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maurizio bernasconi

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Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* il: Maggio 06, 2008, 08:56:06 pm *
* Ultima modifica: Maggio 07, 2008, 03:42:10 pm da Daniela Mariaschi *
Iniziamo la pubblicazione a puntate di un racconto. Inutile dire che le vicende e i personaggi sono interamente di fantasia. Che nessuno creda di potersi riconoscere per favore. Sono graditi i commenti, le correzioni  e le osservazioni. Da tutto questo potrebbe dipendere l'evolversi della storia.
Buon divertimento.

FU COSI' CHE TU NASCESTI
Parte prima: Sesso e pagaie a Sabaudia.
Prima puntata.
Non si capisce: due donne, madre e figlia, durante tutto un inverno e oltre, per mesi, sono le uniche o quasi a soggiornare nell’albergo che dà sulla piazza, tra l’altro, parecchio caro. Ma non va a scuola ‘sta ragazza? Boh!?
Passeggiano per i rettifili che vanno nel niente, a un tiro di fionda dall’hotel; colle code di cavallo montate in cima al capoccino sembrano due cipolle, una più ingombrante, l’altra in procinto di diventarlo.
Microscopica e irreale, Sabaudia si erge monumentale e troppo maestosa in rapporto alle poche spanne dell’effettiva elevazione delle facciate, scalcinate con un duemila anni d’anticipo sulle previsioni del costruttore.
I parallelepipedi, come in un plastico, sfidano la luce e il vento, con nulla di vivo in superficie e, soprattutto, con nulla che possa scaldare noi giovani canoisti, canottieri, militari di leva e di firma, confinati qui per diciotto mesi, tre anni, otto anni…
Nel duemilaotto saranno assai rinomate le femmine di varietà veneto/agropontina, tuttavia per ora non sono ancora nati esemplari del genere, forse; oppure esistono, ma si riesce ad arginarli nelle stanze, nelle masserie, nei poderi isolati e recintati. Dev’essere così, infatti non è facile ammettere che madri laide possano generare figlie adatte alle copertine del duemilaotto. Questo per coerenza con uno dei libri più importanti per il filosofo e che nessuno legge, le Enneadi di Plotino, quando vi si dice: l’infimo non produrrà mai il supremo, dal brutto e dall’idiota non s’otterranno né il bello né il buono. Ma tale ragionamento scantona troppo dal progetto del nostro resoconto, glissiamo.
Zone agricole, riserve naturali recintate, bestiame vario, strade tirate con lo staffile sulla futilissima direttrice Imperia/Mogadiscio: non c’è niente per i nostri denti da queste parti, tranne forse: il mare, il lago costiero, la sporadica turista, attrattive che, si sa, alla nostra età non possono bastare.
Proprio qui, in una zona d’ombra sotto altissimi pini marittimi, appena dietro al cuore del paese, poggiato sul rilievo di un modesto dosso ricoperto d’aghi e pigne, giace il benemerito Centro Remiero della Marina Militare, cantuccio decisamente ameno, soprattutto per quelli che sognano di partecipare alle olimpiadi di Città del Messico. Fra una decina d’anni lo sposteranno in prossimità del lunghissimo ponte e ne faranno qualcosa di più grosso e rappresentativo, non si sa di cosa, ma rappresentativo.
Nel Centro Sportivo, o nelle immediate vicinanze, s’acquartierano gli atleti di Fiamme Gialle, Fiamme Oro, Esercito, Forestali e, può darsi, qualche aviatore sparso.
Tutta gente in transito e provvisoria in un luogo che non sarà mai più palude e non è ancora città.
La presenza in questo nulla di due donne sole, romane de Roma, cittadine proprio, scaricate qui, dice, sbrigativamente, dal padre di famiglia, milleotto blu ministero, dice, con telefono montato in macchina, ciumbia!, che non le viene mai a trovare… insomma ‘sta frase dove va a finire, un verbo per favore, vabbe’: non si capisce.
Non si capisce e non sta troppo bene! Non siamo mica nel duemilaotto! Non sta bene! Lo volevo dire e l’ho detto.
A parte un pugno di marescialli nella parte di allenatori, furieri e roba simile, il grosso, un centinaio d’uomini maschi, atleti, per lo più di leva, s’è imboscato qui per remare.
Il canottiere è quello che va all’indietro, bisogna ridirlo perché c’è sempre ancora qualcuno che non lo sa. Chissà come fa a tirare dritto? ci si chiede, in genere, nella nostra cruda ignoranza.
