Tornando a Valstagna, l’altra mattina, mi sono fermato all’ultimo autogrill sulla Valdastico prima di uscire a Dueville. Ho bevuto un cappuccino delizioso. Profumo intenso di caffè, una schiuma consistente, un piattino asimmetrico che ha depistato la mia manualità inconscia nel cercare il cucchiaino necessario per mescolare la mezza bustina di zucchero che addolcisce il mio palato. Se a tutto ciò aggiungiamo il gentile sorriso e la cortesia della barista direi che la scelta di concedermi una pausa nel, se pur breve, viaggio è stata azzeccata. E allora perché non approfittare di questo segnale per un break mentale dai paletti dello slalom e riflettere, su esplicita richiesta del buon Luca Panziera, sulla canoa da discesa? Beh! la prima cosa che mi sfiora a pelle è che farsi portare dalla canoa discesa per diversi chilometri su fiumi come il Rienza, Noce, Dora, Isere, Passirio alto e tanti altri è qualcosa di unico, sublime, esaltante. Tu e la tua formula uno in mezzo ad onde, correnti , riccioli, curve, ostacoli. Tu, con il solo rumore dell’acqua che corre verso valle. Tu, ritmato dal tuo cuore e dalla fatica dei tuoi muscoli. Una corsa verso valle senza fremito, senza rimpianto a pieni polmoni. Il piacere di scivolare sull’acqua e spingere sulle gambe che fremono nel guscio per essere anche loro toccate e irrorate da quell’acqua fresca e amica che invece bagna e rigenera faccia, mani e busto. E quel filetto di acqua che riesce a infilarsi giù dal collo anche nelle ormai super stagne e tecnologiche giacche di oggi, ti riporta ad una gioventù fatta invece di k-way alla buona a maniche chiuse da elastici troppo fini per contenere l’irruenza e la forza della corrente. Arrivati a terra fradici, ma pronti per un’altra prova, un’altra discesa per cercare di appagare quella voglia di volare che è insita nell’uomo. Per noi canoisti scivolare sull’acqua è la vita. Se per uno slalomista la libidine di una risalita è impagabile, per un discesista la punta che sull’onda tocca il cielo è un’emozione irrinunciabile. Bene, ma veniamo al tema proposto dal Panziera meteorologo per lavoro e discesista per vocazione che mi chiede se anche in discesa valgono i principi dello slalom e cioè spinta di gambe, rotazione delle spalle, sensibilità, proiezione della menta verso il passaggio successivo. Credo che su tutto ciò non ci siano dubbi. Ho ben presente i calzoncini di Marco Previde Massara sempre consumati sui glutei a testimonianza della sua spinta di gambe. La possente muscolatura della schiena di Carlo Mercati dimostra che la pagaiata parte proprio da qui. Le prodezze acrobatiche di Vladi Panato sono poi il capolavoro di un talento che ha fatto della sensibilità in acqua la sua carta vincente.
Inizio sempre gli allenamenti ricordando con Zeno e Raffy di pagaiare con la testa, con il cuore e ascoltare sempre quello che l’acqua ha da raccontare loro. Se durante la seduta mi rendo conto che la testa non funziona, oppure non viene dato il cuore e se si li trovo sordi allora preferisco fermare tutto e capire che cosa sta succedendo.
Ecco la discesa per me è tutto ciò.
L’altro aspetto nella discesa è la componente strategica e tattica che una prova classica richiede. Fra il 2004 e 2005 avevo realizzato ed elaborato uno studio proprio su questi aspetti che, a fine stagione, avevo consegnato alla Fick. Questa ha pensato bene di archiviare il lavoro in questione con l’etichetta di un report giornalistico e abbandonarlo su qualche polveroso scaffale dopo il mio buon servito. Per chi fosse interessato può essere visionato sul mio blog. Qui ne riporto solo alcuni fondamenti.
Il concetto era semplicissimo e cioè dividevo il tracciato in fiume in diverse zone in relazione alle varie caratteristiche dello stesso. Queste aree venivano marcate in modo tale che fossero ben visibili dagli atleti in acqua. Partivo dal principio di voler far esprimere al massimo per ogni frazione tutta la potenzialità dell’atleta e per far questo dovevamo capire quale effettivamente essa fosse per quel singolo tratto. In sostanza quello che viene fatto per chi corre i 10.000 metri o nuota i 200 stile libero... tanto per citare qualche esempio. In questo modo si ha una velocità massima per ogni tratto che dovrà essere messa in relazione con la distanza di gara. Se si vogliono correre i 10 km sui 28 minuti dobbiamo conoscere la velocità sul singolo chilometro, tanto per chiarire le idee. A questo punto interviene la strategia e la tattica di gara in relazione alle varie caratteristiche fisiche e ovviamente tecniche.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi