L’ESPERIENZA DELL’INTENSITA’
Perché il canoista (lo definiamo ortodosso?) è così visceralmente attaccato alla perfezione del suo gesto? (Potremmo fare la stessa domanda allo sciatore, al marciatore ecc.) Lo chiedo esclusivamente a lui per evitare polemiche con i canoisti contemplativi di fiume e di mare, che non sono tutti uguali, e solo talvolta ignorano che pure nella contemplazione il risultato [servirebbe spazio per spiegare questa parola] sta tutto nell’intensità dell’esperienza. Perciò cerco di stare lontano da confronti fra cose che non c’entrano. Al canoista ortodosso interessano a quanto pare la perfezione e la velocità. Faccio notare che al di sotto di una certa intensità del gesto (frequenza e potenza) è impossibile ottenere una pagaiata soddisfacente. Se egli vorrà mostrare il suo gesto ad andatura blanda, come capita in momenti didattici, avrà l’impressione di imitare soltanto quella certa perfezione che gli sta a cuore, l’equilibrio sarà compromesso, la pagaia non restituirà tutti i segnali e le resistenze a cui è abituato e che ricerca. Ovviamente per ottenere quell’intensità egli (il canoista di cui sopra) deve raggiungere un buon grado di allenamento. Persino il migliore degli stilisti non trae grande soddisfazione dal pagaiare se è fuori allenamento. Dunque la tecnica viene insieme alla preparazione fisica (che è un’adattamento di tutte le parti del corpo, dei sensi e degli organi) e alla preparazione mentale (che riguarda anche la capacità di autoprodurre e amministrare sostanze chimiche specifiche). Dopo gli anni e i chilometri necessari, il canoista ortodosso ottiene una certa condizione. Egli ha adottato una disciplina, una tecnica, si è mantenuto all’interno di una “tradizione”. Per l’intelligenza del discorso, non mi sembra necessario fare distinzioni tra le varie specialità (slalom discesa velocità) perché credo che la pagaiata del kayak possa ancora considerarsi sempre lo stesso gesto seppure con i dovuti aggiustamenti al contesto. Bene, e ora che ha raggiunto la giusta condizione ripeto la domanda: Perché il canoista è così visceralmente attaccato alla perfezione del suo gesto? Cosa sa poter di trovare dentro quell’intensità? Anzi, cosa certamente ri-trova, anche se forse inconsciamente? Io ovviamente una risposta l’ho, ma mi piacerebbe sentire anche gli altri.