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Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
maurizio bernasconi:
Iniziamo la pubblicazione a puntate di un racconto. Inutile dire che le vicende e i personaggi sono interamente di fantasia. Che nessuno creda di potersi riconoscere per favore. Sono graditi i commenti, le correzioni e le osservazioni. Da tutto questo potrebbe dipendere l'evolversi della storia.
Buon divertimento.
FU COSI' CHE TU NASCESTI
Parte prima: Sesso e pagaie a Sabaudia.
Prima puntata.
Non si capisce: due donne, madre e figlia, durante tutto un inverno e oltre, per mesi, sono le uniche o quasi a soggiornare nell’albergo che dà sulla piazza, tra l’altro, parecchio caro. Ma non va a scuola ‘sta ragazza? Boh!?
Passeggiano per i rettifili che vanno nel niente, a un tiro di fionda dall’hotel; colle code di cavallo montate in cima al capoccino sembrano due cipolle, una più ingombrante, l’altra in procinto di diventarlo.
Microscopica e irreale, Sabaudia si erge monumentale e troppo maestosa in rapporto alle poche spanne dell’effettiva elevazione delle facciate, scalcinate con un duemila anni d’anticipo sulle previsioni del costruttore.
I parallelepipedi, come in un plastico, sfidano la luce e il vento, con nulla di vivo in superficie e, soprattutto, con nulla che possa scaldare noi giovani canoisti, canottieri, militari di leva e di firma, confinati qui per diciotto mesi, tre anni, otto anni…
Nel duemilaotto saranno assai rinomate le femmine di varietà veneto/agropontina, tuttavia per ora non sono ancora nati esemplari del genere, forse; oppure esistono, ma si riesce ad arginarli nelle stanze, nelle masserie, nei poderi isolati e recintati. Dev’essere così, infatti non è facile ammettere che madri laide possano generare figlie adatte alle copertine del duemilaotto. Questo per coerenza con uno dei libri più importanti per il filosofo e che nessuno legge, le Enneadi di Plotino, quando vi si dice: l’infimo non produrrà mai il supremo, dal brutto e dall’idiota non s’otterranno né il bello né il buono. Ma tale ragionamento scantona troppo dal progetto del nostro resoconto, glissiamo.
Zone agricole, riserve naturali recintate, bestiame vario, strade tirate con lo staffile sulla futilissima direttrice Imperia/Mogadiscio: non c’è niente per i nostri denti da queste parti, tranne forse: il mare, il lago costiero, la sporadica turista, attrattive che, si sa, alla nostra età non possono bastare.
Proprio qui, in una zona d’ombra sotto altissimi pini marittimi, appena dietro al cuore del paese, poggiato sul rilievo di un modesto dosso ricoperto d’aghi e pigne, giace il benemerito Centro Remiero della Marina Militare, cantuccio decisamente ameno, soprattutto per quelli che sognano di partecipare alle olimpiadi di Città del Messico. Fra una decina d’anni lo sposteranno in prossimità del lunghissimo ponte e ne faranno qualcosa di più grosso e rappresentativo, non si sa di cosa, ma rappresentativo.
Nel Centro Sportivo, o nelle immediate vicinanze, s’acquartierano gli atleti di Fiamme Gialle, Fiamme Oro, Esercito, Forestali e, può darsi, qualche aviatore sparso.
Tutta gente in transito e provvisoria in un luogo che non sarà mai più palude e non è ancora città.
La presenza in questo nulla di due donne sole, romane de Roma, cittadine proprio, scaricate qui, dice, sbrigativamente, dal padre di famiglia, milleotto blu ministero, dice, con telefono montato in macchina, ciumbia!, che non le viene mai a trovare… insomma ‘sta frase dove va a finire, un verbo per favore, vabbe’: non si capisce.
Non si capisce e non sta troppo bene! Non siamo mica nel duemilaotto! Non sta bene! Lo volevo dire e l’ho detto.
A parte un pugno di marescialli nella parte di allenatori, furieri e roba simile, il grosso, un centinaio d’uomini maschi, atleti, per lo più di leva, s’è imboscato qui per remare.
Il canottiere è quello che va all’indietro, bisogna ridirlo perché c’è sempre ancora qualcuno che non lo sa. Chissà come fa a tirare dritto? ci si chiede, in genere, nella nostra cruda ignoranza.
