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DI COSA PARLIAMO?
andrea bertani:
Leggevo anche quello che ha scritto Mauro...
Per Mauro: ehehehe ( scusate risata ! ) ma i recenti fatti non danno ragione ad alcune tue affermazioni...
1) " Tante le idee poche le speranze di metterle in pratica....e qui non ne faccio colpa all'attuale federazione. Per la discesa si è stretta la cinghia all'inverosibile e i fatti hanno dato buon riscontro. "
Voci di corridoio dicono che ci sono meno di 10 atleti al raduno giovanile a valstagna in corso d'opera su più di 20 convocati ! Ed udite udite : LA MAGGIOR PARTE SENZA AVER AVVISATO LA FEDERAZIONE !!! Quali dovrebbero essere le conseguenze ?
Caro Mauro mi sembra che i risultati non siano dei migliori vista così...
2) " ma sei sicuro che se tu fossi alla guida tecnica non ti sostituiresti agli attuali vertici, senza dare voce al popolo ? Senza cercare di circondarti di tecnici validi ( ed avvalorati da risultati e medaglie vinti, da atleti "allevati" ) ? senza dare voce ad un esigenza societaria chiara ed imprescindibile per un futuro italiano internazionale: capillarizzazione degli staff tecnici della nazionale . Con questo non voglio dire che sia facile ed immediato....ma bisognerebbe provarci. Chi sorveglierà i sorveglianti ? "
Qui Ivaldi latita nella risposta...come mai ? Avrà mica paura di quello che potrebbe dire ?!
Ettore Ivaldi:
Non rispondo perchè ho risposto con i fatti quando ero alla guida della canoa fluviale italiana dal 2001 al 2004 dove tutto ciò era la mia base di lavoro. In 4 anni ho messo in atto un piano di trasformazione di un sistema con cui si è vissuto di rendita fino al 2008. Non rispondo io rispondono i risultati ottenuti a 360 gradi in quel periodo, ma non solo in termini agonistici e senza falsa modestia, ma grazie all'impegno di chi credeva nella forza del lavoro e non nelle chiacchiere!
Occhio all'onda! Ettore Ivaldi
Ettore Ivaldi:
La signora Rosetta è una nostra coinquilina ed è della stessa classe di mia mamma: 1921, 89 primavere classe di ferro!!! L’altro giorno eravamo seduti a tavola tutti e quattro per il pranzo ed è arrivata, piena di energie, a raccontarci e a mostrarci inviti e foto della festa di compleanno di sua sorella che di primavere ne ha festeggiate 96! Era euforica più del solito e nonostante le due rampe di scale che ci dividono è scesa e risalita per ben due volte con passo da bersagliere e con foto e pergamene. Che spirito, che energia!
Ma tutto ciò non centra molto con il fatto che vorrei e condividere con voi il lavoro fatto l’altro giorno con i ragazzini del Club e fare due riflessioni sullo slalom.
Secondo me uno dei punti chiave del nuovo slalom è lo sdoppiamento del lavoro con gambe e busto, anche se ,per la verità, non è proprio una grandissima novità. Diciamo però che con i tracciati attuali e le nuove concezioni del kayak questo movimento si esalta all’ennesima potenza. Ora il problema diventa quello di trasmetterlo ai giovani che molto spesso trovano difficoltà nel percepire quest’azione disgiunta. Per chi di voi è sciatore e si è convertito allo sci sciancrato può capire bene di cosa sto parlando.
Come dicevo, alcuni giorni fa, mi sono divertito con loro a cercare di metterli in crisi per far sentire la continuità della rotazione della coda in una porta in risalita. Partendo dalla relativa staticità del Duffek, dopo la rotazione delle spalle, supportato dell’azione dinamica della spinta delle gambe, con rotazione della coda e successiva trasformazione propulsiva verso valle, abbiamo cercato di sentire questo sdoppiamento dell’azione. Certo detta così sembra la teoria della relatività, ma in sostanza si tratta semplicemente di caricare una molla per poi liberarla il più velocemente possibile. Non bisogna avere fretta nella prima parte e soprattutto non bisogna perdere il contatto con il terreno che, nel nostro caso, è l’acqua. Infatti dallo stesso elemento ci arriva l’equilibrio e in molti casi anche la spinta di uscita.
