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Kayak roll

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Lorenzo Molinari:
L’arte del roll in stile groenlandese.

Il post precedente lo avevo intitolato: “Il piacere della lentezza del pala lunga” ma non accennavo al tipo di kayak e pagaia impiegati, semplicemente mettevo in risalto come il pala lunga possa essere eseguito con maggiore lentezza del pala corta, per via del suo appoggio più stabile, nonostante sfrutti una leva più sfavorevole, e come in acqua bianca sia meno indicato.

Il modo con cui si esegue un roll, però, dipende in larga misura anche dall’attrezzatura. Una cosa è farlo con un kayak da creek, altra è farlo con un kayak agonistico da discesa e, altra ancora, con un kayak da mare. Inoltre, per ciascuna tipologia di kayak esistono modelli con scafi molto diversi tra loro, che si comportano in modi altrettanto diversi, non solo in navigazione ma anche nel roll.
A loro volta, kayak e pagaie in stile groenlandese si comportano nel roll in modo completamente diverso dalla maggior parte degli altri scafi. Vediamo perché.

Il mio intento non è mai didattico, per questo ci sono i manuali e le lezioni in acqua, tuttavia spenderò due parole anche su aspetti tecnici, cercando di essere comprensibile (spesso è più facile fare che spiegare). Ben venga il contributo di altri, più competenti nello specifico.

Le manovre di kayak roll, qualunque esse siano, eseguite con kayak e pagaie non in stile groenlandese, sono soprattutto di forza. La forza impressa può anche essere modesta, più o meno equivalente a quella con cui si compie una pagaiata, ma di forza sempre si tratta. Le stesse manovre con attrezzature groenlandesi possono richiedere esclusivamente coordinamento. Ciò vale per i kayak in uso nella Groenlandia occidentale e orientale, non per tutti i kayak artici e sub artici, tra loro anche molto diversi.
In particolare, i roll, eseguiti con attrezzature in stile groenlandese, che terminano con il corpo adagiato all’indietro sul ponte del kayak, possono richiedere esclusivamente il coordinamento dei movimenti. Questi roll si possono svolgere in totale lentezza, soprattutto in virtù della forma dei kayak Inuit:
-   il ponte è molto basso sull’acqua;
-   il ponte posteriore è piatto;
-   la forma “sfaccettata” dell’opera viva consente un’accentuata stabilità secondaria;
-   la pagaia tradizionale in legno consente appoggi morbidi e ben distribuiti, favoriti dalla forma allungata delle pale; inoltre, se appoggiata sull’acqua è un ottimo galleggiante.

Poiché i kayak e le pagaie moderne occidentali tipicamente non rispondono a queste caratteristiche, un kayaker, non avvezzo all’uso di kayak e pagaie groenlandesi, potrebbe trovarsi in seria difficoltà a eseguire un roll con attrezzature groenlandesi (e viceversa), nonostante i roll da noi praticati siano di diretta derivazione da quelli Inuit.

Cerchiamo di capire come avvengono i roll basati esclusivamente sul coordinamento, focalizzandoci su quelli che terminano con il corpo e la testa riversi all’indietro. Il corpo e la testa ruoteranno verso la parte posteriore del kayak, risalendo verso la superficie (spalle verso il fondo), e il bacino accompagnerà il movimento. La risultante determinerà il parziale raddrizzamento del kayak, fino alla posizione di stabilità secondaria. Il corpo scorrerà sul ponte posteriore del kayak, fino a stendersi su di esso. Questa operazione si compie agevolmente, poiché il ponte è basso sull’acqua. Con lo spostamento del peso del kayaker sul ponte, si recupererà la posizione di stabilità primaria. La manovra, se si è abili, non richiede alcuno sforzo. La pagaia funge da mero punto di appoggio ed equilibrio. Il raddrizzamento dipende dal movimento armonico e coordinato del corpo, della testa e del bacino, e potrà anche essere eseguito con la stessa semplicità impugnando la pagaia con una sola mano o senza pagaia. Il passaggio dalla posizione di stabilità secondaria a quella primaria avviene con la stessa naturalezza con cui un funambolo ritrova l’equilibrio muovendo le braccia o la pertica.

Al contrario i roll con quasi tutti i kayak moderni occidentali, salvo gli scafi ispirati a quelli groenlandesi, richiedono che la pagaia sia usata come leva, sulla quale imprimere la propria energia. Altrimenti il solo coordinamento non basta per venire su, per quanto necessario. Ruotare prima lo scafo, quindi emergere con il corpo e poi con la testa, riducono enormemente la spinta da esercitare sulla pagaia ma senza questa spinta, più o meno energica, non ci si raddrizzerà. La sostanza non cambia nel roll senza pagaia.