Ha le gambone il canottiere, è almeno uno e novanta… minimo, cento e rotti chili, che se non è cento e rotti, sull’otto non ci mette il culo… sull’otto, l’unica barca che andrà da qualche parte, dice, forse. Certo si spera, ma per i disfattisti: an’do’ c’avrebbe d’anna’ st’otto?
E’ difficile, eppure bisogna crederci: magari non proprio in una vittoria, ma almeno, chi lo sa, in qualcosa, un piazzamento, una finale. Nessuno si metterebbe nei panni dell’allenatore: “Insomma, siamo militari, centoventi persone che becchiamo il soldo, lo stipendio, le trasferte, cogl’aretrati, la tredicesima, l’asegni famigliari, la pensione, l’indennità… almeno facessimo finta di crederci noi, anche se il cronometro dice che questa barca… (gonfiando ahimé un sentimento sempre meno equanime), insomma, questa barca non va un ca--o ‘sta barca! Animali! Svuotate il trogolo e non andate un beato ca--o, ‘sta barca! Ma adesso io vi, vi…(!?... trova) vi spacco il …(non trova)! Dovete tirare, avete da morire, avete da cagare verde e io vi faccio cagare verde… che se oggi non cagate fuori anche il… eun (non trova)”.
Sempre l’allenatore si spreme in argomenti stimolanti, per motivare l’atleta; è chiaro che, nel vivo dell’elaborazione psicologica, può inserirsi talvolta una ripetizione e persino sfuggire qualche iperbole. Capita comunemente a scrittori di chiara fama, vuoi non perdonarlo all’alenatore?
I giganti stanno lì come navi in bottiglia, a farsi crivellare di improperi dal minuscolo allenatore graduato, un maresciallo cazzutello che gli fa quello che vuole, sono persone semplici. (segue, a domani...)
maurizio bernasconi:
...persone semplici.
Il complicato futuro è invece lontanissimo. Nel duemila probabilmente più nessuno butterà in terrà i pacchetti vuoti delle sigarette e altre cartacce, più nessuno si comporterà in modo rumoroso e bestiale; nel duemila e a maggior ragione nel duemilaotto avremo le piste ciclabili, saremo anglosassoni, di più… saremo scandinavi, civili insomma. La Sardegna sarà la nostra Islanda, l’autostrada Torino-Venezia sarà il nostro circolo polare artico.
Questi presenti invece sono tempi ancora pieni di innocenza; siamo naif, non è mica il duemila, quando avranno inventato persino l’antidoping. Oggigiorno per metter su chili, invece del muesli basta scaricare nel caffellatte qualche cucchiaiata di ormoni a uso bovino, provenienti dal consorzio veterinario, sversandoli da certi barattoloni generosi e a buon mercato. Ma io questo genere di cose non le so e non le voglio sapere, come imparo proprio durante la cosiddetta naja; è l’arte che imparerei in qualunque altro angolo d’Italia o di mondo se mi ci fermassi più di tre giorni: l’arte di non sapere quello che si sa.
Difficile dire quale rapporto potrebbe stabilirsi fra i canottieri e le due signore, madama Lucilla e figliola, anche perché la Zerlina, primo anno juniores, non ha compiuto diciassette anni.
Ho sulle spalle un paio di stagioni soltanto in più rispetto a quella sbarbata, e arrivo a Sabaudia, come la più ingenua e svagata delle reclute: col mio kayak, nientemeno, a correre per le forze armate. E’ tutto nuovo per me. Che razza di parole!, FFAA forze armate, esercito. Lettere maiuscole ripetute: pornografia grammaticale… e che spettacolo inconcepibile questa vita delli omeni, e che omeni!
Intuisco insidie per l’onesta giovane, in compenso negherei l’eventualità che una donna matura, una donna a un pelo dalla quarantina, una madre di famiglia… insomma, escludo che un soggetto come Lucilla, nelle condizioni in cui si trova, possa ispirare velleità lubriche, specialmente poi all’udirne i suoni: indiscreti e inarginabili. Sbaglio. L’unica giustificazione che potrò addurre in avvenire per la mia svista, a parte l’incompletezza delle letture, a parte il fatto che evidentemente non ho esperienza in nessun campo, l’unica giustificazione che addurrò sarà insomma questa: ancora non m’hanno informato che a Sabaudia è di stanza anche una compagnia di artiglieri con ottocentocinquantasei effettivi.