Ha le gambone il canottiere, è almeno uno e novanta… minimo, cento e rotti chili, che se non è cento e rotti, sull’otto non ci mette il culo… sull’otto, l’unica barca che andrà da qualche parte, dice, forse. Certo si spera, ma per i disfattisti: an’do’ c’avrebbe d’anna’ st’otto?
E’ difficile, eppure bisogna crederci: magari non proprio in una vittoria, ma almeno, chi lo sa, in qualcosa, un piazzamento, una finale. Nessuno si metterebbe nei panni dell’allenatore: “Insomma, siamo militari, centoventi persone che becchiamo il soldo, lo stipendio, le trasferte, cogl’aretrati, la tredicesima, l’asegni famigliari, la pensione, l’indennità… almeno facessimo finta di crederci noi, anche se il cronometro dice che questa barca… (gonfiando ahimé un sentimento sempre meno equanime), insomma, questa barca non va un ca--o ‘sta barca! Animali! Svuotate il trogolo e non andate un beato ca--o, ‘sta barca! Ma adesso io vi, vi…(!?... trova) vi spacco il …(non trova)! Dovete tirare, avete da morire, avete da cagare verde e io vi faccio cagare verde… che se oggi non cagate fuori anche il… eun (non trova)”.
Sempre l’allenatore si spreme in argomenti stimolanti, per motivare l’atleta; è chiaro che, nel vivo dell’elaborazione psicologica, può inserirsi talvolta una ripetizione e persino sfuggire qualche iperbole. Capita comunemente a scrittori di chiara fama, vuoi non perdonarlo all’alenatore?
I giganti stanno lì come navi in bottiglia, a farsi crivellare di improperi dal minuscolo allenatore graduato, un maresciallo cazzutello che gli fa quello che vuole, sono persone semplici. (segue, a domani...)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (seconda puntata)
* Risposta #1 il: Maggio 07, 2008, 03:40:47 pm *
...persone semplici.
Il complicato futuro è invece lontanissimo. Nel duemila probabilmente più nessuno butterà in terrà i pacchetti vuoti delle sigarette e altre cartacce, più nessuno si comporterà in modo rumoroso e bestiale; nel duemila e a maggior ragione nel duemilaotto avremo le piste ciclabili, saremo anglosassoni, di più… saremo scandinavi, civili insomma. La Sardegna sarà la nostra Islanda, l’autostrada Torino-Venezia sarà il nostro circolo polare artico.
Questi presenti invece sono tempi ancora pieni di innocenza; siamo naif, non è mica il duemila, quando avranno inventato persino l’antidoping. Oggigiorno per metter su chili, invece del muesli basta scaricare nel caffellatte qualche cucchiaiata di ormoni a uso bovino, provenienti dal consorzio veterinario, sversandoli da certi barattoloni generosi e a buon mercato. Ma io questo genere di cose non le so e non le voglio sapere, come imparo proprio durante la cosiddetta naja; è l’arte che imparerei in qualunque altro angolo d’Italia o di mondo se mi ci fermassi più di tre giorni: l’arte di non sapere quello che si sa.
Difficile dire quale rapporto potrebbe stabilirsi fra i canottieri e le due signore, madama Lucilla e figliola, anche perché la Zerlina, primo anno juniores, non ha compiuto diciassette anni.
Ho sulle spalle un paio di stagioni soltanto in più rispetto a quella sbarbata, e arrivo a Sabaudia, come la più ingenua e svagata delle reclute: col mio kayak, nientemeno, a correre per le forze armate. E’ tutto nuovo per me. Che razza di parole!, FFAA forze armate, esercito. Lettere maiuscole ripetute: pornografia grammaticale… e che spettacolo inconcepibile questa vita delli omeni, e che omeni!
Intuisco insidie per l’onesta giovane, in compenso negherei l’eventualità che una donna matura, una donna a un pelo dalla quarantina, una madre di famiglia… insomma, escludo che un soggetto come Lucilla, nelle condizioni in cui si trova, possa ispirare velleità lubriche, specialmente poi all’udirne i suoni: indiscreti e inarginabili. Sbaglio. L’unica giustificazione che potrò addurre in avvenire per la mia svista, a parte l’incompletezza delle letture, a parte il fatto che evidentemente non ho esperienza in nessun campo, l’unica giustificazione che addurrò sarà insomma questa: ancora non m’hanno informato che a Sabaudia è di stanza anche una compagnia di artiglieri con  ottocentocinquantasei effettivi.   