Ora concetti che sembrano molto complessi in realtà diventano banali se concepiti e realizzati con mezzi idonei e presentati ai giovani con continuità e logica. E’ difficile infatti metterli in opera se il ragazzino non ha una canoa e una pagaia che gli permettono di fare tutto ciò e soprattutto adatte alle sue caratteristiche antropometriche. Non può nemmeno metterli in pratica se nessuno lo mette sull’avviso che tutto ciò può esistere. Bisogna aiutarlo a scoprire gesti e movimenti, bisogna cercare di permettere al proprio interlocutore di arrivare alla soluzione dopo graduali passaggi. Aiuta molto anche vedere all’opera grandi interpreti dello slalom mondiale. Su internet è facile reperire molti video. Riflettendo sull’evoluzione di questo nuovo slalom credo che sia balzata all’attenzione di tutti la dinamicità del gesto legato alla ricerca di una continuità d’azione e fluidità dello scafo. Su cosa dobbiamo lavorare quindi con i nostri giovani per cercare di metterli su questa strada? Credo che anzitutto si debba partire dall’acqua piatta per apprendere con tranquillità e sicurezza il lavoro di rotazione di spalle e conseguente rotazione della coda della canoa. Apprendere ed esercitarsi sul modo con cui ci si approccia alla risalita stessa: la pala in acqua diventa il nostro diretto interlocutore e soprattutto è una sorta di sonda che ci fornisce informazioni precise sulla consistenza dell’acqua. La pala in acqua permetterà anche di prendere le giuste distanze dal palo interno fornendoci un pronto attacco nel momento in cui davanti al soggetto si apre la “luce” della porta stessa.
Una volta che tutto ciò diventerà un gesto naturale si potrà pensare di portare il tutto su acqua più impegnativa.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
P.S. mi dispiace per Andrea Bertani (il cognome per noi veronesi si associa a una casa vinicola che nasce nel 1857 a Quinto di Valpantena, e produce un eccezionale Amarone Classico, un vino senza tempo, con l’appassimento naturale sulle “aréle” delle uve Corvina e Rondinella e l’affinamento in grandi botti per almeno sei anni) che fa brutti sogni su staff tecnici della canoa italiana e su meritocrazie varie. Non c’è ragione. C’è forse sentore che qualche cosa non va bene? Pensavo anch’io un tempo che forse era così, ma mi sbagliavo visto che nessuno, né atleti né società, si lamentano, quindi deduco che Bertani e un tempo il sottoscritto si sbagliavano di grosso! Facciamo come consiglia il buon Skillo: affidiamoci alla Buona Fortuna e andiamo avanti convocando atleti che prendono diversi secondi dai ragazzi, allenatori per la canadese che certo competenze non hanno, responsabili junior che si presentano mezza giornata. Per non parlare delle
donne allo sbando senza compagnia
Negli occhi hanno dei consigli e tanta voglia di avventure e se hanno fatto molti sbagli sono piene di paure
Le vedi pagaiare insieme
nella pioggia o sotto il sole
dentro pomeriggi opachi senza gioia ne dolore
Donne du du du
pianeti dispersi ,
per tutti gli allenatori così diversi
Donne du du du amiche di sempre
donne alla moda donne contro corrente (spesso e volentieri)
Tra le mani hanno le pagaie
per volare ad alta quota
dove si respira l'aria e la vita non è vuota
Le vedi pagaiare insieme nella pioggia o sotto il sole
dentro pomeriggi opachi
senza gioia ne dolore
Donne ,ooh
Donne ,
Donne
Donne ,
Don ne
Donne du du du in cerca di guai
Donne in canoa senza scendere mai
Donne du du du in mezzo ad un fiume
donne allo sbando senza compagnia
Marco Terenzio:
Ciao Ettore,
a quando una pubblicazione italiana di tecnica di slalom?
possibile che io non abbia di meglio, del sito della BCU: www.slalomtechnique.co.uk/index.php
Ettore Ivaldi:
La seconda riflessione è legata ad una comparazione fra l’allenamento e la gara. Sempre, all’inizio di ogni proposta di allenamento mi faccio questa domanda: ai fini del risultato e quindi della gara a che cosa mi porterà l’allenamento di oggi? Molto spesso ricordo all’atleta che si sta allenando per un obiettivo chiaro e non per il piacere di farlo, visto che se fosse così ci sono tanti altri modi per divertirsi e tenersi in forma, tipo una bella partita a tennis, una corsetta o una bella biciclettata in montagna, anche un po’ di palestra non è poi così male. Questo si chiama fitness. Troppo spesso ci si allena per allenarsi perdendo il chiaro obiettivo della competizione. Così facendo però l’atleta di livello si mette in pace con se stesso e la sua coscienza affidando al fisico la risoluzione dei suoi problemi. Mi convinco sempre di più che molti allenamenti hanno poca utilità al fine del raggiungimento dell’obiettivo. La specificità diventa lo strumento trainante per una programmazione dell’allenamento. Mi impressiono nel vedere atleti lavorare su circuiti in canoa molto duri che si discostano di molto dal gesto tecnico che si vuole viceversa allenare e che deve essere messo in atto nel momento decisivo. Si potrebbe giustificare tutto ciò con il principio di allenamenti mirati alle diverse capacità condizionali, ma siamo proprio sicuri che questo lavoro non inquini viceversa un corretto ed efficace gesto tecnico? Tornando ai giovani, quale potrebbe essere la chiave di lettura a fronte delle osservazioni sopra esposte?