Se i canottieri sono quelli che vanno avanti e indietro sul binarietto (cosa che a noi pare sempre un po’ da bischeri anche se invece no… ma è lunga da spiegare), i canoisti, di gamba magra, hanno qualcosa a che fare con gli eschimesi, quelli del kayak, o con la canoa degli indiani del nordamerica; se poi uno darà un’occhiata al globo s’accorgerà che si tratta esattamente delle stesse persone.
Sempre tutti domandano: qual è la differenza fra la canadese e il kayak? Anche se glielo dici un milione di volte loro sempre lo chiederanno, si vede che veramente è proprio la cosa che gli preme di più di conoscere al mondo infatti, anche se lo spieghi un’altra volta e poi ancora, e ancora, loro lo chiederanno di nuovo, non si stancheranno. Per questo insistono, perché proprio gli interessa molto.
Ecco pertanto che occorre sommare al numero degli artiglieri (che non remano, ma verosimilmente vorrebbero applicarsi al femminile) e ai canottieri (inconsapevoli della goffaggine, parteciperebbero anch’essi), occorre dunque aggiungere anche il manipolo dei canoisti, e non finisce qui...
Infatti il tiepido e ospitale bacino salmastro di Sabaudia è raggiunto verso dicembre da una migrazione di squadre nordiche. Quando ancora lassù il siderale abbraccio stringe laghi e fiumi, e la galaverna assidera i glutei al vogatore, calano a svernare le squadre nazionali di Germania, Svezia, Olanda eccetera…
Vediamo pertanto scendere in acqua i pesanti canoisti della Germania occidentale e qualche inglese, spaiato emulatore dei kappisti ungheresi, tuttavia inimitabili nel loro stile aereo, alto e proteso nell’allungo, qualche polacco naturalizzato Andorra, due o tre danesi.
Un finlandese del canottaggio, medagliato ai mondiali, fa scalpore perché è altissimo e misterioso, si allena in orari strani ed evita proprio di farsi spiare quando è in barca. Dicono che vinca regate in tutto il mondo, in Australia, in Argentina, là dove si ottengono cospicui premi in denaro; trascinandosi dietro, pare, sugli aerei, una barca leggerissima costruita appositamente per lui, che nessuno può vedere da vicino, sempre avvolta com’è da una custodia imbottita.
Insomma: altri maschi e quasi zero gnocca, perché il canottaggio femminile è ancora da inventare e le kayakiste a livello mondiale sono pochine. Stavo per dire quattro gatti o quattro gatte, che già costituirebbe una definitiva caduta di stile, beh, è chiaro, avrei poi corretto, sì, ma... Basta.
Da una parte quindi, la signora Lucilla e la sua prole, creature impraticabili (a quanto pare solo per me), dall’altra noi, oltre mille affettivi, età: dai diciotto ai venticinque, anno più anno meno.
Mi pare che la storia stia prendendo una linea abbastanza precisa. Le forze in campo sono evidenti, le polarità ben definite. Come la cuspide del picco alpino non potrà cadere che in basso, procederà ineluttabilmente anche il destino dei miei personaggi di fantasia.
Sì, ma come? Come procederà? Con quali dettagli? (A DOMANI PER IL SEGUITO)
maurizio bernasconi:
3° ...Con quali dettagli?
Quando un giorno, sorprendente Ninfa, arriverai per interrogarmi, vorrai i dettagli. Vorrai sapere qualcosa di molto preciso, giustamente. Come farò a ricostruire i fatti?
Però, Ninfa, che razza di nomi in famiglia! Già Zerlina non scherza, Ninfa poi sembra il nome adatto al design di un rubinetto o a un catamarano. Si vede che sono nomi del futuro. Pare già un incubo sentire i nomi del presente da quando sono state battezzate le prime Samante e Verusche. Chissà fra trent’anni!?
Si capisce, il mio stato d’animo oggi è semplicemente di tenue ansia per la frangibilità della minorenne e non perché siano veramente fatti miei… è che sono sempre stato fastidiosamente apprensivo.
