Seduti in kayak o in ginocchio sulla canadese, la respirazione è sempre alla base della nostra salute. Nello yoga troviamo il maggior possibile approfondimento della questione.
Sedersi comodi ed eretti è sempre consigliabile quando si conversa con un amico, per ascoltare una lezione o per studiare, per leggere, per mangiare, per suonare uno strumento musicale, per riflettere o quando si svolge qualsiasi occupazione di grande impegno mentale soprattutto se di lunga durata.
Gli orientali non hanno ideato le posizioni tipiche della meditazione per complicare le cose, ma per trovare la massima comodità e permettere lunghe permanenze statiche. Per loro si tratta di posizioni naturali e semplici, che posseggono anche molte piacevoli varianti. Il contatto fisico con la terra connota fermezza, nobiltà e stabilità soprattutto psicologica.
Qualsiasi pneumologo vi confermerà che i polmoni funzionano al meglio nella posizione eretta e soprattutto che le fratture alle costole, le pleuriti e le affezioni polmonari in genere guariscono più rapidamente e meglio se si conserva il più possibile questa posizione.
Anche il massimo rilassamento generale si ottiene quando il rachide trova un perfetto equilibrio, una perfetta simmetria, una possibilità in definitiva di abbandonare le sollecitazioni provenienti dal corpo.
Penserete forse che anche Shava Asana o posizione del cadavere, permette il rilassamento profondo, è vero, ma in realtà, dal punto di vista del perfetto funzionamento dei polmoni e della libertà elastica delle vertebre, presenta dei limiti; senza calcolare la controindicazione di indurre alcuni soggetti al sonno.
Esiste dunque una relazione tra posizione verticale della colonna e respirazione, tra il flusso ottimale del prana e la statica.
Un altro capitolo interessante si potrebbe aprire riguardo al pagaiare, pedalare, camminare o al correre, in rapporto al funzionamento del cervello, al mondo delle idee, dell’inspirazione e dell’ispirazione. Ma sarà per un’altra volta.
Nel kundalini yoga si dà importanza alla posizione verticale sia con le gambe incrociate sia nelle varianti in ginocchio anche perché è possibile occludere col tallone l’area di Muladhara e convogliare l’energia vitale verso l’alto. Si può persino limitare quasi completamente la circolazione sanguigna alle estremità inferiori riducendo al minimo l’attività del sistema cardiocircolatorio. Ma rimaniamo per ora alle evidenze più semplici.
Vedendo la maggioranza delle persone nel 2020 procedere nella città imbavagliati da una cosiddetta mascherina, si capisce che quasi nessuno considera l’importanza del prana e nemmeno la necessità del semplice ossigeno per mantenere la buona salute e quindi per disporre di valide difese immunitarie.
Le persone che mal sopportano questa museruola sono gli sportivi, abituati normalmente a respirare in modo potente ed efficace. Le persone che respirano poco e male sembrano adattarsi con minore difficoltà. Per loro cambia poco, ma si tratta delle stesse persone che sono anche candidate al rischio di soffrire maggiormente di ansia, asma, cefalea e innumerevoli altri disturbi cronici.
L’uso prolungato e obbligatorio per alcune categorie di un simile ostacolo alla respirazione contribuirà a peggiorare le condizioni fisiche generali di gran parte della popolazione. Meno ossigeno al cervello peggiorerà le prestazioni, limiterà la capacità di attenzione e produrrà effetti a lungo termine. Aumenteranno gli incidenti sul lavoro. Gli studenti saranno probabilmente meno pronti e insonnoliti. La popolazione rischia di ottenere minore salute e scarse difese immunitarie.
Ora che abbiamo capito il nesso tra posizione verticale e respirazione, torniamo a esaminare altri aspetti della posizione seduta.
