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Sempre più appassionato di questo sport....
matte kk:
Già visto il film e neanche troppo tempo fa.... anche loro secondo me sono stati dei grandi ad affrontare quel fiume in quell epoca (1975? 1976?) E so per altro che l hai disceso anche tu ma correggimi se sbaglio....
comunque proprio prendendo spunto dal quel film mi ricordo se nn sbaglio che la discesa non ebbe pochi problemi anzi ruppero qualcosa come 5/6 barche alcune delle quali andate perdute e fecero uno svariato numero di bagni uno dei quali rischiò di uccidere il canoista data la lunghezza della rapida affrontata a nuoto.... poi se nn sbaglio lo stesso canoista morì anche lui qualche anno dopo ma nn ricordo la circostanza.... però perché allora giudichi la discesa sul dudh kosi qualcosa di memorabile e quella dello sustina qualcosa di discutibile? Per il volume d acqua con cui sono state affrontate le discese? Se per questo forse posso capire anche se nn condivido ma allora nn si tratta di tecnica ma bensì di valutazione del pericolo che peraltro ritengo estremamente soggettiva e mutabile nel tempo. Inoltre sfido chiunque dei top kayKer anche moderni ad affrontare quel fiume li senza ribaltarsi neanche una volta proprio per via della imprevedibilità del movimento dell acqua... poi non credo neanche che in un quinto come quelli (sesto per noi italiani) si riesca a vedere così tanto la tecnica dell individuo... comunque per me rimangono miti i protagonisti di entrambi le discese . Gente che si è spinta oltre il limite per l amore e la passione nei confronti del prorpio sport e che è rimasta ai posteri per le loro imprese che hanno permesso a chi è venuto dopo di poter apprezzare certe perle naturali altrimenti rimaste sconosciute
maurizio bernasconi:
Mike Jones è poi annegato in Pakistan, ma il punto non è quello. La discesa del fiume in piena contiene un elemento di azzardo che un canoista molto esperto terrebbe in debito conto. Io, se leggi bene, non giudico la scelta di scendere o meno dalle cascate del Niagara. Ho solo osservato che la tecnica non è la stessa che si può osservare nei canoisti di alto livello.
Comunque... andando a Bonatti.
Bonatti era un uomo intelligente, solidissimo e ricco di fantasia. Sapeva andare in lungo e in largo sul proprio pianeta cercando la bellezza e la realtà, e superava le difficoltà utilizzando preferibilmente i mezzi a portata di mano. I fiumi gli servivano semplicemente per raggiungere i luoghi e non era particolarmente interessato alla tecnica del kayak. Siccome negli anni ’70 era assiduo a Milano di casa Alessandrini, e Andrea apparteneva alla cerchia ristretta dei migliori kayakisti dell’epoca, avrebbe potuto farsi insegnare almeno i rudimenti, ma una cosa del genere non si adattava alla sua poetica. Inoltre lui stesso ammetteva che tutto quel liquido sotto al culo in continua inconsulta agitazione non gli dava affidamento e sui fiumi non si divertiva affatto. Per ben due volte s’era imbarcato a bordo di un improbabile zatterone assemblato con vecchi bidoni di recupero su un affluente dell’Ucayali con l’idea di sbucare prima o poi nell’Atlantico e s’era schiantato dopo trecento metri. Parlava di questi episodi ridendo come di bischerate estemporanee o, se volete, esperimenti. Ho incontrato poi nel corso del tempo parecchi altri “avventurieri” di variabile levatura, alcuni dei quali tosti quasi come Bonatti, i quali di tanto in tanto erano interessati a compiere un certo exploit. Per esempio uno di loro mi consultò perché aveva appena comprato un kayak e si riprometteva tempo otto giorni di fare dal salto di Piode. Fargli notare che aveva comprato un kayak perfetto per il giro dell’Isola d’Elba non bastò a