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SLALOM TRANING CAMP PENRITH - AUSTRALIA
Ettore Ivaldi:
Sue Natoli ce l’ha messa tutta per dare credibilità alla prima gara dell’ICF World Ranking, disputata il 31 gennaio a Mangahoe a sud dell’Isola del Nord in New Zeland, ma le condizioni meteorologiche e del fiume certo non l’hanno aiutata. Chi è Sue Natoli è presto detto. Una signora sui 50 anni passati da qualche anno che vive in Australia e che fa parte del boarding slalom International Canoe Federation presieduto da Jean Michel Pron. Bando alle chiacchiere veniamo ai fatti. Tra i kappa solo quattro atleti sono scesi sotto i 90 secondi e ha avuto la meglio con 88,77 il ventitreenne australiano Will Forsythe sul francese Raphael Revoche 89,57 e in terza posizione, ma con il miglior tempo e una penalità, Vavrinec Hradilek. Il quarto kappa uno sceso sotto il muro del minuto e mezzo è stato Eoin Rheinisch 89,56 ma due penalità lo hanno relegato al settimo posto. Tra le donne le sorelle Lawerence hanno fatto gara a se e solo la neozelandese Jane Nicholas ha tentato di opporre resistenza finendo però in terza posizione, nella gara vinta da Katerine su Rosalyne. Il distacco però del 16% dal miglior K1men ci fa capire che le donne non hanno fatto una grandissima performance, sarebbe valso tra l’ottavo e il decimo posto in una gara di Coppa. Nella canadese monoposto podio tutto francese: primo Nicolas Peschier, con il 7% dal primo K1 men, secondo Edern Le Ruyet e terzo Perre Antoine Tillard. Per la verità il campo non offriva molto… non me ne voglia nessuno.
A parte i risultati, che potete scaricare sul mio blog, si è visto fin dalle prime battute di questa stagione che gli atleti si stanno sempre di più avvicinando uno all’altro. Prendete ad esempio Huw Swetnam ottavo agli europei, quinto ai mondiali a nove decimi dalla medaglia, campione europeo a squadre e vice-campione del mondo a squadre, non è riuscito ad andare sotto i 90 secondi eppure lui è un atleta abbastanza costante per tutta la stagione. La differenza ormai tra i kappa uno uomini è minima. L’impressione è quella che per arrivare a giocarsi le medaglie bisogna comunque avere una linea di gara all’attacco, ma con una vera e propria strategia. Non solo la sparata su tutto, ma la sparata con testa. Non si può andare sempre con il piede sull’acceleratore, ma bisogna puntare su fluidità e linee veloci ovunque. Ancora una volta gli intermedi, se pur su un tracciato decisamente facile per questi atleti, non ci lasciano dubbi: paga la costanza su tutto il percorso.
Le risalite ancora una volta si dimostrano per molti atleti il punto cruciale specialmente in fase di uscita. Anche le manovre in retro costituiscono per alcuni dei punti oscuri. A tutto ciò si deve inserire una parte di coraggio nell’affrontare determinate manovre in gara. Nel momento cruciale a volte manca la convinzione in se stessi per mettere in atto manovre che in allenamento si fanno con molta facilità. Ecco centrato il problema: se pur ci si allena a fare manovre complesse molto spesso non si dà importanza all’errore e la percentuale di riuscita è troppo bassa perché possa considerarsi acquisita. Le ragioni possono essere molteplici. Per la mia esperienza noto una certa rilassatezza in allenamento ad accettare tocchi di porta o errori banali che viceversa possono e devono essere risolti se pur con fatica e con la consapevolezza che anche questo sistema va allenato. Mi spiego meglio. Si dà poco peso al tocco in allenamento con l’affermazione che poi in gara non ci sarà… purtroppo non è sempre vero. La morale della favola è che in realtà non ci si allena per l’obiettivo primario che è e rimane: una manche da 90 a 100 secondi!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Rotorua, 2 febbraio 2010 … domani vi parlo di questo posto decisamente particolare o lo
conoscete già?
P.S. dal sud della Nuova Zelanda arrivano cattive notizie la spedizione di Mike Dawson, Vavrinek Hradilek e Ciaran Heurteau si è interrotta. Sembra, dalle poche notizie arrivate, che Ciaran si sia spallato. Hradilek si è fermato con lui, mentre Dawson ha dato l’allarme dopo due ore di canoa su un fiume enorme che ha fatto da solo. L’elicottero non ha potuto decollare perché ormai era notte e i due hanno passato la notte all’addiaccio nella giungla.
... segue 15^
Skillo:
--- Citazione da: Ettore Ivaldi - Gennaio 30, 2010, 09:49:33 am ---Skillo non sono città come Verona sono "Villaggi" leggi bene e concedimi qualche libertà poetica!
Occhio all'onda!
--- Termina citazione ---
E dai, fatti prendere un po' in giro :D Concedimi che se 'sti villagi sono grossi come Verona li posso chiamare città.
Ok, ora leggo le tue nuove belle mail e la pianto di stuzzicarti.