Se i canottieri sono quelli che vanno avanti e indietro sul binarietto (cosa che a noi pare sempre un po’ da bischeri anche se invece no… ma è lunga da spiegare), i canoisti, di gamba magra, hanno qualcosa a che fare con gli eschimesi, quelli del kayak, o con la canoa degli indiani del nordamerica; se poi uno darà un’occhiata al globo s’accorgerà che si tratta esattamente delle stesse persone.
Sempre tutti domandano: qual è la differenza fra la canadese e il kayak? Anche se glielo dici un milione di volte loro sempre lo chiederanno, si vede che veramente è proprio la cosa che gli preme di più di conoscere al mondo infatti, anche se lo spieghi un’altra volta e poi ancora, e ancora, loro lo chiederanno di nuovo, non si stancheranno. Per questo insistono, perché proprio gli interessa molto.
Ecco pertanto che occorre sommare al numero degli artiglieri (che non remano, ma verosimilmente vorrebbero applicarsi al femminile) e ai canottieri (inconsapevoli della goffaggine, parteciperebbero anch’essi), occorre dunque aggiungere  anche il manipolo dei canoisti, e non finisce qui...
Infatti il tiepido e ospitale bacino salmastro di Sabaudia è raggiunto verso dicembre da una migrazione di squadre nordiche. Quando ancora lassù il siderale abbraccio stringe laghi e fiumi, e la galaverna assidera i glutei al vogatore, calano a svernare le squadre nazionali di Germania, Svezia, Olanda eccetera…
Vediamo pertanto scendere in acqua i pesanti canoisti della Germania occidentale e qualche inglese, spaiato emulatore dei kappisti ungheresi, tuttavia inimitabili nel loro stile aereo, alto e proteso nell’allungo, qualche polacco naturalizzato Andorra, due o tre danesi.
Un finlandese del canottaggio, medagliato ai mondiali, fa scalpore perché è altissimo e misterioso, si allena in orari strani ed evita proprio di farsi spiare quando è in barca. Dicono che vinca regate in tutto il mondo, in Australia, in Argentina, là dove si ottengono cospicui premi in denaro; trascinandosi dietro, pare, sugli aerei, una barca leggerissima costruita appositamente per lui, che nessuno può vedere da vicino, sempre avvolta com’è da una custodia imbottita.
Insomma: altri maschi e quasi zero gnocca, perché il canottaggio femminile è ancora da inventare e le kayakiste a livello mondiale sono pochine. Stavo per dire quattro gatti o quattro gatte, che già costituirebbe una definitiva caduta di stile, beh, è chiaro, avrei poi corretto, sì, ma... Basta.
Da una parte quindi, la signora Lucilla e la sua prole, creature impraticabili (a quanto pare solo per me), dall’altra noi, oltre mille affettivi, età: dai diciotto ai venticinque, anno più anno meno.
Mi pare che la storia stia prendendo una linea abbastanza precisa. Le forze in campo sono evidenti, le polarità ben definite. Come la cuspide del picco alpino non potrà cadere che in basso, procederà ineluttabilmente anche il destino dei miei personaggi di fantasia.
Sì, ma come? Come procederà? Con quali dettagli? (A DOMANI PER IL SEGUITO)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (terza puntata)
* Risposta #2 il: Maggio 08, 2008, 04:31:34 pm *
3° ...Con quali dettagli?
Quando un giorno, sorprendente Ninfa, arriverai per interrogarmi, vorrai i dettagli. Vorrai sapere qualcosa di molto preciso, giustamente. Come farò a ricostruire i fatti?
Però, Ninfa, che razza di nomi in famiglia! Già Zerlina non scherza, Ninfa poi sembra il nome adatto al design di un rubinetto o a un catamarano. Si vede che sono nomi del futuro. Pare già un incubo sentire i nomi del presente da quando sono state battezzate le prime Samante e Verusche. Chissà fra trent’anni!?
Si capisce, il mio stato d’animo oggi è semplicemente di tenue ansia per la frangibilità della minorenne e non perché siano veramente fatti miei… è che sono sempre stato fastidiosamente apprensivo.
