stava vivendo lui!

Mi aspetta il pollo con la paprika e le verdurine alla griglia, domani vi racconto com’è andata per il resto della giornata, non voletemene male ma Amur ha già messo tutto in tavola e la fame si fa sentire.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Cunovo, 15 agosto 2010 - Campionati Europei Slalom - giornata di finali

Ettore Ivaldi:
Per capire la finale dei kayak uomini ai campionati europei di slalom di Bratislava bisogna assolutamente passare dalla semifinale a venti che ora vi racconto. Infatti in questa prova esce subito dalla finale Walsh  che arriva lungo al salto finale e rischia di mancare  la 18 a destra, poi recupera, ma perde secondi preziosi. Per lui gli  0,45 centesimi significano guardare la finale da bordo campo.  
Anche Aigner e Schubert , i giovani tedeschi  che avevano trionfato ad Augsburg  nell'ultima gara di Coppa del Mondo e protagonisti  agli Europei U23 rispettivamente secondo e primo, sbagliano in malo modo all'entrata della  medesima porta.  Ora è tutto chiaro e si capisce che questa combinazione sarà l'arcano di tutta la giornata.  Il numeroso pubblico si concentra in particolar modo in questa zona per sostenere e vedere il grande spettacolo che questa edizione continentale ci regala. Super Cali lavora bene con la pala in acqua nella prima parte e guida il suo rosso scafo,  con l'aquila che tra gli artigli tiene ben saldi  l'accetta e il martello forestale,   verso una finale praticamente sicura. Salta bene all'ultima combinazione, è sicuro di sé. Al palo della diciotto gira attorno come un ballerino fa con la sua dama: la osserva, la conquista con lo sguardo, la illude e poi se ne va con la forza della corrente. Alla diciannove  ad aspettarlo c'è però qualche cosa di stranamente azzurro su un acqua color marron a causa delle continue piogge dei giorni precedenti.  Infatti la tendina del soccorso è volata in acqua e il buon Calimero - come lo chiamavano da giovane, chissà come mai? - è costretto a stringere l'uscita per evitare peggiori danni. Tocca la porta, ma i giudici, valutando l'accaduto, non gli assegnano giustamente la penalità e poi sull'ultima discesa si infila come un gatto e pur toccando ha il passaggio in finale con un ottimo 89, 07. L'altro italiano in gara, il giovane Lukas Mayr, animato dal bel sorriso e da potenti braccia, mette assieme una discesa onesta con un 95,05 a 1,27 dalla finale. L'altotesino gareggia  per la Marina Militare, ma come? Una volta chi era sopra il Po, andava negli alpini a spingere i muli sulla montagna e non si imbarcava certo su corvette o sottomarini… ma i tempi cambiano!  Ad uno ad uno escono anche Polaczyk, Hilgert, Natmessnig, Hernanz e Eoin Rheinisch il mio atleta che si perde anche lui come molti altri alle "Niagara Falls", come chiamano da queste parti l'ultimo salto. Chi invece ha nervi saldi e idee chiare è Peter Kauzer usa 51 pagaiate per arrivare al primo ponte e altrettante per tagliare il traguardo.  Per uscire dalla prima e terza risalita si spinge con forza e sapienza sul muro. Pennella le porte a "ski" dopo il secondo ponte.  Al Niagara falls si presenta con il fianco alto a destra e la pala a sinistra. Volando cambia pala e stalla la canoa. Con due palate a destra entra nella porta. Controlla il traghetto successivo e si presenta sulla porta 19 con anticipo e sangue freddo. Esce con due colpi sicuri a sinistra e taglia il traguardo con un 87,29 che significa primo posto e soprattutto tanta fiducia in se stesso per aver messo in atto una manche facile ma redditizia. Aggiungerei molto redditizia. Il campione olimpico Alexander Grimm, ma quanto è grosso e quanto è enorme la pagaia che usa color argento, con 89,38 è secondo e in terza posizione Vavrinec Hradilek a 19 centesimi dal tedesco. Se dovete girare attorno al ceco saltatelo, fate prima visto che  come rapporto circonferenza di bicipiti e pettorali - altezza non è secondo a nessuno. Unico gap è che quando indossa i pantaloncini in neoprene li porta sotto il ginocchio e non sopra come usualmente dovrebbe essere!