Ettore Ivaldi:
Ieri le canoe da slalom sono rimaste in giardino sostituite dai kayak di plastica per un pomeriggio passato alla grande sul Kaituna river dove avrei visto volentieri all’opera anche il mio amico L8 tra salti, ritorni d’acqua e gole immerse nella giungla. Il Kaituna river nasce dal lago Rotoiti e finisce dopo poco più di 45 chilometri. La parte che interessa però ai canoisti è lunga poco più di 3 chilometri. Pochi, ma sufficienti per grandi brividi. Commercialmente parlando viene venduto come il salto più alto in assoluto che si possa fare con il gommone – 6/7 metri di adrenalina pura! Così la vedono sulla pubblicità e a giudicare comunque dalle urla che precedono e seguono il salto non ci vanno tanto lontano. Il fiume, largo poco più di una 15 di metri, scende a valle con grandi pozze, precedute da salti via via sempre più grandi per arrivare alle famose “Okere Falls”. In realtà non vi volevo parlare del fiume o delle cascate, visto che se navigate in internet trovate parecchio materiale e vi potete documentare a fondo, vi volevo invece rendere partecipi di uno strano stato d’animo che ho vissuto accompagnando i ragazzi nella discesa. Io sono uno slalomista nato sui fiumi e poi via via mi sono evoluto o se vogliamo adeguato ai percorsi artificiali. Il fiume però è rimasto dentro di me come una sorta di mito, di forza, di energia e gioia. Il concetto arriva dal fatto che trovo appagante pagaiare sulla corrente che corre, fermarmi a surfare su qualche onda, entrare e uscire in velocità dalle morte. Restare per una frazione di secondo su un’onda durante una discesa e capire dove orientare la mia canoa: lo sguardo e la mente che inquadrano la situazione e trovano la soluzione immediata guidati dalle informazioni che arrivano dalla canoa attraverso i recettori del corpo: la vista approva e dà l’ultimo ok, la mente richiama il motore ad operare. Già! tutto ciò l’ho ricercato per molti e molti anni, in quelle meravigliose discese libere come il volo del gabbiano Livingston a provare nuove evoluzioni, nuove emozioni. L’ho ricercato negli allenamenti a volte estenuanti, nelle lunghe ore passate seduto in uno scafo lungo 4 metri e largo 60 cm. Già… ecco il problema: la mia incapacità di rivivere tutto ciò ingabbiato in uno scafo non più lungo della mia pagaia. Ho imparato a pagaiare sulle “Olimpia 400”, ho amato a tal punto la canoa che ho deciso che diventasse la mia professione con la “Sanna” di Prijon, ho messo in canoa i miei figli su una “Reflex 4”, oggi per cercare di restare vivo pagaio su una “Kapsle 360”. Eppure non riesco trovare emozioni e motivazioni a lanciarmi su un salto con una canoa che non sento mia, con un mezzo che non “respira”, con uno strumento che non ha anima. La canoa da slalom in fiberglass va dove la porti tu, la canoa in polietilene va dove vuole portarti lei. La canoa in fiberglass si muove con e per te, con la canoa in polietilene ti muovi tu e per lei. Con la canoa in fiberglass ci passeggi con la canoa in polietilene ti spalli! Ovvio sono solo mie personalissime idee e non voglio assolutamente aprire un dibattito su cosa è meglio e perché… volevo solo farvi partecipi di una sensazione, di un momento, di un pensiero!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Rotorua 5 febbraio 2010 – New Zeland traning camp river Kaituna
P.S. La spedizione nel sud della New Zeland a cui avevo accennato nel pezzo del 2 febbraio si è conclusa nel miglior modo possibile: recuperato l’irlandese infortunato dopo una notte nella giungla, quindi, dopo il ricovero in ospedale, foto sui giornali e interviste … vissero tutti felici e contenti!
Ettore Ivaldi:
Non c’è bisogno di consultare internet per capire che bovini, ovini e ungulati superano numericamente di gran lunga l’essere umano. In Nuova Zelanda puoi guidare per ore su strade immerse nella natura e non incontrare nessun cristiano, ma essere continuamente osservato da quadrupedi che se ne stanno tranquillamente immersi nei loro pensieri a riempirsi la pancia di un’erbetta tanto fresca e verde da far invidia anche a noi! Sono ovunque. Fissi lo sguardo in un punto qualsiasi e scopri enormi mandrie di manzi che occupano un’intera vallata. Alzi la vista e sui cucuzzoli di montagne rotonde scorgi pecore che colorano di bianco il prato. Ti concentri e ti rendi conto che ai bordi delle strade molto spesso trovi recinti per caricare gli animali, osservi con attenzione e capisci che effettivamente i villaggetti che incontri dispersi nella foresta non sono altro che punti di ritrovo per chi lavora in quei luoghi così appartati. Ti rendi conto anche quando bevi il latte alla mattina che ha un sapore pieno, appagante, fresco: buono! Se poi fai la spesa ti accorgi di pagare la metà la carne di manzo rispetto al pollo. La prima poco più di 5 euro al chilo mentre il pollo lo paghi anche 11 euro. Poi chiedi, ti informi e scopri che la Nuova Zelanda non usa nessun anticrittogamico, concime o altro per cercare di far rendere di più la terra.