Noi canoisti costituiamo il minore dei pericoli: una scarsa dozzina. Ma siamo più svelti, meno rudimentali e tarlucchi dei canottieri, mi spiace ma è vero, salvo eccezioni.
Non dirò molto riguardo agli artiglieri. In tutti questi mesi, osservo sempre manifestazioni del tutto onorevoli fra gli artiglieri. Ogni persona bada a mantenere relazioni convenienti anche con il più inerme dei conoscenti, perché io dovrei inimicarmi senza motivo un’intera arma dell’esercito, un arma dotata come tutti sanno di cannoni, mortai, obici, tutti aggeggi di calibro superiore ai 20 millimetri, nonché razzi, missili, bazooka, lanciafiamme e di chissà quali altri ordigni? 
Giungono qui al ritmo di trecento per contingente e badano ai fatti loro. Percorrono la lunga strada che costeggia la caserma come formichine, all’ora esatta della libera uscita, proliferano così fuori del nido e raggiungono il bar con le cabine telefoniche, le tasche sfondate di gettoni, per impegnarsi nelle innocenti telefonate alle donne, alle mamme, nei dialetti più disparati e sorprendenti, urlando nelle cornette: sentute, ad sent. Gli artiglieri.
Nel duemilaotto il servizio di leva non esisterà più, le cabine non esisteranno, la libera uscita non lo so, la strada che costeggia… non ci sarà più neanche quella, la caserma idem e le mamme… boh.
Però dopo le telefonate… che fanno, o cercano di fare i maschioni? A parte che mica si telefona tutte le sere, vanno giù i gettoni con le interurbane e quasi nessuno è poi così scemo da passare le ore dentro quelle saune puzzolenti.
Sospetto ben altre tenebrose occupazioni. Su ottocentocinquantasei uomini… pur ammettendo che due o tre si fermino in branda a leggere, che so, “I fratelli Karamazov” o “Dedalus”, non più di tre, les italiens… si sa; anche concesso che una decina marchino visita in infermeria, resta abbastanza per impensierirsi.
Le due distinte virtù, rispettivamente, della Lucilla e della Zerlina sono come due (distinti) fiori di loto ancora (forse) a galla su uno stagno abitato dai draghi. Alla lunga, chi mai potrà ignorare la loro presenza?
Viste la lontano presentano proporzioni uguali, grosse in basso, come damigiane (mi spiace), spalle strette e ciuffo sommitale. La juniores si allena, dicono, con un preparatore personale che proviene direttamente dalla scuola superiore di sport: il professor Rotti, un giovinastro col fisico da culturista e pantaloni con riga al laser, un autentico scienziato. In barca comunque Zerlina ci sale poco, altrimenti la vedremmo più spesso, noi che maciniamo mattina e sera giri su giri del bislungo, altrimenti detto, lago di Paola.
Se capita di superarla o incrociarla in kayak, facciamo gli aitanti, aumentiamo l’andatura, tiriamo fuori i deltoidi, i pettorali. Pazienza se è fatta a damigiana, pazienza se pagaia come una pecora col carbonchio, pace pure se ci snobba sdegnosamente, sebbene qualcuno di noi la conosca dal tempo dei Giochi della Gioventù, quasi dieci anni fa: è pur sempre l’unico succedaneo di donna visibile nel raggio di decine di chilometri.
Dico visibile perché, in realtà, ce ne immaginiamo anche di invisibili. Nelle ville abbusive piazzate intorno al lago, sospettiamo un pullulare di debordanti troione di lusso. Nessuno le ha ancora avvistate, ma devono pur starci, se no: a che servirebbero ‘ste ville? Diciamo pure, nello spirito dei luoghi, ‘ste ville de li miei cojoni. Giusto?
Insomma, è strano che Zerlina ci eviti in modo così plateale, almeno quando ci trova in branco; primo, si va in canoa pure noi, secondo, sappiamo da dove proviene, terzo…? forse allora, mah!? Del resto i casi della Zerlina non hanno nessuna importanza. La testa ci serve quasi solo per contare i giorni, le settimane e i mesi, in attesa di quel pezzo di carta illimitato e provvisorio: il foglio di congedo. (segue)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (quarta puntata)
* Risposta #3 il: Maggio 09, 2008, 05:04:56 pm *
...congedo. (4°) E’ gennaio, feriale, al mare non va nessuno e il litorale è deserto. Il programma d’allenamento di oggi sarebbe: riposo attivo. Si tratta di far qualcosa di rilassante e distrarsi, così: senza svaccarsi troppo. La giornata è tiepida, potrebbe scapparci un bagno. Non so se sia l’ultima bella giornata dell’anno scorso o la prima dell’anno venturo.