Noi canoisti costituiamo il minore dei pericoli: una scarsa dozzina. Ma siamo più svelti, meno rudimentali e tarlucchi dei canottieri, mi spiace ma è vero, salvo eccezioni.
Non dirò molto riguardo agli artiglieri. In tutti questi mesi, osservo sempre manifestazioni del tutto onorevoli fra gli artiglieri. Ogni persona bada a mantenere relazioni convenienti anche con il più inerme dei conoscenti, perché io dovrei inimicarmi senza motivo un’intera arma dell’esercito, un arma dotata come tutti sanno di cannoni, mortai, obici, tutti aggeggi di calibro superiore ai 20 millimetri, nonché razzi, missili, bazooka, lanciafiamme e di chissà quali altri ordigni?
Giungono qui al ritmo di trecento per contingente e badano ai fatti loro. Percorrono la lunga strada che costeggia la caserma come formichine, all’ora esatta della libera uscita, proliferano così fuori del nido e raggiungono il bar con le cabine telefoniche, le tasche sfondate di gettoni, per impegnarsi nelle innocenti telefonate alle donne, alle mamme, nei dialetti più disparati e sorprendenti, urlando nelle cornette: sentute, ad sent. Gli artiglieri.
Nel duemilaotto il servizio di leva non esisterà più, le cabine non esisteranno, la libera uscita non lo so, la strada che costeggia… non ci sarà più neanche quella, la caserma idem e le mamme… boh.
Però dopo le telefonate… che fanno, o cercano di fare i maschioni? A parte che mica si telefona tutte le sere, vanno giù i gettoni con le interurbane e quasi nessuno è poi così scemo da passare le ore dentro quelle saune puzzolenti.
Sospetto ben altre tenebrose occupazioni. Su ottocentocinquantasei uomini… pur ammettendo che due o tre si fermino in branda a leggere, che so, “I fratelli Karamazov” o “Dedalus”, non più di tre, les italiens… si sa; anche concesso che una decina marchino visita in infermeria, resta abbastanza per impensierirsi.
Le due distinte virtù, rispettivamente, della Lucilla e della Zerlina sono come due (distinti) fiori di loto ancora (forse) a galla su uno stagno abitato dai draghi. Alla lunga, chi mai potrà ignorare la loro presenza?
Viste la lontano presentano proporzioni uguali, grosse in basso, come damigiane (mi spiace), spalle strette e ciuffo sommitale. La juniores si allena, dicono, con un preparatore personale che proviene direttamente dalla scuola superiore di sport: il professor Rotti, un giovinastro col fisico da culturista e pantaloni con riga al laser, un autentico scienziato. In barca comunque Zerlina ci sale poco, altrimenti la vedremmo più spesso, noi che maciniamo mattina e sera giri su giri del bislungo, altrimenti detto, lago di Paola.
Se capita di superarla o incrociarla in kayak, facciamo gli aitanti, aumentiamo l’andatura, tiriamo fuori i deltoidi, i pettorali. Pazienza se è fatta a damigiana, pazienza se pagaia come una pecora col carbonchio, pace pure se ci snobba sdegnosamente, sebbene qualcuno di noi la conosca dal tempo dei Giochi della Gioventù, quasi dieci anni fa: è pur sempre l’unico succedaneo di donna visibile nel raggio di decine di chilometri.
Dico visibile perché, in realtà, ce ne immaginiamo anche di invisibili. Nelle ville abbusive piazzate intorno al lago, sospettiamo un pullulare di debordanti troione di lusso. Nessuno le ha ancora avvistate, ma devono pur starci, se no: a che servirebbero ‘ste ville? Diciamo pure, nello spirito dei luoghi, ‘ste ville de li miei cojoni. Giusto?
Insomma, è strano che Zerlina ci eviti in modo così plateale, almeno quando ci trova in branco; primo, si va in canoa pure noi, secondo, sappiamo da dove proviene, terzo…? forse allora, mah!? Del resto i casi della Zerlina non hanno nessuna importanza. La testa ci serve quasi solo per contare i giorni, le settimane e i mesi, in attesa di quel pezzo di carta illimitato e provvisorio: il foglio di congedo. (segue)
maurizio bernasconi:
...congedo. (4°) E’ gennaio, feriale, al mare non va nessuno e il litorale è deserto. Il programma d’allenamento di oggi sarebbe: riposo attivo. Si tratta di far qualcosa di rilassante e distrarsi, così: senza svaccarsi troppo. La giornata è tiepida, potrebbe scapparci un bagno. Non so se sia l’ultima bella giornata dell’anno scorso o la prima dell’anno venturo.
