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L'INVERNO FRA I PALETTI DELLO SLALOM
Ettore Ivaldi:
L’erba si sta ingiallendo al Penrith Wildwater Center, il sole cocente non dà tregua. Chi gestisce il tutto fatica a stare al passo per cercare di irrigare adeguatamente il tappeto verde preso d’assalto da noi allenatori che maciniamo ogni giorno chilometri per seguire i nostri atleti. Se il prato hai i suoi problemi per sopravvivere anche lo scozzese Walsh non scherza di certo! Sembra un’anima in pena e non riesce a decidersi che barca usare. Si alterna con la Nelo e con una canoa che della Kapsl porta solo il nome perché è stata tagliata, stretta, allungata, modificata e chissà cos’altro ancora. Oggi si è fermato a lungo sotto la “Maine wave” a fare una serie di combinazione di risalite, destra-sinistra e ancora destra, ma vedendo la sua azione e le espressioni del viso non convinceva molto e non mi sembrava molto soddisfatto neppure lui. Il povero allenatore Shaun Pearce ad un certo punto, disperato, si è immerso nell’acqua nascosto dietro ad un ostacolo: unica cosa positiva che è riuscito a fare è stata quella di rinfrescarsi! Chissà cosa avrà pensato il campione del mondo di vent’anni fa nel riprendere un Walsh che ultimamente non riesce ad azzeccare grandi gare e che sembra essere caduto in depressione. Cos’è rimasto di quel kappa uno che ha saputo buttare giù dal carro quel gran pagaiatore che risponde al nome di Paul Ratcliffe? Magari domani scambio due parole con Pearce e vediamo che cosa mi dirà. Ma nel frattempo vi racconto questa sugli allenatori inglesi: pensate che praticamente ogni mattina prima che arrivi l’acqua scendono a piedi nel budello di cemento e perlustrano tutti i buchi che servono per fissare i vari ostacoli. Ci infilano il braccio dentro e rumando-rumando (si capisce o è solo dialetto veronese?) sul fondo pescano un po’ di tutto: monetine, anellini, braccialetti. La cosa li rende molto felici, evidentemente lo spirito dei loro avi deve aver lasciato il segno.
Se Walsh impazzisce a forza di confrontare canoe diverse, poco più a monte mi divertito proponendo a Hradilek, Ford e Zeno una serie di combinazioni interessanti: discesa, passaggio a sinistra di un palo posto su un lato di un buco, successiva risalita a destra e poi ancora una risalita a sinistra. In buona sostanza bisognava usare il buco per fermare la velocità e per farsi trasportare dentro la risalita. La cosa, a primo acchito, sembrava una banalità, ma in realtà si è dimostrata essere una manovra molto interessante. L’arcano di tutto, dopo svariati tentativi e prove, è avere il corpo perfettamente bilanciato al centro della canoa. Infatti l’errore iniziale comune era quello di caricare la coda andando a ruotare la canoa con il colpo largo a sinistra. La soluzione vincente si è dimostra invece essere quella di anticipare la rotazione con un Duffek a destra che poi veniva mantenuto in acqua per dosare il bilanciamento della canoa nel momento in cui si entrava inevitabilmente nel buco. A questo punto l’aggancio alto si trasforma in pagaiata propulsiva per entrare nella risalita a destra. Al gruppetto dei tre moschiettieri ad un certo punto si è unito anche l’estroso Peter Kauzer. Il baldanzoso fenomeno sloveno non ha esitato ad interpretare nel modo più corretto la combinazione proposta. Nel campione europeo 2010 impressiona la capacità di dirigere a suo piacimento la canoa anche in situazioni molto estreme. L’altra sua grande caratteristica è quella di trovare soluzioni tecniche in tempi rapidissimi.