Decido così di fare una marcia a piedi nudi sul chilometrico bagnasciuga del Tirreno, per sentirmi come Enea, come Ulisse. Per rubare, come se fosse ancora possibile, qualche attimo da vero uomo sulla Terra, sotto al cielo, davanti a Oceàno. Per catturare un’illusione mitologica. Per mettere un frammento di eternità dentro la solita commedia.
Ed ecco che trovo Zerlina, sola soletta, appollaiata sul cucuzzolo di una duna. Se fossi poeta, avrei i mezzi per vedere Nausica, Circe, Didone, ma sono semplicemente canoista e a distanza scorgo in silouette un giovane cactus che rimira l’orizzonte placidamente.
Ma attenti, anche le mine antiuomo stanno placide sulla sabbia, inizialmente.
Nonostante tutto, devo ammettere che Zerlina ha un bel muso e possiede un certo portamento, un qualcosa, non saprei, un modo di fare stizzosetto che sembra carattere, comunque non è banale, non è scontata… nel suo piccolo. 
Ci facciamo compagnia e ci scappa il bagno. E’ un momento, direi, di amicizia. Niente di memorabile.
Ulisse ed Enea incontravano rare e preziose femmine sulle battigie del Mediterraneo e le loro passioni si avvantaggiavano del dettato poetico. Con tutto questo, se la davano ugualmente a gambe dopo una settimana. Oggi siamo tre miliardi, anche le donne del ventesimo secolo soffrono l’inflazione e i ragazzi, quelli come me almeno, attraversano periodi di stupidità che rasenta l’idiozia.
Questo incontro, non credo che si ripeterà.
Scuserai Ninfa quando sarò franco, nel duemilaotto: ma chi potrebbe offendersi dopo ‘sto po’ po’ di tempo? E poi nel duemilaotto saranno dimenticate tutte le delicatezze, tutte le ipocrisie. La parlata sarà obbligatoriamente sboccata, triviale e democratica.
Ricapitoliamo: gli artiglieri, sono piccoli e neri… non ci siamo, non collima; i canottieri neanche… genetica pesante, caviglie grosse, fantasia da cementificio; i canoisti, cioè noi… insomma… sarei obbligato a saperlo; restano solo i tedesconi o i russi, quelli delle gare internazionali; oddio, anche quelli… gente capace di una zampata sul traguardo che ti leva la medaglia, sì, ma per far caso all’avvicinamento d’una donna gli ci vuole una settimana. I russi poi si presentano solo alle gare più importanti, guardati a vista e, comunque, hanno da scopare a iosa con le russe, che francamente Zerlina, al confronto… sembra un frisbee di fianco alle astronavi.
Chi sarà stato allora? Mica potrò dire: o tutti o nessuno! Ninfa, è proprio questo ovviamente che cercherai di scoprire, temo. Avrò poi voglia io di rispondere, nel duemilaotto? Chissà? E cosa sarò in grado di rispondere, di ricordare? Chiederai, chiederai. Un guaio!

Gli atleti sono di due tipi: quelli veri e quelli farlocchi. I veri sono al Centro per meriti sportivi, titoli italiani, gare internazionali e simili. I farlocchi vengono selezionati durante una fatidica “visita attitudinale” fra i marinai di ogni contingente, catturando i giganti: con un fisico da Ercole, si finisce a Sabaudia. Anche per questo pare di stare a Cinecittà, sul set di un colossal, un po’ per le architetture ventennio, un po’ per ‘sti macisti che ciondolano e un po’ per l’anda prevalente romanesco.
Oltre ai giganti, che possono provenire dalla Valtellina, da Udine o da Pantelleria, indifferentemente, ci sono anche dei normali abbastanza misteriosi, originari, direi, della Sicilia. Normali si fa per dire; nel nostro gruppo di canoisti ne capitano due, la forma di linguaggio alla quale hanno saputo evolversi è l’estrazione di un unico argomento, un argomento a serramanico. Nella camerata abbiamo letti a castello. Con me sta un cremonese, kayakista forte, mio compagno anche di kappadue. Coabitano con noi anche Filippo, un montanaro di Stresa, vero nibelungo e Carlo, canoista fluviale di Milano, poliglotta, appassionato memorizzatore di tutti i frammenti di Hölderlin, che finirà in seguito a insegnare in varie università americane.