Decido così di fare una marcia a piedi nudi sul chilometrico bagnasciuga del Tirreno, per sentirmi come Enea, come Ulisse. Per rubare, come se fosse ancora possibile, qualche attimo da vero uomo sulla Terra, sotto al cielo, davanti a Oceàno. Per catturare un’illusione mitologica. Per mettere un frammento di eternità dentro la solita commedia.
Ed ecco che trovo Zerlina, sola soletta, appollaiata sul cucuzzolo di una duna. Se fossi poeta, avrei i mezzi per vedere Nausica, Circe, Didone, ma sono semplicemente canoista e a distanza scorgo in silouette un giovane cactus che rimira l’orizzonte placidamente.
Ma attenti, anche le mine antiuomo stanno placide sulla sabbia, inizialmente.
Nonostante tutto, devo ammettere che Zerlina ha un bel muso e possiede un certo portamento, un qualcosa, non saprei, un modo di fare stizzosetto che sembra carattere, comunque non è banale, non è scontata… nel suo piccolo.
Ci facciamo compagnia e ci scappa il bagno. E’ un momento, direi, di amicizia. Niente di memorabile.
Ulisse ed Enea incontravano rare e preziose femmine sulle battigie del Mediterraneo e le loro passioni si avvantaggiavano del dettato poetico. Con tutto questo, se la davano ugualmente a gambe dopo una settimana. Oggi siamo tre miliardi, anche le donne del ventesimo secolo soffrono l’inflazione e i ragazzi, quelli come me almeno, attraversano periodi di stupidità che rasenta l’idiozia.
Questo incontro, non credo che si ripeterà.
Scuserai Ninfa quando sarò franco, nel duemilaotto: ma chi potrebbe offendersi dopo ‘sto po’ po’ di tempo? E poi nel duemilaotto saranno dimenticate tutte le delicatezze, tutte le ipocrisie. La parlata sarà obbligatoriamente sboccata, triviale e democratica.
Ricapitoliamo: gli artiglieri, sono piccoli e neri… non ci siamo, non collima; i canottieri neanche… genetica pesante, caviglie grosse, fantasia da cementificio; i canoisti, cioè noi… insomma… sarei obbligato a saperlo; restano solo i tedesconi o i russi, quelli delle gare internazionali; oddio, anche quelli… gente capace di una zampata sul traguardo che ti leva la medaglia, sì, ma per far caso all’avvicinamento d’una donna gli ci vuole una settimana. I russi poi si presentano solo alle gare più importanti, guardati a vista e, comunque, hanno da scopare a iosa con le russe, che francamente Zerlina, al confronto… sembra un frisbee di fianco alle astronavi.
Chi sarà stato allora? Mica potrò dire: o tutti o nessuno! Ninfa, è proprio questo ovviamente che cercherai di scoprire, temo. Avrò poi voglia io di rispondere, nel duemilaotto? Chissà? E cosa sarò in grado di rispondere, di ricordare? Chiederai, chiederai. Un guaio!
Gli atleti sono di due tipi: quelli veri e quelli farlocchi. I veri sono al Centro per meriti sportivi, titoli italiani, gare internazionali e simili. I farlocchi vengono selezionati durante una fatidica “visita attitudinale” fra i marinai di ogni contingente, catturando i giganti: con un fisico da Ercole, si finisce a Sabaudia. Anche per questo pare di stare a Cinecittà, sul set di un colossal, un po’ per le architetture ventennio, un po’ per ‘sti macisti che ciondolano e un po’ per l’anda prevalente romanesco.
Oltre ai giganti, che possono provenire dalla Valtellina, da Udine o da Pantelleria, indifferentemente, ci sono anche dei normali abbastanza misteriosi, originari, direi, della Sicilia. Normali si fa per dire; nel nostro gruppo di canoisti ne capitano due, la forma di linguaggio alla quale hanno saputo evolversi è l’estrazione di un unico argomento, un argomento a serramanico. Nella camerata abbiamo letti a castello. Con me sta un cremonese, kayakista forte, mio compagno anche di kappadue. Coabitano con noi anche Filippo, un montanaro di Stresa, vero nibelungo e Carlo, canoista fluviale di Milano, poliglotta, appassionato memorizzatore di tutti i frammenti di Hölderlin, che finirà in seguito a insegnare in varie università americane.
