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DI COSA PARLIAMO?

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Ettore Ivaldi:
Oggi ho raccontato una bella storiella ai miei giovani atleti irlandesi. Il tentativo era quello di spiegare loro e renderli partecipi sul fatto che l’andare in canoa e fare slalom è questione di feeling con l’acqua, con il mezzo, con il proprio corpo e con la mente: tutto il resto sono piccoli dettagli che partecipano ad un progetto comune. Ho portato l’esempio del tango, un ballo che nasce nelle strade di Buenos-Aires quale momento di sfogo di tensioni e malessere sociale. In questa espressione corporea ci sono due soggetti e la musica. La donna segue gli inviti e le evoluzioni  dell’uomo, la bandoleira e gli altri strumenti musicali  guidano ed ispirano l’espressività maschile. Bene, fino qui nulla di nuovo, ma il tutto, secondo me, può essere traslato nello slalom. La donna è il canoista, l’uomo è la canoa e la corrente detta tempo e ritma i movimenti. La canoa segue la corrente e il palista (per dirla alla spagnola che rende molto bene) non deve fare altro che assecondare il tutto. Detta così è facile, ma la difficoltà e la finezza  di tutto ciò  dove sono? In sostanza l’inghippo si trova dentro di noi nascosto dalla forza  muscolare e dalla testa che pensa di mediare tutto con la logica e con l’azione. Molte volte alcune problematiche  si potrebbero risolvere semplicemente con l’attesa lasciando il nostro copro libero di agire per seguire quello che la corrente e la canoa hanno in serbo per noi. Certo è che bisogna essere lesti e pronti per cogliere ogni dettaglio, ogni segnale che ci arriva in frazioni di secondo. Come fredda deve essere la nostra mente ad accettare questa tipologia di soluzione! Una mente capace di fermare l’istinto brutale che ci vuole tutto muscoli e niente cervello. L’obiettivo allora dovrebbe essere quello di avere come riferimento non quello che stiamo facendo, che già è accaduto, ma quello che andremo a fare da lì ad un attimo. Vivere e lasciar vivere al presente la nostra canoa con il cervello rivolto al futuro immediato, solo così la velocità e la scorrevolezza ne trarranno beneficio. Se il concetto è chiaro ora ci dobbiamo concentrare su come trasmetterlo e farlo percepire ai nostri compagni di lavoro, alla nostra argilla da modellare in relazione però alla specificità ed individualità della stessa;  tradotto ciò starebbe a significare che l’allenatore dovrebbe, per ogni atleta, trovare la chiave giusta per aprire la porta di questo semplice, ma efficace  meccanismo.
Dobbiamo proporre percorsi che esaltino questo concetto come ad esempio combinazioni di risalite e discese che permettano uscite veloci verso valle. L’idea deve essere quella di prediligere un’entrata nella porta con più respiro per avere un’uscita che tenga punta e coda sulla stessa direzione verso la porta successiva. Mi sono trovato ad urlare spesso ai miei atleti:”keep the view to the next gate”,  specialmente nella fase di uscita dalle risalite. Sarà anche per questo che ora la voce è sparita e la gola mi brucia un pochino... rimedierò con la propoli acquista a buon prezzo in Slovenia quest’anno durante i mondiali. Forse l’unico prodotto ancora conveniente in  questo paese. 

Tra i paletti dello slalom si può guidare la propria canoa in due modi: con le braccia o con il peso del corpo coadiuvato dal lavoro delle gambe. Tanto per tornare al tango diremo che è come portare una donna a delle figure con la forza delle braccia oppure con i cambi di peso. Inutile dire che il secondo sistema è decisamente più efficace ed armonioso. In canoa, se si usano il peso a dovere e la spinta delle gambe si possono tenere linee più dirette e risparmiare energie preziose da utilizzare nel momento opportuno. Così facendo il movimento si avvicina alla danza per grazia ed armonia.
Certo non tutto è frutto dell’improvvisazione o dell’estro, qualità queste che si affinano solo con molte ore di canoa tra i pali. E’ già da tempo che non conto le ore passate in acqua dai miei atleti, ma annoto con doviziosa pignoleria il numero di porte fatte per ogni sessione di allenamento e per ogni sessione cerco di conoscere le penalità fatte e come sono state fatte le varie combinazioni, ma di questo vi parlerò prossimamente... ora devo guardare il video con i miei atleti.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Panz:
Ciao Ettore, tutto questo vale anche per la canoa discesa secondo te? O c'è qualcosa che cambia?
Grazie,
Luca

enrico lazzarotto:
AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH Ettore, ogni volta che ti leggo penso......................................................ma che ci fai in Irlanda con tutto il rispetto....... e ancora penso..... e qui mi censuro da solo, ma lo sai bene cosa penso dei vari tuoi colleghi.
Ettore massimo rispetto
enricolazz
ps ti hanno letto in 4440 però.

elena bargigli:
Condivido assolutamente quello che hai scritto!
ed anche il commento di Enrico!

