Condivido le opinioni di Maurizio, non che abbia bisogno di conferme da parte mia o di altri.
Ebbi anch'io occasione di incontrare Walter Bonatti attraverso l'amico e “maestro” Andrea Alessandrini e, come ricorda Maurizio, diversi furono i grandi di allora che passarono in via Magellano dalla RES-CanoeASA, soprattutto al termine delle loro carriere alpinistiche o velistiche, più o meno estreme, per consentire loro di continuare a cimentarsi in attività non ordinarie, di sfamare la loro sete di avventura o che potessero ancora una volta far parlare di loro (e non mi riferisco al grande Bonatti), nonostante si trattasse talvolta di imprese tecnicamente poco convincenti, almeno per chi era del settore, e fossero svolte con scarsa padronanza nella tecnica del mezzo esplorativo (non solo canoe), per quanto fossero svolte in ambienti ostili e remoti. D’altronde questi personaggi erano per lo più persone di buon senso e con una certa attenzione alla propria sopravvivenza, aspetto che paradossalmente si evidenzia proprio con l'avanzare dell’età.
Ma c’è una differenza abissale tra aprire una via estrema di roccia lungo la parete verticale di una montagna, magari in quota, magari d'inverno, magari in solitaria, magari in libera e magari una Nord, rispetto a scendere un fiume di 6° in piena. Se non si è perfettamente preparati psicologicamente e fisicamente, se non si è adeguatamente motivati, se non si ha piena padronanza della tecnica, se non si conoscono perfettamente i propri limiti, se non si conoscono le tecniche di auto-sicura, non si è in grado neppure di sollevarsi di un metro all'insù lungo la parete. Su un 7° i polpastrelli di un homo sapiens comune non reggono e i piedi scivolano, anche intuendo gli appigli, e nel caso si abbia la tecnica ma non tutto il resto, la morte aspetterebbe dietro l'angolo, la montagna raramente perdona più di una volta.
Chiunque, invece, può infilarsi in un bidone o chiudere il pozzetto di una canoa per buttarsi giù dalle cascate del Niagara o discendere chissà quali rapide, uscendone incolume. E apprendendo la tecnica dell'eskimo e riuscendo ad applicarla in rapida, tutto risulterebbe più sicuro. Ho un amico, discreto canoista, che si è cimentato più volte con successo su fiumi troppo impegnativi per lui, ma il suo eskimo preciso l’ha sempre tirato fuori da probabili brutti bagni, e se affermo che quei fiumi erano troppo impegnativi per lui è perché il numero di eskimi che tirava era nettamente più elevato di quello di alcuni suoi compagni canoisti che, indipendentemente dal numero di eskimi, conducevano abilmente la canoa e non viceversa.
Sifoni, nicchie, under-cut, buchi mortali non sono ovunque e non è detto che ci si finisca dentro pur essendo in balia della corrente. In varie occasioni sono rimasto sorpreso di come canoisti poco esperti siano scesi incolumi da certi fiumi. Il rischio è che poi il canoista possa sopravvalutarsi e così, dai e ridai, si caccia nei guai.
In canoa non è così facile farsi male o morire come invece è per l’alpinismo (parlo di “alpinismo” e non di “arrampicata sportiva”), nonostante l’acqua, che corre vorticosa, possa far più paura di una parete incombente e immobile, al di là del fatto che qualunque disciplina “in ambiente” abbia alla lunga i suoi lutti, anche tra i più esperti.
Saper andare in canoa è un'arte come arrampicare, ma se hai salito la Nord del Cervino in solitaria d'inverno e lungo un nuova via, certamente non sei uno sprovveduto, mentre in canoa il fatto di aver sceso un certo fiume non necessariamente qualifica il canoista.