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ALL'INTERNAZIONALE DI BOURG SAINT MAURICE GIOVANNI DE GENNARO E'ARGENTO
maurizio bernasconi:
L'atleta ha desiderio e necessità di correre, foss'anche per il Liechtenstein. L'organizzazione per squadre di Stati nazionali non è detto che gli convenga, al di là dei risvolti sentimentali. La canoa è uno sport per lo più individuale. L'organizzazione gerarchica e burocratica che ruota intorno al risultato sportivo prospera sfruttando la spettacolarità del risultato degli atleti e li condiziona pesantemente. Per arrivare ad essere un atleta maturo, diciamo a trent'anni, l'atleta imbrigliato in questo sistema, avrà passato metà della sua vita esposto al rischio di subire ingiustizie, compromessi, soprusi. Alcuni lasceranno; e questo tipo di selezione non ha niente a che fare con lo sport. I paesi di grande civiltà e cultura sportiva non coltivano con troppa enfasi l'aspetto nazionalistico dello sport di vertice (si pensi alla G.B.). Ben diversa era la funzione dei gruppi sportivi militari quando in Italia esisteva il servizio militare di leva, era un servizio pubblico, si sarebbe detto allora, di stampo più "democratico". E' vero che i gruppi militari al momento sono quasi l'unica proposta pubblica seria per un canoista di alto livello, però mi chiedo: cosa fa l'Università, cosa fanno i Licei a indirizzo sportivo, cosa fanno le amministrazioni locali.
L'argomento è difficile. Sarebbe interessante sentire altre opinioni.
fabrizio rombj:
Argomento estremamente interessante.
Mi permetto di esprimere un opinione:
Ci sono molti sport in cui gli atleti fanno tanti e forse più sacrifici che nella canoa e gli atleti non vengono pagati, cito ad esempio il nuoto o la pallanuoto solo perchè li conosco abbastanza bene. E' normale per un pallanuotista che milita ad esempio in serie A2 o B fare 5 o 6 allenamenti alla settimana (spesso 2 volte al giorno) e ricevere, quando va bene, un rimborso spese.
Per questi sport non esistono corpi militari, almeno che io sappia, e, solo in Liguria il numero di praticanti è sicuramente maggiore che i canoisti di tutta Italia, agonisti e no.
Penso che un determinato atleta dovrebbe essere aiutato (dallo stato, dalle federazioni, da chiunque possa farlo..) anche in funzione del numero generale di praticanti che esercitano tale sport.
Mi spiego meglio: è certamente più facile diventare campione italiano di freccette (non me ne vogliono i "freccettisti"), chevincere il titolo sui 100 metri stile libero.
Lo sport deve essere fatto per passione, trovo sbagliato a priori che un ragazzo, o peggio i suoi genitori, scelgano lo sport da praticare in funzione della possibilità di viverci o meno, non credo che lo sport, proprio in quanto tale, debba essere concepito per questo.
L'argomento è davvero lunghissimo, non vorrei dilungarmi troppo.
Un saluto a tutti ed in particolare a Maurizio, le sue opinioni possono essere condivisilbili o meno (personalmente condivido sempre), ma solo per come scrive è un onore leggerlo.
Antonio Fierro:
Sicuramente l'argomento è molto interessante e direi strategicamente importante per ogni sport, soprattutto quando la discussione coinvolge livelli superiori a quelli di un blog.
Io la penso diversamente perchè non discrimino sul sacrificio e la difficoltà fra uno sport ed un altro, o la misura dell'impegno che uno sport richiede rispetto ad un altro, ma penso che la discriminate debba essere il livello che un atleta raggiunga in qualsiasi sport.
Ritengo che se un atleta si affermi a livello nazionale o meglio internazionale, si debba necessariamente pensare a delle forme di sussidio temporaneo o permamente, pubblico o privato.
Qualsiasi sport fatto a certi livelli è praticamente un LAVORO fatto con passione, sacrificio e anche soddisfazione sopratutto se si raggiungo certi risultati che portano lustro alla nostra Nazione.
Inoltre a certi livelli sono pochi i talenti bravi e fortunati.
Un'altra riflessione che va fatta riguarda la possibilità di dare l'opportunità di affermare il proprio talento a tutti, compreso a persone che non sono in grado economicamente di sostenere certi sacrifici. Eviterei come succede di creare degli sport di elite idonei solo a certi ceti sociali.
In questo caso il calcio ci insegna, perchè è un sport popolare dove anche un povero può affermarsi.
Comunque mi sembra molto strano che in questo confronto sia il solo a pensarla in questo modo. Sono il marziano di turno ?
fabrizio rombj:
Anche se non ti conosco personalmente non ti definirei il marziano di turno ma semplicemente una persona con idee diverse dalle mie, che peraltro rispetto...
Più che altro è strano che solo 3 o 4 persone abbiano delle opinioni a riguardo....
Ci sono fior di cervelli in questo forum da cui sarebbe interessante avere un parere.
Un saluto
Giuseppe Coduri:
Interessante problema quello posto dagli interventi precedenti.
La domanda fondamentale è: "è giusto che lo Stato sostenga economicamente gli atleti che si dedicano (ovviamente con risultati di vertice) a sport in cui non esiste il professionismo?". La mia risposta è sì, però il sistema italiano dei corpi militari non so quanto sia efficiente. Mi spiego: mi risulta che in altri paesi gli atleti meritevoli sono sovvenzionati per periodi di tempo limitati (a fronte di risultati adeguati) e rimangono nelle loro società di appartenenza.
da noi i pochi fortunati sono sovvenzionati a vita (nel senso che a fine carriera non hanno il problema di trovarsi un lavoro perchè lo hanno già) e lasciano le società di appartenenza per i gruppi sportivi militari. l'aspetto positivo del nostro sistema è che i nostri migliori atleti hanno, in genere, carriere molto lunghe. l'aspetto negativo è che potrebbero non essere stimolati a dare costantemente il massimo, a differenza degli atleti stranieri, che dopo una stagione negativa rischiano le sovvenzioni per l'anno successivo. il sistema dei corpi militari, poi, penalizza un po' le società "civili" che spesso perdono i migliori del proprio vivaio.
In sintesi: dal punto vista dell'allocazione delle risorse, il sistema italiano da "molto" a pochi, mentre in altri paesi si dà probabilmente di meno, ma a più persone.
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