Elena

Ettore Ivaldi:
Tornando a Valstagna, l’altra mattina,  mi sono fermato all’ultimo autogrill sulla Valdastico prima di uscire a Dueville. Ho bevuto un cappuccino delizioso. Profumo intenso di caffè, una schiuma consistente, un piattino asimmetrico che ha depistato la mia manualità inconscia nel cercare il cucchiaino necessario per mescolare la  mezza bustina di zucchero che addolcisce il mio palato.  Se a tutto ciò  aggiungiamo il gentile sorriso e la cortesia della barista direi che la scelta di concedermi una pausa nel, se pur breve, viaggio è stata azzeccata. E allora perché non approfittare di questo segnale per un break mentale  dai paletti dello slalom e riflettere,  su esplicita richiesta del buon Luca Panziera, sulla canoa da discesa? Beh! la prima cosa che mi sfiora a pelle  è che farsi portare dalla canoa discesa per diversi chilometri su fiumi come il Rienza, Noce, Dora, Isere, Passirio alto e tanti altri è qualcosa di unico, sublime, esaltante. Tu  e la tua formula uno in mezzo ad onde, correnti , riccioli, curve, ostacoli. Tu,  con il solo rumore dell’acqua che corre verso valle. Tu, ritmato dal tuo cuore e dalla fatica dei tuoi muscoli. Una corsa verso valle senza fremito, senza rimpianto a pieni polmoni. Il piacere di scivolare sull’acqua e spingere sulle gambe che fremono nel guscio per essere anche loro toccate e irrorate da quell’acqua fresca e amica che invece bagna e rigenera faccia, mani e busto. E quel filetto di acqua che riesce a infilarsi giù dal collo anche  nelle ormai super stagne e tecnologiche giacche   di oggi, ti riporta ad una gioventù fatta invece di k-way alla buona a maniche chiuse da elastici troppo fini per contenere l’irruenza e la forza della corrente. Arrivati a terra fradici, ma pronti per un’altra prova, un’altra discesa per cercare di appagare quella voglia di volare che è insita nell’uomo.  Per noi canoisti scivolare sull’acqua è la vita. Se per uno slalomista la libidine di una risalita è impagabile, per un discesista la punta che sull’onda tocca il cielo è un’emozione irrinunciabile. Bene, ma veniamo al tema proposto dal Panziera meteorologo per lavoro e discesista per vocazione che mi chiede se anche in discesa valgono i principi dello slalom e cioè spinta di gambe, rotazione delle spalle, sensibilità, proiezione della menta verso il passaggio successivo. Credo che su tutto ciò non ci siano dubbi. Ho ben presente i calzoncini di Marco Previde Massara sempre consumati sui glutei a testimonianza della sua spinta di gambe. La possente muscolatura della schiena di Carlo Mercati  dimostra che la pagaiata parte proprio da qui. Le prodezze acrobatiche di Vladi Panato sono poi il capolavoro di un talento che ha fatto della sensibilità in acqua la sua carta vincente.
Inizio sempre gli allenamenti ricordando con Zeno e Raffy di pagaiare con la testa, con il cuore e ascoltare sempre quello che l’acqua ha da raccontare loro.  Se durante la seduta mi rendo conto che la testa non funziona, oppure non viene dato il cuore e se si li trovo sordi allora preferisco fermare tutto e capire che cosa sta succedendo.

Ecco la discesa per me è tutto ciò.

L’altro aspetto nella discesa è la  componente strategica e tattica che una prova classica richiede. Fra il 2004 e 2005 avevo realizzato ed elaborato uno studio proprio su questi aspetti che, a fine stagione, avevo consegnato alla Fick. Questa ha pensato bene di archiviare  il lavoro in questione con l’etichetta di un report giornalistico e abbandonarlo su qualche polveroso scaffale dopo il mio buon servito.  Per chi fosse interessato può essere visionato sul mio blog. Qui ne riporto solo alcuni fondamenti.
Il concetto era semplicissimo e cioè dividevo il tracciato  in fiume in diverse zone in relazione alle varie caratteristiche dello stesso. Queste aree venivano marcate in modo tale che fossero ben visibili dagli atleti in acqua. Partivo dal principio di voler far esprimere al massimo per ogni frazione tutta la potenzialità dell’atleta e per far questo dovevamo capire quale effettivamente essa fosse per quel singolo tratto.  In sostanza quello che viene fatto per chi corre i 10.000 metri o nuota i 200 stile libero... tanto per citare qualche esempio. In questo modo si ha una velocità massima per ogni tratto che dovrà essere messa in relazione con la distanza di gara. Se si vogliono correre i 10 km sui 28 minuti dobbiamo conoscere la velocità sul singolo chilometro, tanto per chiarire le idee. A questo punto interviene la strategia e la tattica di gara in relazione alle varie caratteristiche fisiche e ovviamente tecniche.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

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