A completare il gruppo ci sono un paio di ciunisti, uno olimpico e uno fluviale, quest’ultimo si allena sul lago piatto col suo barcone da discesa arcilento per i mondiali di Skopje. Gli sembra di zappare nella terra gelata e mentre pagaia, per non piangere, sogna le rapide del Passirio e del Noce.
I siciliani pretendono di piazzarsi nelle brande poste di sotto, forse temendo di ricevere una lama nella schiena attraverso il materasso, quella infatti sembra l’unica preoccupazione della loro anima, notte e giorno: le coltellate.
Notevole è Carlo; a cinque anni ha imparato lo svedese da una grammatica sgraffignata al padre, per godersi in lingua originale le avventure di Pippi Calzelunghe. Lui è tosto quanto i siciliani: l’inevitabile scontro non finisce nel sangue, inesplicabilmente. In seguito, a Carlo non andrà mai giù d’essersi fatto sfuggire il record di poeta vetero-romantico precocemente deceduto.
E’ sempre lui che comincia. Fa così: gioca a portare uno dei siculi all’esasperazione (niente di più semplice) per poi, un attimo prima della prevedibile reazione, ridergli in faccia facendo un ghigno da giapponese. La strategia sempre uguale, ma ogni volta imprevista, getta l’antagonista nel parossismo, poiché non è programmato per replicare a quel ghigno; alla fine occorre trattenerlo in quattro per evitare che si sventri da solo. (segue)
maurizio bernasconi:
...ventri da solo.
I giganti sono giganti buoni grazie a dio, paste di pane, con la reattività di un graffito della Val Malenco. Obbligarli a correre, sollevare pesi e remare è un’inutile angheria.
La mensa del Centro Remiero (sempre maiuscolo, mi raccomando) è famosa; ci si riempie il piatto a volontà di pastasciutta, quasi solo pastasciutta, ma a volontà; finalmente si legge su qualche faccia.
La felicità con la quale i selezionati arrivavano a Sabaudia è autentica; per uno degli imboscamenti più ambiti d’Italia: clima mite, rari turni di guardia, giri in barchetta e viaggi qua e là in occasione delle regate. Pare di sbarcare in un villaggio meraviglioso, a loro, ma scoprono presto il trucco, che come al solito c’è: ovverosia la pretesa che imparino a remare e si allenino.
L’atleta vero è tutta un’altra cosa. Sta qui per un motivo preciso e prova un piacere misterioso sotto lo sforzo più intenso; inoltre voga o pagaia da quando è bambino e sa dunque muoversi.
I giganti, credendo di riconoscere lo stesso spleen dei reduci da bettola incontrati nel proprio paesello, si inseriscono volentieri nei discorsi degli atleti, nei racconti di gare, di vittorie, di record. Qualcuno di loro diviene rapidamente esperto e memorizza i patronimici di tutti i russi e di tutti gli ungheresi in semifinale alle olimpiadi di Monaco, ma non diventerà un campione, perché non andrà mai un accidente.
Peccato; alcuni darebbero un braccio per essere già degli ex campioni, solo per il gusto narrativo di rivangare chissà quali inesistenti trascorsi agonistici, record, sfortune varie, davanti a un bicchiere di lambrusco. Continuano invece a subire gli allenamenti come lavori forzati. E’ la loro tragedia: ore e ore ogni giorno col piccolo tragico allenatore che cerca di spremergli da dentro qualcosa. Qualcosa che, anche con la migliore buona volontà, non riescono a farsi la più pallida idea di che cacchio possa essere.
Gli toccano carichi di lavoro più intensi, presumo, di quelli imposti ai forzati, carichi di lavoro, per loro, insopportabili e tuttavia ridicoli, pediatrici, se paragonati alla quotidiana uscita in barca di un canoista o di un canottiere di livello anche solo nazionale.