scoraggiarlo. Altri venivano a chiedere lumi sul modo più sbrigativo per discendere il Kizilirmak o l’Omo, ed erano preoccupati soprattutto per la cucina turca oppure per la velocità dell’ippopotamo incazzato. Un paio erano convinti di poter pagaiare da Genova alla Corsica senza pause suffragando il progetto col dato che sollevavano come se niente fosse 140 chili in panca. Non riuscii mai a incoraggiare o soddisfare nessuna delle aspettative di questi signori, poi si diffuse finalmente la voce che ero un tipo asociale e questo genere di consulenze diradarono. Il mio scetticismo però, devo ammettere, non era completamente fondato. Molti infatti finirono col realizzare avventure degne di apparire sul giornale. Questo genere di passione per l’exploit è interessante sotto molti punti di vista e non mi permetterei mai di giudicarla negativamente anzi, a patto di non venir coinvolto, apprezzo sempre lo slancio. Però, visto che mi sono sempre interessato alla tecnica della canoa, tendo a soffermarmi sull’osservazione di come uno pagaia. E’ forse un vizio, pazienza, ma non credo fermamente che nella vita sia obbligatorio saper pagaiare, anzi ho amici che non sanno nulla di canoe e simili, e li considero persone a posto ugualmente. Del resto abbiamo ormai dimostrato che per compiere grandi imprese, canoistiche o meno, non è affatto necessario saper pagaiare.
Giuseppe Coduri:
Devo segnarmi la data, mi trovo d'accordo con Bernasconi e non accade spesso. Vedendo il video di Blackadar ho avuto questa impressione: non so se fosse per la tecnica di pagaiata approssimativa o per il combinato disposto di scafi di forma antiquata e portata d'acqua esagerata, fatto sta che i canoisti mi sembravano totalmente in balia degli elementi. Tanto di cappello per il fiato e la resistenza a tirare un eskimo via l'altro, ma è un'impresa che denota sprezzo del pericolo più che abilità.
io sono maggiormente affascinato dall'abilità, non ammiro molto la spericolatezza fine a sè stessa, ma forse è un mio limite.
ciao a tutti e comunque grazie a matte kk per le perle che ci ha proposto
matte kk:
Grazie Giuseppe Corduri, in ogni caso mi fa piacere lo scambio di opinioni e accetto chi la pensa diversamente perchè come ho detto in precedenza siamo in una comunità libera e credo nella libera espressione (purché esposta nella maniera giusta e senza usare volgarità)...
Come ho scritto nel mio post sono solo poco più di 2 anni che mi sono affacciato al kayak fluviale e alla canoa in generale, ma mi ha appassionato fin da subito in quanto sono un amante della natura e l' idea di scendere in un posto sperduto lontano dalle masse mi attira fortemente. Da allora dedico circa 3/4 giorni alla settimana alla canoa e in mancanza di acqua nei fiumi mi alleno in acqua piatta in mare (sono di Genova e ho la canoa a Nervi) oppure faccio qualche volata giornaliera a Ivrea. Non essendo mai stato iscritto ad un club ho imparato ad andare grazie ad un mio amico che mi ha insegnato le basi, ma poi, essendo curioso sono andato a leggermi quanto più trovassi su internet riguardo alla tecnica unito a qualche video tutorial che si trovano in giro (hips e hips 2 di Salvato per esempio).
Non sono mai riuscito invece a leggere i tuoi libri Maurizio Bernasconi ,ma conto di farlo in futuro....
Inoltre proprio per questa passione mi è sempre piaciuta l'idea di andare a fondo di questo sport e guardarne le sue radici...
Ho sempre trovato fenomenale il fatto che al giorno d' oggi non ci sia più praticamente fiume importante conosciuto che non sia già stato sceso in passato da persone che disponevano di materiale peggiore ed in condizioni peggiori rispetto a quelle di oggi e provo per queste persone un senso di grande ammirazione...
