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Enrico Giannini

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K-mare in Islanda: diffidate degli outfitters improvvisati
* il: Agosto 11, 2015, 06:45:58 pm *
Buongiorno a tutti,
non scrivo mai, ma questa volta ritengo utile informare i lettori di CKI di una brutta ma molto fortunata esperienza che Federica ed io abbiamo vissuto in k-mare in Islanda due settimane fa, nella speranza che queste note evitino ad altri di trovarsi nella stessa situazione.
Siamo partiti per l’Islanda il 15 luglio, con in programma due settimane di trekking al centro dell'isola e una di kayak nei fiordi del nord-ovest, nella regione di Isafjördur, il posto in Europa piu’ vicino alla Groenlandia. Dopo difficili ricerche di una agenzia o una base che ci affittasse il materiale (quasi tutte vendono un pacchetto completo comprendente giornata di inziazione, guida, eccetera...), abbiamo trovato la “Island Extreme” di Reykjavik che si appoggia ad un centro kayak locale e che ci avrebbe affittato i kayak e l’attrezzatura completa. In risposta alle nostre richieste molto precise su cosa fosse l’”attrezzatura completa”, ci hanno detto: kayak, pagaie, giacca e pantaloni waterproof, giubbotti salvagente, paraspruzzi, sacche stagne, guanti. Abbiamo prenotato tre giorni completi, con itinerario che avremmo definito sul posto a seconda delle condizioni meteo e della possibilità di essere recuperati in un posto diverso dalla partenza (pagandolo a parte) e ci hanno fatto pagare anticipatamente e integralmente la modica somma di 48'000 corone, pari a circa 120 € al giorno per il solo noleggio. Non poco, ma non avevamo scelta.
Giunti sul posto, abbiamo a lungo parlato con l’outfitter locale (l’agenzia “Slowly Travel” di Flateyri) e con la sua “guida” marina. Abbiamo consultato insieme le carte nautiche e le previsioni meteo, e abbiamo pianificato un itinerario che esplorasse tre fiordi, con altrettanti passaggi  in oceano aperto, per stare fuori in tutto tre giorni per un totale di circa 130-140km.
Quando abbiamo visto il materiale in dotazione siamo rimasti piu’ che allibiti: le giacche d’acqua che ci hanno proposto le potrei dare ad un pricipiante per un corso del sabato pomeriggio al nostro club, ma non ci andrei certo nei mari artici. Idem per guanti e paraspruzzi. Non avremmo dovuto partire. Ma mettetevi nei nostri panni: avete già pagato (e se rinunciate a partire perche’ il materiale secondo voi non e’ adatto ci perdete tutto), siete in capo al mondo, loro sono gli “esperti” che conoscono quel mare e che vi danno la roba, le previsioni meteo sono buone... Siamo partiti. Abbiamo scelto un Prijon Yukon Expedition e un Prijon Seayak, entrambi in plastica, due kayak che conosciamo bene dato che li abbiamo pure noi. Per sorprenderci ulteriormente, la pagaia smontabile di emergenza non era prevista e ce la siamo presa da un altro kayak. Abbiamo anche dovuto sostituire fettucce e cordini per poter chiudere correttamente i gavoni e regolare i timoni.
All’uscita del primo fiordo il tempo è cambiato, vento fortissimo da nord-ovest, pioggia torrenziale, temperatura di 2-3 gradi, moto ondoso in rapido aumento. In poco eravamo fradici. I paraspruzzi lasciavano entrare molta acqua, i vestiti non erano waterproof. Avanzavamo controvento a una velocità di 3 km/h e dovevamo tenere stretta la pagaia perché le raffiche di vento non ce la strappassero dalle mani. Dopo poco piu’ di 10 km appare una spiaggia e verso la fine della spiaggia un punto dove l’onda è buona per sbarcare. Sbarchiamo, pensando di aspettare che il tempo cambi, e se non cambia aspettare l’indomani in tenda dentro ai piumini caldi.
E qui viene il meglio: sbarcati, ci rendiamo conto che lo Yukon in particolare è estremamente pesante... Apriamo i gavoni: pieni d’acqua. La paratia tra il pozzetto e il gavone non era stagna, e per ore l’acqua che entrava nel pozzetto da un paraspruzzi totalmente permeabile andava nel gavone posteriore. Anche gli altri gavoni erano bagnati, ma nel posteriore dello Yukon le sacche erano totalmente immerse. Una delle sacche, inoltre, non era minimamente stagna. Insomma, i nostri vestiti di ricambio erano fradici come noi.
Eravamo al 66° parallelo N, bagnati fradici, senza possibilità di cambiarci i vestiti ne’ di asciugarci, esposti ad un vento glaciale. L’ipotermia non è una balla, e puo’ uccidere. Qui arriva il lieto fine: non lontano dalla spiaggia c’era una fattoria, isolata ma abitata, in un posto che per sei mesi all’anno non ha nessuna comunicazione via terra e d’estate è raggiungibile con una pista 4x4 degna dell’Islanda. Ci hanno accolti, sistemati in un locale riscaldato, offerto caffé e biscotti, e chiamato via telefono-radio (li’ non c’è rete telefonica) il tizio dei kayak che ci venisse a recuperare. Due o tre ore dopo è arrivato con la jeep e ci ha riportati alla base. In grande imbarazzo, si è molto scusato e ci ha restituito i soldi. Ma che scuse o imbarazzo! Avremo le nostre responsabilita’ nella decisione di cominciare il nostro giro, ma resta un atto criminale affittare materiale simile e mandare la gente in quei mari per un trekking marino di piu’ giorni.
La morale della storia è che in Islanda, paese di 320mila abitanti che riceve un milione di turisti all’anno, chiunque abbia un appartamento si sta improvvisando albergatore e chiunque abbia dei kayak si improvvisa outfitter che propone escursioni in kayak per i turisti. Finché hanno clienti principianti che fanno un paio d’ore di pagaiata all’interno del fiordo non corrono molti rischi. Ma non hanno la minima idea di cosa significhi andare per mare, di come ci si debba andare e di quali siano i  rischi. Noi, ingenui, non abbiamo rinunciato quando abbiamo visto la qualità dei vestiti in dotazione. Avremmo dovuto, ma di fronte all’esperto locale che ti dice che puoi partire, metti da parte la tua propria esperienza, forse per modestia, forse per l’entusiasmo di essere laggiu’ e partire...
Se qualcuno ha voglia di esplorare i fiordi del nord-ovest islandese in kayak (meritano, è una regione stupenda), è meglio che si organizzi la spedizione del proprio materiale da casa. E’ quello che faremo la prossima volta, qualora decidessimo di tornarci. Diffidate dei “nuovi” operatori
Saluti. Enrico