Il roll groenlandese è certamente più affascinante del nostro che, a confronto, appare grezzo e un po’ brutale.
Non pensate che mi sia convertito! Continuo a preferire attrezzature moderne occidentali, non dedicandomi solo al roll ma a navigare su lunghe distanze, anche con equipaggiamento di più giorni. Quindi prediligo kayak capienti, con ampi pozzetti, abitacoli comodi, con scafi che sfruttino la loro lunghezza e che si comportino altrettanto bene sulle onde, con ponti che scarichino velocemente l’acqua e che non siano troppo esposti al vento e non disdegno affatto il timone; così come prediligo pagaie che minimizzino la turbolenza in acqua. Diversi modelli di kayak da mare sono comunque stati progettati cercando di ottimizzare le esigenze dei kayaker occidentali e, nel contempo, garantire i vantaggi dei kayak groenlandesi. Per quanto, nei fatti, io mi accontenti del mio vecchio KdM 500 della ASA Canoe (lungo 500 e non 520, come molti pensano e lo denominano), a cui mi sono affezionato e con cui ho compiuto fantastiche navigazioni in ogni condizione, avendo priorità più “essenziali” che rinnovare il mio parco canoe.
Quindi, al di là del piacere personale a utilizzare un’attrezzatura piuttosto che un’altra, merito ai pregi di quella in stile groenlandese.

Per chi fosse digiuno di roll in stile groenlandese, può trovare su YouTube numerosi filmati illustrativi per comprendere questa particolare arte, perché, a ben vedere, di arte si tratta.

Vittorio Pongolini:
Mi raccomando però, Lorenzo, ottimo compagno di diversi viaggi canoistici in Europa ed in America negli anni lontani e vicini, sono tutte informazioni grandiose quelle che dai e, come sempre, per questi argomenti storici, c'è molto interesse, ma per noi e per i nuovi appassionati ricordiamo che, da che il mondo della canoa/kayak è mondo, quello che chiami con vezzo "kayak roll" si chiama "ESKIMO"! Da sempre da noi si dice "fare l'eskimo" o "eskimotare" o "eskimare". La desinenza "are" è aggiunta al sostantivo "eskimo" ed appartiene alla prima coniugazione. Nei racconti delle nostre peripezie tra amici e soci di club canoistici ci si dice che "Tizio ha fatto l'eskimo...", "Caio ha provato l'eskimo tre volte ma poi è andato a bagno…", "Sempronio ha tirato l'eskimo al pelo prima di andare ad incravattarsi a testa in giù contro il sasso…" etc.. Si dice poi "Scuola di Eskimo" relativamente ai corsi che si tengono nelle piscine d'inverno e in estate, di sera, direttamente nei laghi e laghetti dei camping dei raduni, e via di seguito. Roll è l'abbreviativo di "Eskimo roll" ed è di origine americana e forse non abbiamo bisogno di importare anche questo nuovo modo di raccontare la manovra più salvifica che esista nella pratica del nostro sport, sia che si tratti di canoa fluviale che di kayak da mare, ed è da sempre l'obiettivo tecnico più importante che il neo canoista/kayaker vuole raggiungere nel più breve tempo possibile per sentirsi sicuro con se stesso per la pratica del nostro splendido sport. Auguriamoci che questa maledetta pandemia ci consenta a breve di ritornare a imparare e praticare nelle piscine l'eskimo perché si perde l'abitudine nel farlo sia non facendolo per molto tempo - non sempre è un vantaggio essere troppo bravi ad appoggiarsi sull'acqua considerando la perdita di capacità nell'eskimotare - che avanzando con l'età. Bisogna pertanto imporsi di provare nei momenti e nei punti giusti a tirare qualche eskimo ad ogni uscita per potersi trovare nella stessa condizione dei migliori eschimesi che conoscevano le tecniche dell'eschimo (o eskimo) per togliersi dall' impaccio di fare dei bagni e quindi di averlo a disposizione in ogni momento in cui ci sia richiesto dagli eventi.

Lorenzo Molinari:
Quale termine utilizzare per indicare la manovra di raddrizzamento in kayak?

Ha ragione Toio, tutti noi più anziani abbiamo sempre usato la parola "eskimo" per indicare la manovra di raddrizzamento del kayak, in quanto inventata e praticata dagli "eskimesi". Oltretutto questa parola è ampiamente utilizzata ancora oggi sia in Italia sia all’estero.
Tuttavia - come forse avevo scritto in un post precedente - al popolo Inuit non piace essere chiamato "Eskimese", perché ritenuto un termine dispregiativo. Tale parola pare la usassero i loro nemici Cree del Canada e che significasse "mangiatore di carne cruda". Al di là che gli Inuit non fossero vegani - e su questo spero non vi sia da discutere -, ritengono offensivo essere appellati con un nome che richiami la loro alimentazione. D'altro canto non avevano scelta, visto che a quelle latitudini sedano e ciliege non si possono coltivare (qui però ci vorrebbe la certificazione dell’amico agronomo).
Per completezza c’è anche chi sostiene che “eskimese” in origine significasse “uno che allaccia le ciaspole”, che, successivamente, il termine sia stato interpretato in “mangiatore di carne cruda” e che questa espressione abbia poi prevalso al di fuori del popolo Inuit.

