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Lorenzo Molinari

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Tatiana, canoista prima tra tutte
* il: Dicembre 12, 2019, 04:26:22 pm *
* Ultima modifica: Dicembre 13, 2019, 04:28:51 pm da Lorenzo Molinari *
A un mese dalla partenza per la Patagonia andai a trovare Tatiana nella sua casa “museo” a Merate, in avanzata fase di smantellamento per l’imminente trasloco. Prima di lasciarci, Tatiana aprì un armadio in cui erano riposte attrezzature da campeggio. Riconobbi subito la sacca della tenda “Paracchini”, così chiamata perché ideata e prodotta circa mezzo secolo fa dall’ing. Luigi Paracchini, capostipite di una nota stirpe di canoisti d’alto corso. Le tende Paracchini erano canadesi doppio telo a uno o due posti ed erano il meglio che si potesse trovare in termini di leggerezza e innovazione, successivamente vennero le tende light di Salewa, Ferrino, North Face... Allora un certo gruppo di canoisti d’alto corso che praticava anche il river trip, così come tanti altri escursionisti, si dotarono di tende Paracchini, dato che il campeggio libero era d’obbligo lungo le rive dei fiumi, e pure io, pochi anni dopo e ancora giovanissimo, ne comprai una.
<<Ma questa è una Paracchini!>> esclamai indicando la tenda.
<<Certamente! Prendila e portala con te in Patagonia!>> rispose Tatiana.
<<Ti ringrazio ma ne ho già una ed è già nel bagaglio.>>
Allora Tatiana tirò fuori dall’armadio un astuccio cilindrico è me lo porse: <<Prendi almeno questo, ti sarà utile!>>
Aprii il contenitore e vi trovai una piccola batteria da cucina in alluminio, apparentemente nuova ma non proprio moderna. Quando tornai a casa la confrontai con la mia e ne apprezzai la migliore funzionalità, così la ficcai nel borsone da viaggio, scartando la mia.
Il giorno prima della partenza, lo scorso 5 novembre, Tatiana mi chiamò per un ultimo saluto, le promisi che sarei andato a trovarla al mio ritorno per raccontarle l’avventura.

Riso e patate erano il cibo che cucinavo praticamente ogni sera lungo le rive del Chubut nel pentolino di Tatiana, a cui aggiungevo una scatoletta di legumi o qualcos’altro. D’altronde, avendo dovuto caricare il mio kayak gonfiabile di cibo per oltre tre settimane, la scelta era ricaduta sugli alimenti meno deperibili. Così quel pentolino a ogni campo mi ricordava Tatiana, anche in quel posto tanto remoto. Una sera, una delle poche sere in cui il violento vento patagonico ci permise di mangiare tutti intorno a un fuoco, chiacchierando del più e del meno domandai: <<Qualcuno sa dirmi chi sia stata la prima donna italiana a scendere un 4° grado?>>
<<Non saprei proprio.>> udii come risposta e, allora, aggiunsi: <<Tatiana Stagni, moglie di Alberto Biagi, uno dei pionieri della canoa italiana d’alto corso, appartenente al gruppo di Carlo Grigioni del CCM.>> (si veda il topic all’URL: https://forum.ckfiumi.net/index.php/topic,5872.msg22403.html#msg22403)
Valentina Scaglia, sorridendo, aggiunse con tono scherzoso: <<Ma come, pensavo di essere io la prima donna italiana ad aver sceso un 4° grado!>> e in effetti non aveva neppure del tutto torto. Se tra la fine degli anni 1960 e l’inizio degli anni 1970 erano fin troppe le dita di una mano per contare le donne che avevano trovato il coraggio di scendere il 4° grado, anche negli anni successivi il 4° grado rimase appannaggio di pochissime canoiste temerarie.
Tatiana scendeva più o meno disinvoltamente il Sesia da sotto la Balmuccia e giù per la Trancia, quando ancora si trovava in mezzo al letto del fiume un grosso masso scuro che tranciava in due il flusso impetuoso delle acque e si diceva che potesse tranciare in un baleno anche un kayak in vetroresina, se vi si fosse incravattato. Poi giù per la rapida dello Slalom, dell’Ubriaco… e per la temuta rapida dell’Occhio, dove un netto buco avrebbe frullato il malcapitato, rapida poi spianata da una piena travolgente negli anni 1980. Tatiana scendeva con kayak in vetroresina, abbigliata con caschetto da bici in cuoio, giubbotto dalla spinta dubbia, giacchetta tipo K-way, una delle primissime mutine in neoprene, simile per rigidità a un copertone di automobile, calzamaglia e scarpe Superga, il meglio che allora si poteva mettere insieme per affrontare gelide acque.

Non so perché quella sera parlai di Tatiana, non mi capitava mai di parlare di lei.
Il giorno successivo giungemmo a un minuscolo villaggio lungo il fiume dove c’era una connessione wi-fi e vidi una chiamata persa dell’amico ed ex canoista fluviale Walter Ratti, uno di quegli amici che non senti quasi mai e la cosa mi allarmò. Gli invia un messaggio e mi rispose che Tatiana era morta il giorno prima.
Aveva molto sofferto e stava ancora soffrendo la perdita del marito, avvenuta un anno e mezzo prima, e probabilmente il suo cuore aveva ceduto a lui, …come per tornare da lui.
Ci sarebbe altro da dire di Tatiana, oltre alle sue discese fluviali e al fatto che fu più volte campionessa italiana di canoa fluviale per il Gruppo Milanese Canoa, anzi la canoa fu solo un dettaglio della sua vita: era una donna singolare, appartenente a un gruppo di pionieri canoisti che viaggiarono per l’Europa alla ricerca di fiumi da scoprire, tutti e ciascuno a proprio modo fuori dal comune. Tatiana era una nota designer, era una donna che sapeva ascoltare e osservare e se iniziava a guardarti come tentennando, eri certo che la sua mente stava elaborando qualcosa di originale e ironico al contempo, talvolta anche tagliente e sarcastico, che ti avrebbe in qualche modo spiazzato o per lo meno meravigliato e indotto a pensare.

Ora, chissà se esista o meno un’altra dimensione, chissà se possano nuovamente stare insieme, tuttavia se ne è andata nel sonno, senza un cenno, senza preparare nulla per il suo viaggio, d’altronde il suo pentolino da campo lo aveva dato a me e - sono certo - che la tenda Paracchini sia ancora lì, nel buio dell’armadio, ma anche questa volta se la caverà con coraggio, risolutezza ed essenzialità per raggiungere il suo caro Alberto, per ravvivare quel turbine di vita che li univa e li aizzava in un gioco perpetuo l’una all’altro.

Un caloroso abbraccio a Tatiana e ad Alberto da tutto il mondo della canoa, da chi l’ha conosciuta e – immagino - anche da chi di lei ne ha sentito parlare per la prima volta solo oggi, è un caloroso abbraccio anche al loro figlio Ludovico, custode delle imprese fluviali dei suoi genitori e di tanti altri speciali ricordi.