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BOURG ST.MAURICE 1969 - per veri amatori della canoa slalom
Ettore Ivaldi:
“A un bambino darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo” come dice Gabriel Garcia Marquez noi non possiamo fare altro che dare degli spunti ai nostri giovani, poi loro ci regaleranno grandi emozioni con la pagaia in mano, quindi Caro Peppino te la sei cercata e allora avanti non possiamo fermarci adesso!
Farò ricorso per capire il motivo per cui non sei in classifica a Bourg St.Maurice 1969, bisogna andare a fondo della questione, forse basterà una semplice segnalazione. Non concordo quando dici che hai fatto bene a lasciare, perché in realtà questo mondo ti ha sempre visto protagonista, magari e giustamente con ruoli diversi, ma protagonista. Atleta, allenatore per i giovani, mi ricordo un Giuseppe D’Angelo in consiglio federale e da molti anni giudice nazionale ed internazionale. Quindi la canoa ti ha dato probabilmente molto, ma anche tu hai dato a lei parecchio.
Che spettacolo la storia della porta nera, non ne avevo mai sentito parlare, una sorta di jolly che ti giocavi a tuo piacimento. Non male!
Io passerei ai materiali e qui mi devi proprio aiutare. Dal primo mondiale a Ginevra nel 1949 a Spittal nel 1963 si sono utilizzate canoe smontabili chiamate foldboats, poi il passaggio al fiberglass dal 1965. Io ho appeso in salotto una canoa in legno ricoperta di tela costruita dai pionieri del canoa club Verona con la targhetta cucita che riporta la scritta: Drina nel 1961 a ricordo di una discesa internazionale nella ex Yugoslavia. Un capolavoro di ingegneria navale! Un telaio in legno sagomato con steli longitudinali rinforzati e sostenuti orizzontalmente da cinque sagome sempre in legno per far sì che il telaio tenga la pressione dell’acqua. Il rivestimento in tela blu sopra e argento sotto, impermeabilizzata con resine naturali.
Le canoe che avete usato ai Giochi Olimpici di Augsburg 1972 dovrebbero essere state le “Olimpia 400” di Prjion, la stessa canoa usata da Horn unica eccezione per gli atleti della DDR che avevano modelli propri. Si diceva che il C1 era particolarmente difficile, ma velocissimo. Negli anni che seguirono il modello venne copiato da diversi costruttori comprese le canoe della Germania dell’Est che noi avevamo ribattezzato il “pagodino” per la sua forma a punta e coda rialzate. Era tonda e ti faceva girare come una trottola. I volumi erano piuttosto sostanziosi. Si arriva ad una drastica riduzione dei volumi, per permettere di passare sotto le porte, nel 1976 per i premondiali di Spittal. Qui Norbert Sattler si presentò con una canoa decisamente rivoluzionaria che gli permetteva di piantare la coda in acqua con molta facilità. In quella gara però, Sattler, si schiantò fuori dal cancelletto di partenza mettendo i giudici in seria difficoltà. Infatti per entrare nella prima porta piantò la coda in acqua e la canoa si “incandelò” così tanto che la punta toccò il numero e subito dopo completò in acqua il giro. Qui il dilemma se assegnarli 50 penalità, oppure 10 penalità per il tocco, ma ovviamente nessun regolamento aveva considerato questa possibilità. Sattler non si presentò alla partenza della seconda manche poiché era intento a discutere animatamente con i giudici.
Anche le pagaie erano “home made” e richiedevano lunghe ore di paziente e laboriosa costruzione, che passava da una scelta accurata del legno alla successiva incollatura, quindi ore di pialla e carta vetrata e successivamente resinata per tenere l’acqua. Anche di queste ho la fortuna di conservarne una che mi è stata data in regalo dal primo presidente del CCVR.
Sarebbe fantastico riuscire ad allestire un museo della canoa cosa dici ci mettiamo all’opera?
Dimenticavo: non è solo memoria, ma è una raccolta negli anni di materiale, informazioni, aneddoti per tutto quello che si può considerare canoa. Internet poi fa il resto!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Giuseppe D'Angelo:
Caro Ettore, credo che sul tema dei materiali avrei proprio poco da aggiungere a quanto mio fratello Roberto, che ha iniziato ben prima di me a frequentare l’ambiente canoistico, ha ricostruito nella storia della canoa eporediese, libro che ho già citato in un precedente intervento. Se non hai avuto occasione di vedere questa monografia (che è davvero ricca di storia della canoa, non solo eporediese) dimmelo che te ne invierò una copia.
Nel libro Roberto ripercorre, con riferimenti storici ricercati su libri e giornali e riscontri puntuali, anche grazie alle testimonianze di amici internazionali per fortuna ancora vivi (come il tedesco Toni Prijion), lo sviluppo della canoa ad Ivrea ed in Italia. E’ una pubblicazione che non può mancare nella biblioteca di un appassionato di storia della canoa come sei tu.
