Iniziamo la pubblicazione a puntate di un racconto. Inutile dire che le vicende e i personaggi sono interamente di fantasia. Che nessuno creda di potersi riconoscere per favore. Sono graditi i commenti, le correzioni e le osservazioni. Da tutto questo potrebbe dipendere l'evolversi della storia.
Buon divertimento.
FU COSI' CHE TU NASCESTI
Parte prima: Sesso e pagaie a Sabaudia.
Prima puntata.
Non si capisce: due donne, madre e figlia, durante tutto un inverno e oltre, per mesi, sono le uniche o quasi a soggiornare nell’albergo che dà sulla piazza, tra l’altro, parecchio caro. Ma non va a scuola ‘sta ragazza? Boh!?
Passeggiano per i rettifili che vanno nel niente, a un tiro di fionda dall’hotel; colle code di cavallo montate in cima al capoccino sembrano due cipolle, una più ingombrante, l’altra in procinto di diventarlo.
Microscopica e irreale, Sabaudia si erge monumentale e troppo maestosa in rapporto alle poche spanne dell’effettiva elevazione delle facciate, scalcinate con un duemila anni d’anticipo sulle previsioni del costruttore.
I parallelepipedi, come in un plastico, sfidano la luce e il vento, con nulla di vivo in superficie e, soprattutto, con nulla che possa scaldare noi giovani canoisti, canottieri, militari di leva e di firma, confinati qui per diciotto mesi, tre anni, otto anni…
Nel duemilaotto saranno assai rinomate le femmine di varietà veneto/agropontina, tuttavia per ora non sono ancora nati esemplari del genere, forse; oppure esistono, ma si riesce ad arginarli nelle stanze, nelle masserie, nei poderi isolati e recintati. Dev’essere così, infatti non è facile ammettere che madri laide possano generare figlie adatte alle copertine del duemilaotto. Questo per coerenza con uno dei libri più importanti per il filosofo e che nessuno legge, le Enneadi di Plotino, quando vi si dice: l’infimo non produrrà mai il supremo, dal brutto e dall’idiota non s’otterranno né il bello né il buono. Ma tale ragionamento scantona troppo dal progetto del nostro resoconto, glissiamo.
Zone agricole, riserve naturali recintate, bestiame vario, strade tirate con lo staffile sulla futilissima direttrice Imperia/Mogadiscio: non c’è niente per i nostri denti da queste parti, tranne forse: il mare, il lago costiero, la sporadica turista, attrattive che, si sa, alla nostra età non possono bastare.
Proprio qui, in una zona d’ombra sotto altissimi pini marittimi, appena dietro al cuore del paese, poggiato sul rilievo di un modesto dosso ricoperto d’aghi e pigne, giace il benemerito Centro Remiero della Marina Militare, cantuccio decisamente ameno, soprattutto per quelli che sognano di partecipare alle olimpiadi di Città del Messico. Fra una decina d’anni lo sposteranno in prossimità del lunghissimo ponte e ne faranno qualcosa di più grosso e rappresentativo, non si sa di cosa, ma rappresentativo.
Nel Centro Sportivo, o nelle immediate vicinanze, s’acquartierano gli atleti di Fiamme Gialle, Fiamme Oro, Esercito, Forestali e, può darsi, qualche aviatore sparso.
Tutta gente in transito e provvisoria in un luogo che non sarà mai più palude e non è ancora città.
La presenza in questo nulla di due donne sole, romane de Roma, cittadine proprio, scaricate qui, dice, sbrigativamente, dal padre di famiglia, milleotto blu ministero, dice, con telefono montato in macchina, ciumbia!, che non le viene mai a trovare… insomma ‘sta frase dove va a finire, un verbo per favore, vabbe’: non si capisce.
Non si capisce e non sta troppo bene! Non siamo mica nel duemilaotto! Non sta bene! Lo volevo dire e l’ho detto.
A parte un pugno di marescialli nella parte di allenatori, furieri e roba simile, il grosso, un centinaio d’uomini maschi, atleti, per lo più di leva, s’è imboscato qui per remare.
Il canottiere è quello che va all’indietro, bisogna ridirlo perché c’è sempre ancora qualcuno che non lo sa. Chissà come fa a tirare dritto? ci si chiede, in genere, nella nostra cruda ignoranza.
Ha le gambone il canottiere, è almeno uno e novanta… minimo, cento e rotti chili, che se non è cento e rotti, sull’otto non ci mette il culo… sull’otto, l’unica barca che andrà da qualche parte, dice, forse. Certo si spera, ma per i disfattisti: an’do’ c’avrebbe d’anna’ st’otto?
E’ difficile, eppure bisogna crederci: magari non proprio in una vittoria, ma almeno, chi lo sa, in qualcosa, un piazzamento, una finale. Nessuno si metterebbe nei panni dell’allenatore: “Insomma, siamo militari, centoventi persone che becchiamo il soldo, lo stipendio, le trasferte, cogl’aretrati, la tredicesima, l’asegni famigliari, la pensione, l’indennità… almeno facessimo finta di crederci noi, anche se il cronometro dice che questa barca… (gonfiando ahimé un sentimento sempre meno equanime), insomma, questa barca non va un ca--o ‘sta barca! Animali! Svuotate il trogolo e non andate un beato ca--o, ‘sta barca! Ma adesso io vi, vi…(!?... trova) vi spacco il …(non trova)! Dovete tirare, avete da morire, avete da cagare verde e io vi faccio cagare verde… che se oggi non cagate fuori anche il… eun (non trova)”.
Sempre l’allenatore si spreme in argomenti stimolanti, per motivare l’atleta; è chiaro che, nel vivo dell’elaborazione psicologica, può inserirsi talvolta una ripetizione e persino sfuggire qualche iperbole. Capita comunemente a scrittori di chiara fama, vuoi non perdonarlo all’alenatore?
I giganti stanno lì come navi in bottiglia, a farsi crivellare di improperi dal minuscolo allenatore graduato, un maresciallo cazzutello che gli fa quello che vuole, sono persone semplici. (segue, a domani...)