La sessione di allenamento è poi finita alla “Maine Wave” per una sfida tra i quattro su una combinazione risalita a sinistra e risalita a destra. Quest’ultima poco più in basso sul lato opposto. La difficoltà stava nel riuscire a superare un’onda turacciolo che si spacca giusto a metà e lascia poche vie di scampo per penetrarla. Anche qui si è capito che la soluzione migliore è con la canoa piatta alla ricerca dell’acquisizione di velocità per superare un ostacolo qual’è l’onda di mezzo canale. Ford fatica però ad arrivare sulle risalite in anticipo per infilarci dentro la testa e uscirne con una veloce rotazione della coda... evidentemente gli anni si fanno sentire anche per lui e non è facile adeguarsi a queste eccitanti e dinamiche tecniche. Le risalite così, quando è possibile attuarle, ti fanno guadagnare una montagna di tempo, anche se bisogna avere l’accortezza di non farsi prendere troppo la mano con la consapevolezza che non tutte le risalita devo essere affrontate allo stesso modo. Infatti ogni porta ha la sua caratteristica e la sua soluzione... basta entrare in sintonia con l’acqua e con ognuna di loro!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Ettore Ivaldi:
Paese che vai presa elettrica che trovi e qui in Australia sono veramente strane. Fare una foto sarebbe troppo facile per spiegarvi come sono fatte, ci provo invece con le parole e vediamo in che labirinto mi infilo! Ok fate conto di vedere le nostre spine: due ferretti perfettamente paralleli tra loro che in gergo tecnico sono descritti come due contatti cilindrici con diametro 4 con interasse 19 mm, leggermente convergenti. Qui i due ferretti o contatti sono perfettamente piatti e sono inclinati esattamente di 30° rispetto alla verticale, formano cioè una “V”. Le prese sui muri offrono la possibilità di inserire anche un terzo ferro perfettamente diritto e più lungo degli altri due: la messa a terra. Fate conto di vedere la faccia di un cinese che ha appena mangiato una fetta di limone. La cosa interessante però delle spine elettriche di ogni utensile è quella di avere una caratteristica molto utile. Infatti noi per estrarre la spina dalla presa del muro afferriamo il filo e tiriamo o, nella migliora delle ipotesi, afferriamo con due dita la spina stessa e tiriamo. Qui invece le spine sono dotate di una specie di anello che ti permette di infilarci dentro il dito medio in modo tale che puoi tirare tranquillamente senza danneggiare il filo elettrico.
Fischia, sono tutto sudato, ma sono uscito ancora vivo dal labirinto in cui mi ero cacciato. Poi morso dalla curiosità sono andato su internet e ho visto che questo tipo di spina si usa oltre che in Australia anche in Argentina, Cina, Nuova Guinea, Nuova Zelanda e Uruguay.
A parte ciò vorrei farvi partecipi di un’osservazione tecnica. In sostanza la fase più critica in una risalita è la rotazione della canoa al suo intero e la successiva fase di uscita.
Partirei dicendo che il livello generale tecnico per l’approccio ad una risalita è cresciuto notevolmente. Cioè molti atleti preparano bene la porta stessa e sono in grado di eseguire al meglio le manovre di avvicinamento e taglio all’interno della porta. Solo nella terza fase si notano notevoli differenze tra atleti molto evoluti e atleti che stanno crescendo e che viceversa cercano una prestazione importante. In una risalita classica la sequenza può essere questa: preparazione/approccio - entrata - rotazione della coda - spostamento del busto avanti - uscita.
Cambia il modo con cui si utilizza la pala in relazione anche al tipo di risalita e all’acqua relativa. C’è chi preferisce utilizzare il Duffek o chi viceversa usa più facilmente la frenata interna. Indipendentemente dal tipo di manovra utilizzata si rischia di bloccare la coda e la sua conseguente rotazione una vola inserita la stessa nell’acqua. L’errore più frequente è quello di utilizzare il colpo a valle non per lasciar correre la canoa verso il basso, ma per mantenere la punta verso monte. Dal mio punto di vista sono tanti i fattori che concorrono a fare ciò. Il primo assoluto è quello di voler fare qualche cosa a tutti i costi, pensando erroneamente che ciò possa aiutarci ad andare più veloci. Il cervello corre molto e le nostre braccia vogliono seguire questi impulsi. In realtà molte volte dobbiamo lasciare libera la nostra canoa di agire e noi dobbiamo solo seguirla senza opporre resistenza. E’ difficile farlo per il semplice motivo che molti atleti vogliono istintivamente tenere sempre sotto controllo la propria imbarcazione e non concederle spazi vitali. La causa può dipendere anche da un assetto troppo stretto che rimanda immediatamente ogni reazione ai nostri gesti.
Un buon strumento per valutare la rotazione nella risalita può essere l’utilizzo di una telecamera fissa sulla riva. In questo modo l’analisi si completa prendendo il tempo in entrata e il tempo in uscita sullo stesso palo e confrontandoli con le immagini e le sensazioni del vissuto per ogni atleta.
Con Zeno stiamo affrontando queste problematiche e mi rendo conto che devono essere assimiliate con molta tranquillità. Confrontandomi poi via skype (che bella cosa internet) con Enrico Lazzarotto mi ha ricordato una cosa molto importante e che mi è piaciuta parecchio. Infatti l’estroso e raffinato pagaiatore mi dice riferendosi al giovanetto: “lascialo sempre con la spregiudicatezza della sua età: porterà grossi risultati in tutto sia in kayak che nella vita”. Che dire? Ha proprio ragione perché altrimenti non si spiegherebbero le evoluzioni che costantemente ci sono!
