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DAL FONDO AL RIDICOLO

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Skillo:
Ma poi sarà davvero Didonè, bravo tecnico dalle labbra cucite, ad essere il tecnico degli junior?

Ettore Ivaldi:
Anche questa qualcuno me la dovrebbe pur spiegare perché la mia logica e la mia esperienza nel campo non riescono trovare una spiegazione plausibile a tutto ciò.
Veniamo al problema. Si è  organizzato un raduno junior di slalom a Valstagna la prima settimana di novembre i tecnici convocati erano:  il commissario tecnico,  che ha fatto la sua presenza il secondo giorno, arrivato con il mezzo del suo club e alcuni suoi atleti, e ripartito il pomeriggio stesso; Marco Caldera e Mario Veronesi come tecnici nazionali; collaboratori tecnici Elena Bargigli e Tommaso Zaccaria. Di tutto ciò avevo già scritto il giorno 21 dicembre nel post “di cosa parliamo?” esprimendo la mia idea in tal proposito.
Ora si convoca un secondo raduno dal 2 al 6 gennaio 2010 nella  stessa località,  ma i tecnici cambiano. Il commissario tecnico non è più convocato – parte per l’Australia con 4 K1 men (Molmenti va per conto suo) e due C2. Di  Caldera non si sa nulla,  rimane Mario Veronesi come tecnico nazionale e si aggiungono due nuovi tecnici nazionali (come da delibera 7/2009) per la canadese Tommaso Zaccaria e Francesco Stefani dove convocati sono solo 2 atleti! I collaboratori tecnici spariscono e Elena Bargigli viene convocata come  tecnico di società così come  Luca Revello. Ora su chi sia Elena Bargigli non ci sono dubbi, ho avuto modo di elencare i pregi di questa ex atleta della nazionale che per fortuna è rimasta nell’ambiente come tecnico. Lei è diplomata in scienze motorie ed è allenatore di III livello della Fick. Come tecnico si sta formando, visto che da un paio di anni lavora nel club.
Mauro Canzano dice nel suo intervento: “…un sistema di valutazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento dei meriti da loro acquisiti, penso allo start up e organizzazione dei quadri tecnici…”.
Parole che condividiamo praticamente tutti, forse anche i federali che viceversa agiscono in maniera diametralmente opposta. Vediamo perché.
I due tecnici nazionali responsabili alle loro spalle non hanno un gran che di esperienza. Io avevo scritto che sarebbe stata buona cosa offrire a Francesco Stefani la guida degli junior e tentare così di partire con un nuovo ciclo. Cosa diversa è quella di essere responsabile tecnico della canadese assieme a Tommaso Zaccaria. Questo ruolo  dovrebbe essere coperto da un professionista a tempo pieno. Mi risultata che Stefani abbia offerto una parziale disponibilità.  Se il primo è stato un atleta di ottimo livello nella specialità della pagaia ad una sola pala (26esimo ai Giochi Olimpici di Atlanta ’96; bronzo a squadre ai mondiali ’93 con un totale di  sei partecipazioni ai campionati del mondo) altrettanto non si può dire per il sublacense che di partecipazioni ai mondiali ne conta una da junior nel 2002 dove chiuse in 45esima posizione a 14” dall’accesso alla semifinale! Stefani di anni ne ha 38 è allievo istruttore, mentre  Zaccaria ne ha 25 anni e non è neppure istruttore o almeno non risulta esserlo dalla grafica federale. Entrambi non hanno studi in materia di sport. Francesco è un amico e al suo primo mondiale ha condiviso la camera con me: era il 1991, ma terminata la sua carriera da atleta con la mancata qualificazione ai Giochi di Atene, non ha sfornato nessun atleta come allenatore, visto che in realtà non si è mai potuto dedicare a tempo pieno a questa professione.
L’ex tecnico responsabile canadesi – delibera 2/2009 n.77/09 – oggi è diventato coordinatore tecnico + centri di riferimento tecnici territoriali. La meritocrazia è che se in un settore non funzioni, per dati di fatto e non per parole, vieni promosso ad un ruolo dal nome altisonante. Coordinatore tecnico di chi e di che cosa? Per quali  centri di riferimento se si considera che Valstagna – dove praticamente tutti gli slalomisti d’Italia si allenano e la stessa Fick organizza i raduni – non è  stato nominato centro di riferimento? Ora Marco Caldera in questi ultimi cinque anni ha cambiato più ruoli che gare o atleti visti. La discesa non se lo fila più?
Ma tranquilli  non siamo ancora arrivati al massimo! In realtà a  tutto questo siamo già  abituati: ora  arriva il bello!
Clara Giai-Pron viene convocata con un tecnico a sua disposizione per una ripresa graduale dall’operazione subita. Il tecnico convocato è un ragazzo poco più che ventenne, senza nessuna esperienza in slalom, e non mi si racconti diversamente, e guarda caso è anche il fidanzato dell’atleta. Ci risiamo? O ci volete prendere in giro in maniera spudorata ancora?
Elena Bargigli la si retrocede da tecnico nazionale – come era previsto nella  delibera di febbraio – a tecnico sociale a pari livello di un giovane  che fa ancora l’atleta nella canoa da velocità? Ed è questo giovane  che dovrebbe assistere e guidare Clara a raggiungere importanti traguardi in slalom? Ma tutti gli altri tecnici di società che lavorano con i kayak uomini non esistono? Come si fa ad arrivare a fine anno e non conoscere i programmi per la stagione successiva?
Ma i nostri federali sono a conoscenza che l’ICF è promotore dei primi “Youth Olimpic Games” e che l’Italia ha il diritto a partecipare?