Gli abitanti sono poco più di 4 milioni con una densità di 15 abitanti per chilometro quadrato. Le pecore sono poco più di 10 milioni per una densità di 470 per chilometro quadrato! In Italia la densità è di 200 persone per chilometro quadrato.
Cosa ti offre questo paese, che come giustamente mi ha fatto notare il mio amico Agostino Trombetta ora in prestito al basket ma di fede canoistica, sembra un’Italia girata, è incredibile. Oggi siamo stati a “Orakei Korako” sul lago Ohakuri terra dei Maori dove in mezzo alla montagna escono soffioni d’acqua calda e fanghi bollenti. Il tutto dà un’immagine al luogo piuttosto lunare. Per la verità l’area si estende per diversi chilometri e Rotorua, dove siamo alloggiati, è ricca di zone termali.
L’ allenamento di oggi, come avrete capito, è stato il riposo. Eh si! anche il recupero psico-fisico è da considerare una parte molto importante nel piano di lavoro. Il riposo è il momento in cui il lavoro prende forma e si consolida nell’atleta. Offre la possibilità di distrarre la mente e nello stesso tempo di ricaricarla desiderosa di tornare in acqua a lavorare. Si sa che con la fame si gusta di più il cibo e quindi anche tenere completamente fermi gli atleti per 24 ore può rivelarsi molto positivo per ripartire con un altro ciclo di carico affamati più che mai!
Rotorua, 7 febbraio 2010 – Slalom traning camp
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Ettore Ivaldi:
Prima o poi mi fermo a chiedere! Non riesco a capire il motivo per cui qui in New Zeland i concessionari delle auto espongono i modelli con il cofano aperto con in bella mostra il motore. Forse si potrebbe pensare che c’è qualcuno che vende le autovetture senza la parte più importante? Mah, sono proprio strani ‘sti “Kiwi”!
L’altra cosa che non capisco è perché da queste parti non risciacquano i piatti dopo averli passati con il detersivo, li mettono semplicemente a scolare così con la soffice schiumetta che scende da tutte le parti. Pazzesco.
Oggi la sessione d’allenamento della mattina mi è proprio piaciuta per due motivi: il primo per il fatto che avevo in acqua praticamente tre kappa uno di gran classe: Vavrilek Hradilek, Huw Swetnam e Eoin Rheinisch, in sostanza un ceko, un inglese e un irlandese. Tre scuole diverse, tre tradizioni canoistiche molto distanti. Mentre il secondo, che mi farà dormire sogni tranquilli, è la convinzione che anche atleti di altissimo livello devono tornare sempre a ripassare gli esercizi di base ed è per questo che ho proposto loro una seduta tecnica un po’ strana. Abbiamo tracciato un percorso su acqua non particolarmente difficile e ho chiesto di ripeterlo molte volte ma ogni volta in modo diverso: classico alla massima velocità possibile, ad una velocità che giudicavano loro del 50% e ad una al 70%. Quindi una verifica con il tempo se riuscivano a rendersi conto delle varie intensità rispetto alla prova massimale. Gli atleti evoluti spesso e volentieri ci azzeccano parecchio. Poi sullo stesso tracciato ci siamo concentrati su alcuni esercizi tipo: percorso in retro, da C1 destro, da C1 sinistro, con solo i debordè, utilizzando il minor numero di colpi possibili, utilizzando la pagaia da k1 al contrario, utilizzando la pagaia da k1 pagaiando sul dorso, non sfilando mai la pala dall’acqua. Molte volte questi atleti, per la convinzione di dover sempre allenarsi a tutta e senza perdere tempo, non danno peso a tutta una serie di aspetti propriocettivi della canoa che sono in grado di mettere in discussione abilità che sembrano acquisite e fatte proprie, ma che in realtà vanno comunque sempre allenate e sollecitate. L’altro scopo di questo tipo di allenamento è quello di allenare sistemi di reazione che possono essere utili all’atleta in situazioni limite per risolvere momenti non previsti. Un tempo lo slalomista aveva maggior capacità di controllo della canoa pagaiando in retro, visto che doveva utilizzare questa manovra per le porte in retro. Oggi quest’aspetto si è perso ritenendo la cosa non utile al fine di una competizione, ma che in realtà può offrire molte scappatoie in casi estremi. Interessante è stato mettere in difficoltà questi atleti – tutti finalisti europei e o mondiali – con semplici manovre di base che costantemente faccio fare viceversa ai miei più giovani allievi. Cambiando gli schemi motori nulla poteva essere lasciato al caso, ma esigeva una attenta risoluzione attraverso le informazioni che l’atleta riceveva di momento in momento dal suo apparato propriocettivo. Troppo spesso ci si affida a risposte preconfezionate a tavolino e non si va invece a fondo della problematica cercando per ognuno la risposta che necessariamente si deve scoprire! Lavoro lungo, ma interessante.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Rotorua - New Zeland - 8 febbraio 2010 … domani si lascia l’Italia
capovolta e si torna dai canguri
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