A completare il gruppo ci sono un paio di ciunisti, uno olimpico e uno fluviale, quest’ultimo si allena sul lago piatto col suo barcone da discesa arcilento per i mondiali di Skopje. Gli sembra di zappare nella terra gelata e mentre pagaia, per non piangere, sogna le rapide del Passirio e del Noce.
I siciliani pretendono di piazzarsi nelle brande poste di sotto, forse temendo di ricevere una lama nella schiena attraverso il materasso, quella infatti sembra l’unica preoccupazione della loro anima, notte e giorno: le coltellate.
Notevole è Carlo; a cinque anni ha imparato lo svedese da una grammatica sgraffignata al padre, per godersi in lingua originale le avventure di Pippi Calzelunghe. Lui è tosto quanto i siciliani: l’inevitabile scontro non finisce nel sangue, inesplicabilmente. In seguito, a Carlo non andrà mai giù d’essersi fatto sfuggire il record di poeta vetero-romantico precocemente deceduto.
E’ sempre lui che comincia. Fa così: gioca a portare uno dei siculi all’esasperazione (niente di più semplice) per poi, un attimo prima della prevedibile reazione, ridergli in faccia facendo un ghigno da giapponese. La strategia sempre uguale, ma ogni volta imprevista, getta l’antagonista nel parossismo, poiché non è programmato per replicare a quel ghigno; alla fine occorre trattenerlo in quattro per evitare che si sventri da solo. (segue)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (quinta puntata)
* Risposta #4 il: Maggio 10, 2008, 08:55:06 am *
...ventri da solo.
I giganti sono giganti buoni grazie a dio, paste di pane, con la reattività di un graffito della Val Malenco. Obbligarli a correre, sollevare pesi e remare è un’inutile angheria.
La mensa del Centro Remiero (sempre maiuscolo, mi raccomando) è famosa; ci si riempie il piatto a volontà di pastasciutta, quasi solo pastasciutta, ma a volontà; finalmente si legge su qualche faccia.
La felicità con la quale i selezionati arrivavano a Sabaudia è autentica; per uno degli imboscamenti più ambiti d’Italia: clima mite, rari turni di guardia, giri in barchetta e viaggi qua e là in occasione delle regate. Pare di sbarcare in un villaggio meraviglioso, a loro, ma scoprono presto il trucco, che come al solito c’è: ovverosia la pretesa che imparino a remare e si allenino.
L’atleta vero è tutta un’altra cosa. Sta qui per un motivo preciso e prova un piacere misterioso sotto lo sforzo più intenso; inoltre voga o pagaia da quando è bambino e sa dunque muoversi.
I giganti, credendo di riconoscere lo stesso spleen dei reduci da bettola incontrati nel proprio paesello, si inseriscono volentieri nei discorsi degli atleti, nei racconti di gare, di vittorie, di record. Qualcuno di loro diviene rapidamente esperto e memorizza i patronimici di tutti i russi e di tutti gli ungheresi in semifinale alle olimpiadi di Monaco, ma non diventerà un campione, perché non andrà mai un accidente.
Peccato; alcuni darebbero un braccio per essere già degli ex campioni, solo per il gusto narrativo di rivangare chissà quali inesistenti trascorsi agonistici, record, sfortune varie, davanti a un bicchiere di lambrusco. Continuano invece a subire gli allenamenti come lavori forzati. E’ la loro tragedia: ore e ore ogni giorno col piccolo tragico allenatore che cerca di spremergli da dentro qualcosa. Qualcosa che, anche con la migliore buona volontà, non riescono a farsi la più pallida idea di che cacchio possa essere.
Gli toccano carichi di lavoro più intensi, presumo, di quelli imposti ai forzati, carichi di lavoro, per loro, insopportabili e tuttavia ridicoli, pediatrici, se paragonati alla quotidiana uscita in barca di un canoista o di un canottiere di livello anche solo nazionale.