Anche in questo caso aggiungere altro non serve, mi sembra decisamente superfluo.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi 

andrea bertani:
Caro Ettore,

stuzzico un pò la tua intelligenza....guardando il panorama della canoa italiana dell'acqua mossa ( slalom e discesa )  , quali sono gli allenatori degni di questo nome ? Ovviamente a sensazione...immagino tu non conosca bene e personalmente tutti... !!!

Skillo:
Caspita che domanda. Un po' troppo indigesta anche per il combattivo e competentissimo Ettore che forse un giorno dovrà collaborare con qualcuno che oggi non menzionerebbe perchè non ritenuto all'altezza o solo perchè semplicemente dimenticato se non addirittura sconosciuto.
Ovviamente una persona esterna ai giochi e dalla lingua libera  8) potrebbe snocciolare un elenco come quello che richiede Andrea, ma solo se egli conoscesse davvero bene tutti i tecnici e gli allenatori italiani in grado di ben fare nel campo dello slalom italiano; quindi .... meglio tacere che fare ingiustizie.
Ribadisco solo quello che dico da sempre: così come l'abito non fa il monaco, il titolo non fa il tecnico.

Ettore Ivaldi:
Vediamo un po’… il tema non mi spaventa anzi mi stimola, ma più che nomi mi chiederei chi è, che cosa si deve fare e che cosa si  è disposti a rinunciare per fare l’allenatore?
Allora andiamo per ordine.
Un allenatore dovrebbe uscire da una esperienza di gare fatte in gioventù, magari poi se c’è stato anche qualche buon risultato la cosa potrebbe farsi interessante. Comunque ho conosciuto fior di tecnici che non sono mai saliti su un podio mondiale eppure sono considerati oggi dei guru dello slalom, alcuni di loro non hanno neppure frequentato corsi specifici o università. L’esperienza diretta però non guasta mai anche se non è tutto e non può bastare. Se poi ci mettiamo anche l’opportunità di studiare specificatamente la materia la cosa si fa interessante.
Un atleta, finita la sua carriera sportiva senza rimpianti, deve passare in quella che io chiamo la metamorfosi dall’io all’io altrui. Deve capire che lui non è più al centro dell’attenzione, ma sono i suoi atleti ad essere il fulcro  della sua vita. E’ un passaggio difficile, specialmente per chi ha fatto per molti anni l’atleta e ha usato molto tempo per allenarsi e per cercare di dare il massimo dal punto di vista agonistico. La metamorfosi è lenta e molto graduale. Devono passare diversi anni a stretto contatto con le piccole realtà. Bisogna ritornare nel passato, caricare le canoe, ripararle, guidare i sconquassati mezzi sociali, soffrire in acqua con i tuoi cuccioli di pagaia.  Lavorare per loro e cercare di creare un modello di crescita, visto che purtroppo non può inserirsi in un sistema già collaudato e recettivo per trasformarlo da atleta ad allenatore. Le difficoltà che si incontrano all’inizio sono enormi: club senza soldi, mancanza culturale per questo ruolo, difficoltà logistiche, delusioni, incomprensioni, invidie.
Partire però dal Club è fondamentale, come è fondamentale tenere sempre il contatto e soprattutto un giorno ritornare a lavorarci a tempo pieno. Il Club è vita, i giovani sono la linfa vitale per un coach e sono loro che gli permettono di vedere giorno per giorno l’evoluzione del lavoro che sta portando avanti. Altrettanto non si può dire con atleti di altissimo livello che hanno esigenze ben diverse e che molte volte non sono le stesse che magari tu hai vissuto come atleta. Ecco la difficoltà più grande in questa metamorfosi: “unique as You are” deve diventare il motto di un allenatore.