D’altronde questo popolo si identifica proprio con il termine “Inuit” e sarebbe più appropriato chiamare la manovra di raddrizzamento nella loro lingua: “atsapaluak” o “akhaktuqin” lingua Inuit e/o Inuinnaqtun, oppure "aksraktug” in lingua Iñupiat, che è una lingua molto simile a quella Inuit (i tre termini li ho trovati nei dizionari delle rispettive lingue). In inglese la manovra diventa "roll", o "Inuit roll", cioé roll inuitiano, roll degli Inuit, generalizzando "kayak roll", o, più semplicemente, “roll”. Chi non amasse la contaminazione della nostra lingua con termini stranieri, la parola più indicata è “raddrizzamento”, un po’ lunga e poco pratica ma lo sarebbe ancor meno la traduzione letterale di "Eskimo roll": “rotolamento di mangiatore di carne cruda”, che però potremmo sintetizzare in “involtino”! Che ne dite?

Sarei lusingato se un Inuit venisse a leggere i miei post nel forum, oltretutto in italiano, per ascoltare il suo parere sulla mia traduzione! Meglio di no.
Viceversa anche noi desideriamo essere chiamati italiani e non mangiatori di spaghetti, al di là che in generale e in certi contesti se mi chiamassero “mangiatore di spaghetti” non mi sentirei offeso e sorriderei. Tuttavia, se durante un incontro ufficiale di capi stato si rivolgessero a Mattarella chiamandolo “mangiatore di spaghetti”, credo che avremmo ragione a risentirci. Allo stesso modo usare “eskimo" o eskimese", accettabile come battuta in un contesto idoneo, è poco rispettoso verso questo popolo.

Idem “pelle rossa” e “negro”, e non è una questione di “politicamente corretto”, come forse potrebbe essere nel caso di “diversamente abile” anziché “disabile”, o “operatore ecologico” anziché “spazzino”, o “bidello”... Forse a un diversamente abile non gliene frega nulla della parola disabile, ciò che gli frega è, purtroppo, la sua disabilità e poterne minimizzare le conseguenze. I disabili hanno posti riservati, gare agonistiche separate, ecc. la loro disabilità è oggettiva, esiste una differenza concreta; quindi ritengo che cambi poco o nulla tra “disabile” o “diversamente abile”, nessuno dei due ha un significato dispregiativo. Un nero, invece, potrebbe alterarsi se lo si chiamasse “negro”, per la connotazione negativa insita il quel termine, visto che nascere bianchi o neri non dovrebbe comportare alcuna differenza in questo mondo. Al di là dei ragionamenti di Maurizio sulle razze, che condivido nel contenuto, nascere bianchi o neri, ad esempio, negli Stati Uniti, non dovrebbe fare differenza nelle elezioni presidenziali; mentre, invece, ahinoi, il colore della pelle pare faccia una qualche differenza se si corrono i 100 m piani e nella boxe…

Pertanto nel mio piccolo evito di usare i termini “eskimo” ed “eskimese”, così come il termine “negro”, poi ognuno faccia quello che gli pare. Alla peggio si beccherà un pungo da un nero, e io una scopettata da uno spazzino!
Concludendo, però, mi sorge un grave e serio grattacapo, che - temo - potrebbe tenermi sveglio tutta la notte! Come dovremo chiamare quel cappottino verde col cappuccio, imbottito di pelo simil pecora?
Uhm… Uhm… Beh…. ma non è che è passato di moda da mo’? Dai, che stanotte si dorme!

Dibattito aperto…

marco ferrario (eko):

--- Citazione da: Lorenzo Molinari - Dicembre 16, 2020, 11:15:51 pm ---Come dovremo chiamare quel cappottino verde col cappuccio, imbottito di pelo simil pecora?
Uhm… Uhm… Beh….

--- Termina citazione ---

Beh ... a questo punto, non rimane che tornare per qualche minuto ai bei ricordi di gioventù.   :)  "ed io che ho sempre un eskimo addosso ..." voglio fare questa dedica a Lorenzo

https://youtu.be/VV2VcnKrkSA

ringraziandolo per la cultura dei suoi interventi. 
Ti leggo sempre con molto piacere.



Vittorio Pongolini:
Ao, Lorè… famme sto piacé, e te lo redico in romanesco...se chiama eskimo...ESKIMO...ESKIMO!! Famme un po' meno de stile aulico, se no me sembri un...D'Annunzio groenlandese! Te serve anche per sarvarte la pellaccia prima de annà a nuotà in un rapidone o nel ber mezzo der Tirreno! Tirate fora e lassa sta' l'etica dei eschimesi! TIRATE FORA CO' 'STA PAGAIA!!

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