La finale porta con sé il fascino della grande sfida. Le voci si confondono con la musica. La musica è tutto ciò che ci circonda. Anche i ciambelloni che si vendono sul campo di gara, hanno un sapore speciale, si addentano con piacere con  la capacità di addolcire il gusto dell'attesa. La musica, il cibo e lo sport sono tre elementi che sanno unire inequivocabilmente i popoli. Vuoi per affinità, vuoi per curiosità o per semplice diletto.
Il primo a partire, per l'ultimo atto di questi infiniti europei,  è Helmut Oblinger che ritorna in una finale dopo quasi un anno di digiuno. L'austriaco, che secondo me si ostina a pagaiare come se avesse sotto il culo una canoa lunga 4 metri e 25 porte da fare, ha una partenza veloce… troppo veloce per mantenere ritmi ed energia fino alla fine. Chiude con 91,89 e un tocco; alla fine sarà settimo. Chi impressiona per fluidità ed eleganza è Jure Meglic entrato in finale con il settimo tempo a 4,91 dal suo connazionale Kauzer, ma nell'atto finale trova qualità che sembrava aver smarrito in questi ultimi anni. Al primo intermedio ha un ritardo da Mraz di 0,61 e poi, nel secondo, lo annulla e recupera più di un secondo. Parte conclusiva un capolavoro. Spettacolare all'entrata della 18 e risolve tutto con la pala destra in acqua. Chiude in 87,97 più una penalità che però viene tolta dopo la protesta degli sloveni. In effetti alla tre il palo si è mosso per l'effetto dell'acqua e non per un tocco dello sloveno. Parte Molmenti che arriva all'intermedio con un vantaggio di 0,21. Da qui in poi la sua azione perde fluidità e in poco più di 30 secondi perde il vantaggio acquisito e ci aggiunge altri 0,88 centesimi. Nelle porte a "ski" si difende bene, ma il vero errore arriva al salto dove rimane più a lungo del dovuto fra corrente e morta. L'uscita successiva è disastrosa: finisce lunghissimo nella morta della 19 ed è costretto a recuperare. I tocchi ora sono 2, troppi per sperare in una medaglia, e il tempo si ferma sui 94,02 ben 4 secondi e 95 in più della sua semifinale. Cosa sia successo lo spiega nel suo sito, prontamente ripreso dall'ufficio stampa della Fick che usualmente si appropria anche di foto pubblicate su Facebook da atleti e amici. La ragione però bisogna cercarla altrove e non addossare tutte le attenzioni e responsabilità su un solo atleta.
Un'altra finale da incorniciare è quella di Vavrinec che scende con maestria quasi nascosto all'interno del suo kayak come un pilota di formula uno. Spunta praticamente solo il casco della Red Bull e un tocco impercettibile in uscita dalla 18 lo priva di un argento che avrebbe avuto il sapore dell'oro.
Lui, Peter Kauzer,  invece non sbaglia. Parte per ultimo e amministra la gara alla perfezione. Al primo intermedio ha un ritardo dal ceco di 0,72, poi prosegue sulla sua linea senza forzare fino alla 13 dove il ritardo è aumentato a 1,81. Qui inizia la progressione: porte a "ski" senza una sbavatura, salto a Niagara Falls perfetto con effetto accelerazione in uscita, traghetto successivo perfetto che lo porta dentro alla 19, ma soprattutto riesce a salire sopra il treno in corsa dell'acqua che risale il canale e altrettanto al volo esce dopo aver ringraziato e salutato per il velocissimo passaggio. Gli ci vogliono ancora otto pagaiate di cui cinque a sinistra prima di elevare le braccia al cielo e mandare un bacio a tutti i suoi tifosi che sono stati l'arma in più di questa giornata memorabile per il campione del mondo in carica.