Per concludere aggiungerei solo il fatto che in una risalita bisogna trovare l’anello in cui infilare la pala per poi tirare... senza danneggiare il filo, non elettrico, ma il filo immaginario che vi porta il prima possibile a tagliare il traguardo.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Penrith, 10 febbraio 2011
Ettore Ivaldi:
Ho appreso al meglio il significato del verbo “encantar” da Josean Lekue, il medico che per alcuni anni ha collaborato con me nella squadra spagnola. Preparatissimo uomo di scienza e grande sportivo, ha terminato il suo lavoro per la canoa quando l’Atletic Club de Bilbao l’ha ingaggiato per seguire la prima squadra. La sua passione per il calcio era nota a tutti noi e ricordo che un giorno dopo una partitella fra noi canoisti ci fermammo a parlare dello sport pallonaro per eccellenza. Fu in quell’occasione che il dottor Josean mi spiegò che non sapeva per quale motivo era così attratto dal gioco del calcio. L’unica vera ragione o spiegazione che si era dato derivava dal fatto che restava “encantado” ogni volta che vedeva una partita. Usò esattamente questo verbo, pronunciato ed esaltato dal suo forte accento che rendeva alla grande il concetto, senza bisogno di aggiungere null’altro. Una sorta di momento topico al quale non poteva reagire se non subire e godere di tale effetto.
Ecco! La stessa cosa succede anche a me quando mi trovo di fronte a certi personaggi che con un sol gesto sono capaci di “incantarti” bloccandoti il respiro, mentre le sinapsi che ti collegano al cervello vibrano impazzite. L'unica cosa che riesco a fare nei successivi tre o quattro giorni è rivivere quello che i miei occhi hanno visto e che hanno fissato nella poca materia grigia che ancora mi rimane a disposizione. L’altro giorno è successo ancora una volta, è per questo che mi sento euforico e particolarmente appagato... sapete chi è stato l’artefice di tutto ciò? Un certo Stanislav Jezek. Non vi dice nulla questo nome? Scherzo ovviamente perché tutti lo conoscono e tutti gli appassionati di slalom avranno seguito le sue imprese iridate ed olimpiche (secondo in semifinale e quinto in finale a Beijing 2008). L’anno scorso vinse la gara di coppa a Seu d’Urgell e commentai così il su successo:
Re: On the Road on the Wave!
« Risposta #28 inserita:: Giugno 27, 2010, 06:34:37 pm »“
“...
Grandissima prova del ceco Stanislav Jezek nella canadese monoposto. Leggero e abile come un gatto, ha 34 anni è sposato e ha due figli, un mago dell’informatica, ha vinto sei medaglie ai campionati del mondo, ma qui ci ha deliziato con gesti eleganti e una grande interpretazione del tracciato che lo ha visto in costante accelerazione. Non arriva a 70 chili tutto compreso e supera il metro e ottanta, ma quando ti stringe la mano devi stare attento perché te la stritola con estrema facilità. Il suo tempo in semifinale gli avrebbe regalato il settimo posto nel kayak uomini! “
Ma torniamo alla cronaca di oggi perché vi dicevo che ieri il ceko mi ha stupito e lasciato incantato in una frazione di secondo. Era giusto in zona arrivo sull’acqua ferma che si stava riscaldando per l’ora di allenamento che sarebbe iniziata da lì a pochissimo. Io scendevo dalla piccola collinetta della partenza per parlare con Zeno a fine allenamento come siamo abituati a fare per tirare le somme del lavoro fatto. In quel mentre ho visto una canoa uscire dall’acqua totalmente, cioè per una frazione di secondo la canoa di Jezek è volata sull’acqua. Come sia successo ora ve lo spiego. Immaginatevi un C1 che alla fine di una propulsione avanti trasforma questo colpo in propulsione indietro piantando la coda nell’acqua. Classica manovra per incandelarsi, ma a metà corsa della coda lo stesso colpo è tornato ad essere propulsivo in avanti. L’effetto derivato da questo guizzo e gesto felino è stato il cambio di direzione con successiva fuoriuscita di tutto lo scafo dall’acqua. Per fortuna che non ero solo in quel momento per assistere al miracolo, in acqua al fianco di Jezec anche Alexander Slafkovský, come me, è rimasto a bocca aperta. Capisco il vostro imbarazzo e forse l’incredulità nel credere che tutto ciò sia possibile, ma se pensate che un simpatizzante della canoa (come qualcuno mi ha definito aggiungendo anche personaggio molto idealista e poeta, ma ahimè poco pratico) abbia avuto le visioni, non vi rimane che chiedere a Jezec di farvelo rivedere: lui i miracoli è in grado di farli a suo piacimento... sempre che non abbia dell’altro da fare!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Penrith, 15 febbraio 2011
P.S. è arrivata anche Elena Kaliska. Nuovo look in canoa per la bi-campionessa olimpica, ma magari scatto qualche foto e ve le mostro.