Della tua mamma, parlo della Zerlina, vorrai sapere ogni cosa, mentre cercherò di tergiversare e simulerò di non capirti, Ninfa. Immaginerò che hai avuto tutto il tempo di conoscerla già da te, purtroppo, e lo sai da sola di aver avuto una mamma un po’ leggera o, se preferirai, un po’ stronza, diciamo così; sarà questo il termine che userai tu stessa nel duemilaotto, infatti, e avrai ragione pure tu, come tutti…
Zerlina: campionessa categoria cadette o ragazze sui cinquecento metri, non so più. Beninteso, campionessa in miniatura, perché basta arrivare al traguardo, le iscritte sono due o tre. La campioncina dunque sta lì, a mollo invernale nelle paludi di Mussolini, e ufficialmente si allena. Mentre la candidata nonna, che a me pare nonna papera, ma un artigliere infoiato potrebbe scambiare per una femmina almeno il tempo necessario a sparare un colpo, non si sa come riesca a far passare le giornate.
Una volta che mi capita di incrociarle per caso nella hall dall’albergo, a tarda sera, avanzano con l’inerzia di taniche piene. La giovane conta gli acari sul pavimento, la vecchia passa di brutto mostrando di non conoscermi. Esco e vedo frotte di soldatini che accelerano pressati dal contrappello. Paiono tutti un po’ svuotati, dipenderà dal mio malanimo naturale. 

Sarai proprio sicura di voler sentire queste porcherie? Me lo figuro... Ostinazione femminile: ostinazione e innocenza, sempre, anche nel duemilaotto. Verrai tu, Ninfa, a cercarmi e sarai così bella, proprio come mi avranno più volte riferito. Sarai alta quasi come me, chiara come il sole, avrai gli occhi di cielo, le spalle ben formate, dritta e le caviglie snelle. Non c’entrerai niente con tua madre. Io dirò: “Ti hanno scambiata alla nursery. Lascia perdere la storia di tua madre, è meglio! Perché insisti?” Ma tu niente.
Allora continuerai ad ascoltare, te la sarai cercata. “Comunque non guardarmi così, dirò io, non puoi indagarmi a quel modo, non te lo permetto”.

La vita è regolata sul ritmo quotidiano degli allenamenti, una o due uscite in barca, oppure, ma solo d’inverno, interminabili corse intorno al Parco Nazionale, foresta gestita dalla Forestale, fino a raggiungere il monte Circeo per rientrare sulla duna litoranea. Un paio di volte alla settimana ci smazziamo un circuito di resistenza con i pesi e Blaho.
Dall’inizio della primavera, approssimandosi la scadenza delle gare, insistiamo esclusivamente sulle uscite in canoa: alla mattina e una seconda volta verso sera, evitando le ore più calde, con ripetizioni di cinquecento o mille metri, partenze da fermi, progressioni varie di intensità e durata crescente.
Noi canoisti siamo insomma sempre sul lago. Ho impressione che i canottieri al contrario battano la fiacca; quando mettono in acqua un armo è un avvenimento. Sono tutti vogatori di punta, agiscono su un solo remo, sono giganti da barca multipla adatti al quattro con o all’otto. Nessuno ha la classe per distinguersi nel due senza o la forza per competere nel due con. Neanche a parlarne poi di equipaggi di coppia, quelle barche scattanti e simmetriche dove ciascuno agisce su due remi.
Spicca l’assenza di un campione capace di farsi valere in gara nel singolo, dove è necessario possedere stile, equilibrio e potenza. La maggior parte dei giganti non avrebbe neppure il coraggio di sfiorare col mignolo il coppale lucido sul cedro di quelle imbarcazioni.
Escono, dopo preparativi eterni e altre tergiversazioni, affiancati da un motoscafo; l’allenatore sbraita nel megafono la nobile arte del remo aggiungendo il suo baccano a quello del fuoribordo: sarebbero delle uscite didattiche, o tecniche, dice, che ne so.
Noi canoisti ci alleniamo in modo indipendente, nessuno grida: sappiamo cosa fare e diamo il cento per certo per libera scelta.
Le barche da canottaggio e i kayak, difficilmente raffrontabili in velocità, sono specialità troppo diverse; in generale un kayak non potrebbe eguagliare un armo sulla distanza classica dei duemila metri, ma le nostre canoe sfrecciano davanti ai giganti per sbeffeggiarli. (segue)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (sesta puntat)
* Risposta #5 il: Maggio 11, 2008, 07:24:34 pm *
...per sbeffeggiarli. (6°) Quanti anni avrai esattamente nel duemilaotto, biondina? Che poi non sarai mica più una ragazza, sarai da un pezzo una donna. Ti chiederò: “Dove li hai presi quegli occhi e quell’espressione seria, vagamente miope e affascinante”. Mi convincerò del tutto che hanno davvero sbagliato in maternità, che potresti essere la figlia di due angeli, a giudicare dalle dita lunghe, dalle clavicole, dalle coste flottanti rilevate. Zerlina non era certo fatta così.