Come la vedo io bisogna puntare molto sulla propriocettività nel tentativo di mettere l’allievo nella condizione di trovare velocemente soluzioni adeguate e, a mano a mano che il livello cresce, anche veloci. Ritenendo che non ci siano tecniche uniche e consolidate da insegnare – sono pochi gli sport dove ancora oggi tutto ciò è esaltato all’ennesima potenza, il primo che mi viene in mente è la ginnastica artistica – bisogna puntare l’attenzione su allenamenti altamente specifici e ad alte velocità. Per fare ciò si deve per forza maggiore scegliere percorsi brevi seguendo questo protocollo: l’allievo è libero di trovare le sue soluzione in cui, se siamo in acqua mossa, possa esternare ed affrontare anche le sue paure che molte volte condizionano non poco il gesto tecnico. Il passo successivo sarà quello di proporre diverse soluzioni da provare e da mettere in atto in relazione alle individuali caratteristiche. Il compito dell’allenatore sarà in questo caso quello di diventare una sorta di specchio per il suo allievo, mettendo a confronto ciò che lui stesso ha visto con il vissuto dell’atleta. Sono lavori questi che richiedono molto tempo quasi fino alla noia per la ripetitività magari di certe azioni.
Se riteniamo tutto ciò valido le tabelle di allenamento preconfezionate perdono, a questo punto, il loro significato. Si dovrà viceversa ricercare anche qui il giusto mixage individuale tra allenamenti fisici, tecnici, a secco e in canoa.
Mi sono esaltato non poco oggi sotto le stelle del tendone blu ad osservare gli ex-artisti del circo intenti a lavorare con i loro allievi. Tutti portavano al collo la collana forgiata da Efesto perché la bellezza era in ogni gesto loro e dei giovani discepoli. Chi volteggiava su un cerchio aereo o avvolto da tessuti candidi ed eterei, chi saltando sul tappeto elastico toccava il cielo stellato, chi con clave da giocoliere cercava velocità e precisione. Ho goduto per quel rapporto che ogni maestro singolarmente ha con l’allievo, si concentrano assieme, entrano in simbiosi, cercano di percepire le stesse emozioni, uno entra nell’altro e viceversa. Loro sono professionisti che, spente le luci della ribalta, hanno scelto di accendere ogni giorno le speranze di tanti giovani che rincorrono a loro volta il sogno di un’impresa memorabile, fosse anche il solo fatto di vivere alla grande e senza rimpianti in ogni loro gesto e movimento.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
P.S. ciao Marco, sto invecchiando perché quando ti leggo mi soffermo a lungo su quel “Fast & Clean” che riporti sotto il tuo nome, e mi emoziono! Credo che quel libro, così come per gli altri tre libri del mito Bill William T.Endicott, l’ho consumato a forza di leggerlo, rileggerlo, e studiarlo. Mi sono ritrovato spesso e volentieri a sognare con i protagonisti di quel magico testo. Lo conservo con cura nella mia libreria assieme a “River run” – “The ultimated run” e “Danger Zone”, tutti rigorosamente autografati dall’autore.
Mi chiedi a quando un testo sulla tecnica? La tecnica è talmente in evoluzione che ci vorrebbe un libro che appena terminato si riaggiornasse in automatico. La tecnica è talmente soggettiva che trovo molte difficoltà a fissare dei paletti precisi da dove partire: ho visto vincere i campionati del mondo e olimpiadi con troppi stili diversi, metodologie dell’allenamento contrastanti e atleti antropologicamente agli antipodi. Tutto ciò è lo slalom e forse per il momento riesco solo ad esprimere e concretizzare delle riflessioni e riportare storie, cronache ed esperienze dai campi di slalom, nel tentativo di dare spunti di analisi e per aprirci al confronto tra tutti noi.
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