Andrea Romeo, Omar Raiba con il tecnico Matteo Appodia sono gli ultimi arrivi dall’Italia, aspettiamo il neo dottore Cipressi che sbarcherà da queste parti i primi della settimana prossima.
Skillo:
Ho visto Slafkovský mettere la canoa in verticale sull'acqua piatta per poi sdraiarsi all'indietro col busto quasi a fare "il morto" mentre continuava a mantenere la prua dritta verso il cielo senza alcuna fatica. Non è un esercizio che solo lui sappia fare, ma non è nemmeno una robetta da tutti. Quindi, se Slafko è rimasto a bocca aperta davanti al guizzo di Jezek, .... doveva essere davvero un bel guizzo!
Ettore Ivaldi:
La curva del canale di Penrith è magica e si colora sempre di colori diversi. Il tratto di cielo che vi si rispecchia ospita spettacolari nuvole o un sole cocente. Ogni volta che mi trovo da quelle parti mi sento immerso in un sogno e tutto ciò che mi circonda assume una particolare luce. In lontananza si scorgono le “Blue Mountain”. Il nome della rapida è “number 2” che sta quindi a valle della “main wave” e a monte della “deep fryer” - friggitrice!
Questa mattina abbiamo lavorato proprio in quel tratto e lo scenario ci ha messo tutti di buon umore. La luce ancora tenue delle prime ore della giornata offre la giusta concentrazione per lavori tecnici di qualità, tanto più se eseguiti da atleti con tanta energia in corpo. Abbiamo posto come obiettivo di giornata l’ascolto dell’acqua e la successiva risposta da parte del canoista. In quel tratto infatti l’acqua non è mai regolare e cambia in continuazione, quindi le strategie di reazione vanno decise nel momento preciso in cui accadono, sempre che si sia in grado di raccogliere lo stimolo giusto.
L’aspetto tecnico interessante emerso durante l’allenamento è stato quello dell’utilizzo della pala dallo stesso lato senza estrarla dall’acqua. Cerco di spiegarmi meglio. Avevo proposto una risalita ad esse venendo da destra e uscendo a sinistra in una zona dove l’acqua non è difficile ma presenta dei ritorni strani. L’idea era quella di affrontare la risalita con il colpo largo a destra, quindi a valle, sfruttando prima la velocità dell’acqua e poi la piccola area di morta giusto sul palo interno. A questo punto nasceva il problema dell’uscita visto che non c’era la possibilità e il tempo di trasformare il colpo in aggancio per togliersi da quella situazione piuttosto calda! La soluzione si è trovata lasciando la stessa propulsione larga in acqua, che a fine corsa si è trasformata in un valido punto d’appoggio per far ruotare la canoa permettendo al corpo di eseguire un piccolo spostamento laterale con il successivo guizzo di uscita.
Seconda proposta una serie di porte a pettine abbastanza angolate e su acqua veloce con successiva risalita a sinistra sulla “friggitrice”. Anche qui dopo alcuni tentativi di passare le porte direttamente si è optato per uno spostamento della coda sul terzo palo in modo tale da riuscire ad entrare diretti sulla risalita sfruttando un ricciolo sul fianco destro. Anche qui i tempi non permettevano la possibilità di togliere la pala dall’acqua per agganciarsi sull’onda-ricciolo. La soluzione è stata trovata anche in questo caso mantenendo la pala in acqua dopo il colpo di propulsione avanti di sinistro.
La morale della storiella è: pensa e agisci da C1 quando non hai il tempo e la possibilità di cambiare colpo.
Domani si torna a respirare aria frizzante, emozionante, mirabolante... domani iniziano gli Australian Open più di 300 atleti in gara in rappresentanza di 20 nazioni, non male per un inizio di stagione che si prospetta molto emozionante. Seguite on line risultati e video su http://ausopen.canoe.org.au/ mentre per colore e approfondimenti ovviamente questo forum e http://ettoreivaldi.blogspot.com/ per intermedi e appunti tecnici.
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
Penrith, 17 febbraio 2011
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