Credo nella professionalità del lavoro, non credo nell’improvvisazione. L’allenatore è una scelta di vita, non ci sono scorciatoie, non ci sono altre strade se non quella dell’impegno costante con idee chiare e obbiettivi raggiungibili. L’allenatore è un lavoro, non può essere semplicemente una passione part-time,  e come tutti i lavori si deve affrontare  con la massima serietà dedicando impegno e tempo. Altri mezzi non ne conosco anche perché tutti gli allenatori, che reputo tali, non fanno nulla di diverso se non quello che ho appena descritto. Per me bianco è bianco e nero è nero non ci sono le mezze tonalità in un impegno, in una professione. Poi la reciproca fiducia – allenatore/atleta/allenatore - si conquista sul campo, con il tempo, non per il semplice fatto che ti viene assegnato un ruolo ufficiale. L’onestà sta poi nel capire quanto puoi offrire e se restare o lasciare diventa una necessità personale indipendentemente dall’opportunità ricevuta.
E allora veniamo alla domanda che esige una risposta capovolgendola in questi termini: quanti canoisti in Italia hanno questi requisiti, ma soprattutto quanti sono disposti a cambiare il loro lavoro con quello di allenatore? Quanti ex-atleti di livello o semplici appassionati sono rimasti e si sono buttati a capofitto in questa avventura? Quanti ci hanno creduto fin da atleti?
Sorgerà spontaneo contraddirmi dicendo che non si può fare per il semplice motivo che questo lavoro non paga. Ma il vero problema è proprio questo: se le stesse persone che oggi sono coinvolte a livello federale, ma non solo, non credono in quello che stanno facendo per dedicarsi a tempo pieno la conseguenze è quella di vedere la canoa ferma all’attuale piccola realtà per molto, molto tempo ancora.
Quante guide rafting in Italia vivono e si mantengono facendo le guide? Tante! E allora se il rafting – importato in Italia a metà anni ’80 – è riuscito a creare queste opportunità, perché la canoa non ci riesce? Semplice perché non ci crediamo abbastanza, non creiamo posti di lavoro, non abbiamo idee per cambiare la realtà, in poche parole siamo poco convinti che tutto ciò possa essere considerato realizzabile. Io ci sto provando! 
Abbiamo bisogno di impiegare persone nel nostro settore. Persone a tempo pieno che coordino i volontari, anima importante nello sport italiano ma sempre più in calo per un generale benessere raggiunto da tutti negli anni e quindi la mancanza di stimoli ad unirsi per realizzare e concretizzare sogni che si pensano possano essere attuati da singoli.
Quanti sono i club in Italia che hanno alle loro dipendenze personale quale allenatori, direttori di sede, maestri, istruttori? Nel settore fluviale la risposta è certa: zero! Bene è proprio questo che dobbiamo cambiare per prima cosa. Quante sono le società che viceversa contano su una struttura importante nella velocità? Tante e comunque si fa fatica lo stesso ad avere prestigiosi risultati.
Bisogna creare quello che gli anglosassoni definiscono business. Solo così il nostro mondo cambierà, perché impegnerà a tempo pieno gente, risorse, energie.

Non so se ho risposto, spero di sì. Spero anche che un piccolo passo in avanti si possa fare ogni giorno senza paura di dire apertamente le proprie idee con la speranza che possano essere interpretate per ciò che vogliono essere: momenti di riflessione, analisi, confronto.
Mi dispiace che qualcuno per fare tutto ciò deve nascondersi dietro a false identità, posso capirlo, ma non lo condivido. Che cosa c’è di più interessante per crescere nel confrontarsi e  nel parlare mostrando liberamente il proprio volto e mettendo a disposizione tutto ciò in cui crede?

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

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