Purtroppo non sono ancora riuscito a fare grandi viaggi, ma conto di riuscire a farli in futuro.... Magari Maurizio vengo a chiederti quanto possa essere cazzuto un ippopotamo arrabbiato dovessi andare in Africa.... ;) ;) ;) ;) Cherrs Matte!!
Lorenzo Molinari:
Condivido le opinioni di Maurizio, non che abbia bisogno di conferme da parte mia o di altri.
Ebbi anch'io occasione di incontrare Walter Bonatti attraverso l'amico e “maestro” Andrea Alessandrini e, come ricorda Maurizio, diversi furono i grandi di allora che passarono in via Magellano dalla RES-CanoeASA, soprattutto al termine delle loro carriere alpinistiche o velistiche, più o meno estreme, per consentire loro di continuare a cimentarsi in attività non ordinarie, di sfamare la loro sete di avventura o che potessero ancora una volta far parlare di loro (e non mi riferisco al grande Bonatti), nonostante si trattasse talvolta di imprese tecnicamente poco convincenti, almeno per chi era del settore, e fossero svolte con scarsa padronanza nella tecnica del mezzo esplorativo (non solo canoe), per quanto fossero svolte in ambienti ostili e remoti. D’altronde questi personaggi erano per lo più persone di buon senso e con una certa attenzione alla propria sopravvivenza, aspetto che paradossalmente si evidenzia proprio con l'avanzare dell’età.
Ma c’è una differenza abissale tra aprire una via estrema di roccia lungo la parete verticale di una montagna, magari in quota, magari d'inverno, magari in solitaria, magari in libera e magari una Nord, rispetto a scendere un fiume di 6° in piena. Se non si è perfettamente preparati psicologicamente e fisicamente, se non si è adeguatamente motivati, se non si ha piena padronanza della tecnica, se non si conoscono perfettamente i propri limiti, se non si conoscono le tecniche di auto-sicura, non si è in grado neppure di sollevarsi di un metro all'insù lungo la parete. Su un 7° i polpastrelli di un homo sapiens comune non reggono e i piedi scivolano, anche intuendo gli appigli, e nel caso si abbia la tecnica ma non tutto il resto, la morte aspetterebbe dietro l'angolo, la montagna raramente perdona più di una volta.
Chiunque, invece, può infilarsi in un bidone o chiudere il pozzetto di una canoa per buttarsi giù dalle cascate del Niagara o discendere chissà quali rapide, uscendone incolume. E apprendendo la tecnica dell'eskimo e riuscendo ad applicarla in rapida, tutto risulterebbe più sicuro. Ho un amico, discreto canoista, che si è cimentato più volte con successo su fiumi troppo impegnativi per lui, ma il suo eskimo preciso l’ha sempre tirato fuori da probabili brutti bagni, e se affermo che quei fiumi erano troppo impegnativi per lui è perché il numero di eskimi che tirava era nettamente più elevato di quello di alcuni suoi compagni canoisti che, indipendentemente dal numero di eskimi, conducevano abilmente la canoa e non viceversa.
Sifoni, nicchie, under-cut, buchi mortali non sono ovunque e non è detto che ci si finisca dentro pur essendo in balia della corrente. In varie occasioni sono rimasto sorpreso di come canoisti poco esperti siano scesi incolumi da certi fiumi. Il rischio è che poi il canoista possa sopravvalutarsi e così, dai e ridai, si caccia nei guai.
In canoa non è così facile farsi male o morire come invece è per l’alpinismo (parlo di “alpinismo” e non di “arrampicata sportiva”), nonostante l’acqua, che corre vorticosa, possa far più paura di una parete incombente e immobile, al di là del fatto che qualunque disciplina “in ambiente” abbia alla lunga i suoi lutti, anche tra i più esperti.
Saper andare in canoa è un'arte come arrampicare, ma se hai salito la Nord del Cervino in solitaria d'inverno e lungo un nuova via, certamente non sei uno sprovveduto, mentre in canoa il fatto di aver sceso un certo fiume non necessariamente qualifica il canoista.
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