Io inizio a praticare la canoa nel 1965 e le canoe in vetroresina erano già una realtà da qualche anno. Ma, abitando in riva alla Dora, da molti anni frequentavo il club e ricordo con precisione le gare e l’arrivo dei canoisti con i loro sacchi che contenevano i pezzi di legno che montanti con maestria diventavano favolose imbarcazioni. Puoi immaginare la meraviglia per un bambino ! La fortuna più grande, che mi veniva spesso concessa, era quella di aiutare a mettere insieme i pezzi di legno. Nel sacco lungo c’erano le stecche longitudinali e le due parti della carena centrale dotata di un cernierone per unirle, a volte le pagaie smontate. In quello largo, le centine trasversali, il pozzetto e la tela. Quanta maestria ci voleva per montare il tutto e tendere perfettamente la tela della coperta ! Il più delle volte bisognava rifare l’operazione per raggiungere il risultato atteso. Scrivendo queste notizie mi torna in mente anche un fatto che non ricordo se Roberto ha riportato sul libro. Alcune smontabili avevano un congegno che consentiva di alzare un po’ poppa e prua in modo tale che la barca potesse diventare più manovrabile per le gare di slalom. Perché con una canoa sola si correva !
Vedrai, dicevano, quando in canoa andrai tu non ci saranno più queste canoe ! Era vero.
I pezzi smontati di quelle vecchie Klepper monoposto, caratterizzate da sigle come T58, T59 che credo identificassero l’anno di progettazione, e dei biposto “Aerius” sui cui hanno fatto il battesimo della canoa sulla Dora ad Ivrea decine e decine di ragazzi, hanno girato per anni nelle soffitte e nelle cantine del club, senza che mai nessuno cogliesse l’importanza di recuperare quei pezzi che un giorno avrebbero potuto fare bella mostra in qualche museo. Perso tutto. Un po’ marcito, un po’ bruciato con un incendio: credo non sia rimasto nemmeno una stecca.
Ma però so che Emanuele Genovese di Torino ne conserva una completa ed intatta. Chiederò a lui di farmela vedere e fotografare.
Quando ho iniziato a praticare lo slalom nel 1966 si gareggiava prevalentemente con delle canoe costruite da Andrea Alessandrini a Milano. Le canoe da discesa si chiamavano “Nike” e le slalom “Micro” ed erano costruite in vetroresina e abbastanza pesanti. Il difetto di quelle imbarcazioni (difetto che è rimasto tale per anni) erano le giunture che, solo interne, tendevano presto ad aprirsi.
Le “Micro” erano canoe rivoluzionarie, bassissime, con la coperta piatta e quindi con poco volume e le abbiamo usate fino ai mondiali del 1969. Erano già nate per tagliare le porte sotto !
In quell’occasione la Federazione Italiana Canottaggio comprò da Prijon quattro nuove imbarcazioni, bellissime. Ma i volumi tornavano a crescere e credo questo si spiegasse con la difficoltà e la massa d’acqua dei fiumi in cui si svolgevano le gare internazionali.
Io ho dei ricordi incredibili. Acqua, solo acqua, tanta acqua che ti entrava dappertutto. Sempre le orecchie tappate per quegli schiaffi che i buchi ti mollavano inondandoti. E le porte nemmeno le vedevi.
Vedo le gare di oggi e ripenso alla difficoltà delle nostre discese sull’Isere, sul Passirio, a Spittal. Ma eravamo pazzi ? Senza salvamento, maglia di lana infeltrita al posto del neoprene da 2 mm. E freddo, possibile che facesse più freddo di adesso in quegli anni ?
Quel tipo di barca la usiamo sino al 1972 quando Prijon progetta , come hai già detto, la “Olimpia 400”. Una barca molto voluminosa adatta al canale di Augsburg. E’ usata dai più, anche da noi italiani già nelle gare precedenti i Giochi. Molti altri utilizzano un altro modello costruito sempre in Germania da Lettmann, simile, ma con due profonde scanalature sulla coperta.
Questi modelli, negli anni seguenti, quando i regolamenti cambieranno e le barche “rimpiccioliscono”, diventano buone barche da turismo per scendere in tranquillità fiumi impegnativi.
I DDR avevano ancora i loro modelli e così i Francesi (nazionalisti !). Ma è vero che a Monaco 1972 successe quello che hai raccontato, però con qualche imperfezione.
Prijon si presenta ad Augsburg con le nostre nuove “Olimpia 400” costruite con nuovi materiali e per questo molto leggere. Di un azzurro bellissimo e con il tricolore dipinto sulla coperta (non ce la faccio a non allegare una foto !). Ma insieme a queste porta anche due esemplari della famosa “Pagodina”, modello rivoluzionario perché rivede completamente i volumi e la tradizione tondeggiante viene abbandonata per questa linea più sfilata che dal pozzetto taglia progressivamente verso punta e coda. Come il tetto di una pagoda, appunto.
