La questione è complessa e di fatto ignorata.
C’è da fare una considerazione anche sullo sfogo, apparentemente fuori luogo, di Andrea Ricci. Se facciamo un paragone un incidente mortale in canoa fa molto più rumore rispetto ad un incidente in montagna dove si muore molto spesso e non solo durante grandi scalate su grandi vette ma anche banalmente su attrezzatissime, curatissime e presidiate piste da sci. Ma a quello la cronaca ci ha ormai abituato al punto che non ci facciamo più caso. Un paragone forse azzardato, sicuramente la gente che va in montagna è infinitamente maggiore rispetto a quella che va in canoa ed in proporzione non so se la percentuale di incidenti mortali sia paragonabile, ma non credo.
Ricordo però che sia l’alpinismo ad un certo livello che anche il kayak quantomeno fluviale (ma forse anche marino di un certo livello) fino a qualche decina di anni fa erano di fatto considerati sport estremi. Per cui, pur con tutti gli avanzamenti tecnologici e culturali che vogliamo, considerare che siano sicuri quanto il tennis da tavolo è decisamente utopistico.
Giustificare così la questione è folle. Se l’incidente capita NONOSTANTE siano state prese tutte le precauzioni considerate logiche ed attuabili è una cosa e sono d’accordo sul fatto che in qualche modo vada accettato. Se l’incidente capita perchè il discorso sicurezza è stato ignorato la musica cambia.
Questa scarsità di praticanti rispetto agli esempi degli sport di montagna o al ciclismo (dove pure gli incidenti gravi non mancano, e fanno ancor meno notizia se non a livello locale) se da un lato è un bene -vedi questione sicurezza sul monte Bianco- dall’altro produce meno consapevolezza e meno normativa (anche qui si può discutere se l’assenza di normativa sia un bene o un male). A ciclisti e sciatori è stato imposto il casco, l’alta visibilità; con gli alpinisti si fanno campagne di sensibilizzazione su dotazioni di sicurezza -ARVA- , abbigliamento tecnico ed aattrezzatura adeguata, certificata, non scaduta e relativa capacità tecnica.
In canoa è normale ritrovarsi in mezzo al lago in inverno con la tutina da fitness, o in estate anche con venti previsti con quei “canotti” gonfiabili spacciati per kayak che si vede al volo che diventeranno ingovernabili con un po’ di brezza ed onda. Nessuno dice nulla, nessuno si scandalizza.
Purtroppo viene impossibile fare un’analisi critica ed oggettiva degli eventi dato che le informazioni essenziali vengono sempre omesse. Di un morto in montagna vengono sempre riportate notizie utili quantomeno a classificare l’evento: se si tratta di un alpinista esperto e ben attrezzato -magari anche conoscitore della zona- o se si tratta del classico sprovveduto che si avventura sul ghiacciaio in scarpe da tennis. L’analisi degli incidenti è di fatto in tutti i casi l’unica possibilità di valutare il rischio (rischio inteso in senso prettamente tecnico ovvero R= probabilità X vulnerabilità) e di conseguenza pensare seriamente a come far fronte alla cosa.
Di fatto quando capita in canoa spesso e volentieri non si sa neanche se la vittima era in giro in canadese, K1, kayak mare, gonfiabile o cos’altro.
Sarebbe auspicabile che qualche ente, a livello nazionale (che sia FICT, FICK, Sottocosta o chicchessia), si prenda carico della questione, interfacciandosi magari con le controparti estere che sono sicuramente più avanti sulla questione e cerchino, per quanto possibile, di iniziare questa raccolta dati.