Nella consuetudine occidentale la posizione in ginocchio evoca sottomissione e penitenza, ma siamo proprio sicuri che in origine queste posizioni non venissero adottate invece proprio perché idonee a ben altro genere di ricerca verso la libertà interiore? Concentrazione, raccoglimento, preghiera, trance, introspezione, estasi… seppure queste espressioni pecchino di qualche vaghezza, anche all’occidentale non mancano i termini per definire gli stati che lo yoga persegue.
Molti esercizi fisici interessanti e benefici hanno perso da noi nei secoli il loro scopo preciso, il loro yoga, e si sono progressivamente stilizzati in modo quasi caricaturale. Così un certo mudra energico e potente si è ridotto a un congiungimento mellifluo dei palmi oppure alcuni ripetuti e vibranti colpi col pugno sul plesso solare intesi a stimolare il cuore e produrre magari nei tessuti e nel sangue gli ormoni giusti per l’occasione, han preso la forma patetica di un melenso mea culpa.
In un racconto della Deledda che descrive l’ambiente rurale sardo soltanto un secolo addietro, trovo la descrizione e la dignità dei gruppi di donne accoccolate davanti alle case e mi torna davanti agli occhi l’immagine delle famiglie assise sul duro piazzale della stazione di Vecchia Delhi, eleganti ginecei, indifferenti alle interminabili attese, rilassate e scevre da ogni commento.
Non dimentichiamo il significato letterale del termine Upanisad. Che sarebbe poi il vero motivo che mi ha spinto a scrivere. Le due pagine precedenti sono una semplice digressione, come l’intrattenimento tra i praticanti di qualunque attività, che possono passar nottate a discutere sui dettagli di una bicicletta, di una canoa, di un cavallo o di una difesa scacchistica memorabile.
Upa ni significa quasi, vicino, simile, accosto, ma anche approssimativo, più o meno, facente funzione.
Sad indica stare seduti. Stare seduti, in questo caso, presso il maestro, vicini, intorno a lui, nel suo alone, oppure, in mancanza di maestri, almeno presso un facente funzione, un quasi maestro un upa guru, che sarebbe poi a dire chiunque o qualunque cosa in grado di procurarci un apprendimento, un’iniziazione ad altro rispetto al solito. Ma insomma…
Eccoci dunque intorno a un focherello modesto e imperituro, sulla sponda di un fiume o in un’incommensurabile serata o nottata himalayana, tra le Apuane e l’Hoggar, seduti con la schiena eretta, del tutto estranei allo scorrimento del tempo, delle pagine, così dentro al senso delle parole che un estraneo arrivando potrebbe crederci alticci. Perso parrebbe per sempre l’uso degli arti inferiori, assorte pause, silenzi, e poi, come un fiotto alla mescita del verbo, cade una frase come l’aerolito sul tettuccio di una millecento.
Qui volevo arrivare: alle lezioni di yoga o di qualunque altra materia telematiche. Se non saremo seduti vicino al maestro potremo tuttavia essere seduti bene e magari, fors’anche vicini con l’intenzione, ma non sarà facile per il maestro, l’allievo dovrà essere un tantino telepatico, dovranno entrambi fare un atto di fede circa quello che vanno mettendo in opera. Non so. Quello che si perde è molto.
Del resto quello che via via si perde è molto in ogni situazione. In centinaia, in migliaia di libri, di commenti, di esegesi sempre più profonde, magnifiche in prosa e in versi, è andata dissipandosi la concisa verità primordiale Tat Tvam Asi. E in questa sacra diluizione, in questo insistere nel nominare invano, molte anime sono andate ritrovandosi a poco a poco o a sprazzi.
Ma l’intrattenimento affabulatorio, il crepitio del fuoco, le domande e le risposte, un pizzico di autosuggestione, di commozione, di pazienza verso noi stessi e il mondo, generano un momento ripetibile, anche se raro e benedetto. Il mistero si espande sopra il nostro piccolo fuoco ben più di quanto siamo riusciti ad avanzare in lui, dilatandosi verso un cielo eterno, infinito forse, nient’affatto indifferente, stellato e palpitante di altri fuochi, un cosmo che è fermo e ruota e in tal modo risponde.