Una di queste due nuove barche è per Siegbert Horn (chissà cosa avrà pagato Toni Prijon per fargliela usare alle Olimpiadi !) e per l’altra chiede a mio fratello Roberto se vuole provare a correre con quella novità.
In quei tempi la canoa non era proprio un attrezzo da indossare e si poteva tranquillamente passare da un modello all’altro senza trovare grandi differenze. Un’aggiustata al puntapiedi, due pezzi di neoprene sui fianchi, una sistemata alla cinghia poggia schiena e via.
Roberto accetta e corre con quella canoa. Horn vince e Roberto è dodicesimo. Da quel modello rivoluzionario (il volume non è più un problema così come non lo è la massa d’acqua) inizia la strada verso le “sogliole” prima e poi ai modelli che avete utilizzato voi.
Le pagaie ce le faceva Azzali di Cremona in legno e credo che se ne trovino ancora in giro. Ma già a quei tempi ne utilizzavamo con il manico di alluminio e le pale di fibra di vetro. 210 era la mia misura, con due pale grosse così ! Chissà come facevo a tirarle…non ho mai avuto un gran fisico….
Per un po’ di tempo, dopo che mio fratello Roberto è tornato da Merano dove aveva svolto il servizio militare, abbiamo usato le “Passer Paddle”, costruite nella falegnameria dei Gerstgrasser di cui ho già accennato, pagaie che aveva ricevute in dono da Willy.
Leggere e con la pala molto stretta, ti consentivano di accelerare molto il numero dei colpi. Credo che l’idea fosse di lavorare più sulla velocità che sulla potenza.
Ecco, questi sono i due “brevi” ricordi che sei riuscito a scatenare nella mia memoria, solo parlando di materiali. Pensa al rischio che corri se ti metti a rinvangare altre cose….
Peppino
Gengis:
Ciao Peppino,
intervengo in un settore che mi à sempre visto come spettatore, come ben sai io non ò mai gareggiato
se non alcune volte quando alle discese di alcune classiche tipo Enza e Taro veniva abbinata la categoria Turismo
e così ci veniva dato un pettorale numerato.
Seguo comunque gli amarkord di Ettore con vivo piacere ,e questo non solo per l'Amicizia che mi lega ad Ettore
da tanti anni ma perché la tecnica dello slalom é indispensabile per scendere con coscienza e sicurezza i torrenti,
oltre che à maggiormente divertirsi .
Sono stato circa un anno fa ad Ossolaro ( CR ) da Emilio Azzali ormai in pensione ma le pagaie le fa ancora suo Figlio
e producono ancora la pagaia da slalom che se ricordo bene disegnò tuo fratello Roberto che é sempre nei nostri ricordi
più cari da quel lontano giugno del 1980 , dove si prodigò per ben 9 giorni a levarci errori ed ad insegnarci come stare
più correttamente in kayak ( 1° corso Guide Fluviali )
Torno sull'argomento Klepper perché io ne ò ben due , una singola ereditata dal Cav. Guglielmo Granacci
ed una doppia ereditata da Enrico Prata di Bologna assieme a parecchio materiale compreso un telaio intero, un
motore Delphin della Zundap che poteva essere attaccato di lato alle Klepper Aerius ( F2 ) .
La biposto la uso ancora specialmente in fiumi come L'Adige , il Mincio , Po e via dicendo .
Di solito vengo tutti gli anni ad Ivrea sia per assistere agli esami delle Guide Fluviali ed anche per partecipare
alla Maratonina dei Castelli , se vuoi e se ci fossero le combinazioni tra i tuoi impegni ed anche di livello d'acqua
potremmo discendere assieme la Dora sulla Klepper Aerius lasciandoti il seggiolino di 1à fila.
Colgo l'occasione per caramente salutarti unitamente a Roberto che come ti dicevo sopra, è sempre nei nostri
più cari ricordi.
Gengis
Giuseppe D'Angelo:
Carissimo Gengis, fra un po' credo che di tempo ne avrò più che a sufficienza...visto che nella banca in cui lavoro da quasi quarant'anni non avranno più bisogno di me e la tua offerta per una discesa in F2 sulla Dora mi entusiasma. Dovrò solo riabituare un po' le mie spalle che si sono un po' tanto arrugginite, anche per via di quelle intere giornate a mollo nelle fredde acque dei fiumi italiani, passate in gioventù. Ma conto di riabituarle in fretta per sopportare adeguatamente l'uno/ due sincronizzato senza il quale, se ricordo bene, l'Aerius non si muove di un millimetro !
Teniamoci in contatto per la prossima edizione della Maratonina e non mancherò di salutarti Roberto.
Peppino
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