Per sapere com'è andata alle donne e ai  C2 l'appuntamento è per il prossimo post… che dite riuscirete ad aspettare?

Occhio all'onda! Ettore Ivaldi

Cunovo, 18 agosto 2010 - Campionati Europei Canoa Slalom finali

Ettore Ivaldi:
Katerina Macova è una simpatica slovacca, ventiquattrenne per l’anagrafe, ma a vederla si fatica a darle più di 18 anni. Visino rotondo e sorridente, occhi scuri e vispi, capelli a caschetto. Un corpicino tonico che non supera il metro e cinquanta. Fino all’anno scorso pagaiava a mezzo servizio  in kappa (11esima agli Europei U23)  per dedicare il resto del tempo ad apprendere l’arte della monopala. Buona sensibilità, tanta energia,  voglia di fare e un maestro come Juri Mincik l’hanno portata alla grande decisione: basta con il kayak, avanti solo con la canadese monoposto in prospettiva dei giochi Olimpici 2016.
Da ottobre scorso ho passato parecchio tempo sul canale di Cunovo e, a parte la parentesi di tre mesi in Australia, posso dire tranquillamente di aver dormito più tempo qui che a casa. Ciò per dirvi che sul canale slovacco Katerina Macova è una specie di presenza costante. L’ho vista spesso e volentieri silenziosa, con il freddo, con il vento, con la pioggia sul suo C1 bianco e azzurro ad allenarsi con il sorriso nonostante i mille e più eskimi che contornavano ogni sua discesa. Lei però non mollava mai, anzi ad ogni rovesciamento sembrava essere ancora più felice e soddisfatta. Sembrava quasi che quegli occhi luminosi  sottolineassero il fatto che un eskimo fatto era uno in meno in quella lunga lista che ogni canoista deve mettere nel suo curriculum per imparare, per crescere, per diventare un tutt’uno con il suo scafo e con l’acqua. La canadese monoposto è una barca che mi incanta, l’ho scritto molte volte. Ha un fascino particolare perché esprime leggerezza e potenza nello stesso tempo, destrezza e agilità, funambolismo e nervi saldi. La posizione in cui si pagaia ha un che di mistico e religioso nello stesso tempo, quasi un tributo a qualche divinità per la sofferenza nel restare in ginocchio a vogare verso la gloria.  E’ scontato che i  C1 passeranno meno tempo in Purgatorio visto che i loro peccati li hanno già espiati a lungo su questa terra solo per il fatto di aver pagaiato in quella posizione a lungo.
Bene! Katerina Macova proprio ai campionati europei si è tolta una bella soddisfazione entrando nella storia della canoa come la prima vincitrice del titolo continentale nella canadese monoposto donne e soprattutto per esserlo diventata davanti alla sua compagna di squadra Jana Dukatova. Ora, per dovere di cronaca, bisogna dire che la canadese donna è ancora in crescita e oggi si entra in finale più per mancanza del numero legale che per vere e proprie performance atletiche. Scendere per questo canale non è impresa da poco e per il momento lo possiamo considerare già un passo avanti anche se dovranno passare  ancora molti anni prima di poter parlare  di imprese agonistiche di rilievo. Forse, come già detto più volte, se si pensasse di far gareggiare le donne su tracciati che si avvicinano di più alle loro caratteristiche, i tempi si accorcerebbero, ma essendo la cosa molto semplice diventa assai complicata per  burocrati che passano più tempo in sala VIP che ad organizzare riunioni o studi approfonditi su come migliorare.
La Dukatova si è dovuta accontentare dell’argento nella canadese monoposto, ma ha dominato nel kayak con una finale che ha incantato. Abbiamo vissuto la sua discesa quasi a rallentatore tanto era bella e pregevole la sua azione. Pulita sotto ogni aspetto, impeccabile nell’azione propulsiva. Un capolavoro la parte finale e in poco meno di 40 secondi ne ha guadagnati più di tre sulle dirette avversarie. Sugli spalti e per la televisione slovacca Elena Kaliska, campionessa europea uscente e al suo attivo già cinque successi alla rassegna continentale,  ferma per una microfrattura al gomito sinistro. La bi-campionessa  olimpica deve iniziare a preoccuparsi perché ancora una volta sarà una lotta all’ultima pagaiata per aggiudicarsi il posto ai Giochi Olimpici di Londra 2012 e la Dukatova le ha già lanciato la sfida davanti ad un pubblico che sembra amare molto la bella e brava neo campionessa europea del kayak in rosa.  

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Cunovo, 19 agosto 2010 - Campionati Europei Canoa Slalom - final day

P.S. ... lo so mancano i C2 all'appello! Cosa dite nel prossimo post ne parliamo?

Navigazione

[0] Indice dei post

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente

Vai alla versione completa