Della tua mamma, parlo della Zerlina, vorrai sapere ogni cosa, mentre cercherò di tergiversare e simulerò di non capirti, Ninfa. Immaginerò che hai avuto tutto il tempo di conoscerla già da te, purtroppo, e lo sai da sola di aver avuto una mamma un po’ leggera o, se preferirai, un po’ stronza, diciamo così; sarà questo il termine che userai tu stessa nel duemilaotto, infatti, e avrai ragione pure tu, come tutti…
Zerlina: campionessa categoria cadette o ragazze sui cinquecento metri, non so più. Beninteso, campionessa in miniatura, perché basta arrivare al traguardo, le iscritte sono due o tre. La campioncina dunque sta lì, a mollo invernale nelle paludi di Mussolini, e ufficialmente si allena. Mentre la candidata nonna, che a me pare nonna papera, ma un artigliere infoiato potrebbe scambiare per una femmina almeno il tempo necessario a sparare un colpo, non si sa come riesca a far passare le giornate.
Una volta che mi capita di incrociarle per caso nella hall dall’albergo, a tarda sera, avanzano con l’inerzia di taniche piene. La giovane conta gli acari sul pavimento, la vecchia passa di brutto mostrando di non conoscermi. Esco e vedo frotte di soldatini che accelerano pressati dal contrappello. Paiono tutti un po’ svuotati, dipenderà dal mio malanimo naturale.
Sarai proprio sicura di voler sentire queste porcherie? Me lo figuro... Ostinazione femminile: ostinazione e innocenza, sempre, anche nel duemilaotto. Verrai tu, Ninfa, a cercarmi e sarai così bella, proprio come mi avranno più volte riferito. Sarai alta quasi come me, chiara come il sole, avrai gli occhi di cielo, le spalle ben formate, dritta e le caviglie snelle. Non c’entrerai niente con tua madre. Io dirò: “Ti hanno scambiata alla nursery. Lascia perdere la storia di tua madre, è meglio! Perché insisti?” Ma tu niente.
Allora continuerai ad ascoltare, te la sarai cercata. “Comunque non guardarmi così, dirò io, non puoi indagarmi a quel modo, non te lo permetto”.
La vita è regolata sul ritmo quotidiano degli allenamenti, una o due uscite in barca, oppure, ma solo d’inverno, interminabili corse intorno al Parco Nazionale, foresta gestita dalla Forestale, fino a raggiungere il monte Circeo per rientrare sulla duna litoranea. Un paio di volte alla settimana ci smazziamo un circuito di resistenza con i pesi e Blaho.
Dall’inizio della primavera, approssimandosi la scadenza delle gare, insistiamo esclusivamente sulle uscite in canoa: alla mattina e una seconda volta verso sera, evitando le ore più calde, con ripetizioni di cinquecento o mille metri, partenze da fermi, progressioni varie di intensità e durata crescente.
Noi canoisti siamo insomma sempre sul lago. Ho impressione che i canottieri al contrario battano la fiacca; quando mettono in acqua un armo è un avvenimento. Sono tutti vogatori di punta, agiscono su un solo remo, sono giganti da barca multipla adatti al quattro con o all’otto. Nessuno ha la classe per distinguersi nel due senza o la forza per competere nel due con. Neanche a parlarne poi di equipaggi di coppia, quelle barche scattanti e simmetriche dove ciascuno agisce su due remi.
Spicca l’assenza di un campione capace di farsi valere in gara nel singolo, dove è necessario possedere stile, equilibrio e potenza. La maggior parte dei giganti non avrebbe neppure il coraggio di sfiorare col mignolo il coppale lucido sul cedro di quelle imbarcazioni.
Escono, dopo preparativi eterni e altre tergiversazioni, affiancati da un motoscafo; l’allenatore sbraita nel megafono la nobile arte del remo aggiungendo il suo baccano a quello del fuoribordo: sarebbero delle uscite didattiche, o tecniche, dice, che ne so.
Noi canoisti ci alleniamo in modo indipendente, nessuno grida: sappiamo cosa fare e diamo il cento per certo per libera scelta.
Le barche da canottaggio e i kayak, difficilmente raffrontabili in velocità, sono specialità troppo diverse; in generale un kayak non potrebbe eguagliare un armo sulla distanza classica dei duemila metri, ma le nostre canoe sfrecciano davanti ai giganti per sbeffeggiarli. (segue)
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