Preferirò parlare di te, di Ninfa, dei tuoi risultati nelle gare internazionali, ma tornerà ineluttabilmente fuori la faccenda della tua mamma. Dirò: “Peccato che non abbiamo avuto prima occasione di parlare, di conoscerci”.
Di tua iniziativa, bella che sarai, mi chiederai nuovamente di raccontare tutto quello che ricordo di quell’inverno a Sabaudia. Chissà se avrò nel frattempo imparato a mentire, a mentire duro, col sorriso dei veri figli di pi, quelli che mentono per abitudine, per vizio, per necessità, quelli che sanno solo e sempre mentire, infantili e infernali? Ma come farò, mi incasinerò, dirò: “L’hai conosciuta meglio di me… c’è poco da inventare. Era solo una ragazzina, una yunior, poi sparì e si seppe che era rimasta incinta eccetera eccetera. A proposito, in che mese sei nata? D’accordo ci ho messo un po’ a capire dove andavi a parare, ma alla fine... sai noi uomini per queste cose siamo imbranati. Vorresti informazioni sull’identità del padre, dillo chiaro. Evidentemente Zerlina, pace all’anima sua, a te non ha mai detto la verità e non ha lasciato nulla di scritto. Non fissarmi così, perdìo, guarda, ho i capelli diversi, la mandibola è diversa, insomma… io non c’entro. Del resto anche i giganti, togliteli dalla testa, erano bestioni, neri e pelosi, mi spiace, nessuno di loro può essere quello che cerchi”.
Ascolterai inutilmente le vecchie storie canoistiche, coi classici dettagli che non interessano a nessuno, invece di chiedere nel modo più diretto con chi fosse andata tua madre quell’inverno. E’ cosa di carattere.

Ma quali sarebbero poi le faccende da non dimenticare di questa piccola vita a Sabaudia? Forse il vino giovane sfuso, le mura ciclopiche di Gaeta, certe pareti a picco sul mare o la stazione di Latina ficcata chissà perché a casa di dio. Oppure la gara a chi ce l’ha più grosso nelle docce, che poi tutta la vita non vedrò altro: gente che fa a gara per averlo più grosso.

Una sera esco con cinque o sei giganti: libera uscita. Si va a casa di un certo pittore in una lussuosa villa sulla duna; si tratta nientemeno del famoso Niccolò Ghirlandaio. La marcia di parecchi chilometri si fa volentieri, con la promessa di una cena diversa dalla solita pastasciutta.
Per me è la prima volta, i giganti sono habitués. E’ curioso che un intellettuale sia interessato a intrattenersi con noi semianalfabeti. Non ho ancora conosciuto degli artisti, spero in quest’opportunità per qualche ragionamento sull’estetica e altra roba simile. Sfoggerei miserabili letture a riguardo ed esprimerei banalissime opinioni: un evento da non perdere.
Serata equivoca, tutti maschi, il padrone di casa è un tracagnotto di mezza età e riceve in vestaglia, spacciando per liberalità la più completa trascuratezza; sì che viene da un’illustre famiglia!
Nell’ingresso si transita davanti a un’enorme tela in lavorazione… è magnifica; raffigura uomini muscolosi a grandezza naturale in un bagno turco, con suggestivi effetti “braghe di vapore” ottenuti a gesso.
Le vivande sono un po’ stravaganti per i miei rozzi gusti subalpini e non ci arrivo al volo, tanto per cambiare… ma alla fine… è una cena a base di spumante e c.
Il mio timido tentativo di portare il discorso sulle cose dell’arte ottiene sarcasmo.
Alcuni si mettono a loro agio e passano con naturalezza a frugarsi in modo tanto sbrigativamente immorale da risultare persino comico, allo scopo evidente di assecondare il michelangelo in quelle cose che, a quanto pare, stanno al vertice dei suoi interessi.
Impietrito, uso l’occasione per documentarmi sulla concretezza dei rapporti tra le classi sociali, argomento che conosco solo per sentito dire, e per osservare nel suo habitat un eminente campione della cultura italiana.
Il grand’uomo non manca di nulla: mostre a New York e Parigi, riconoscimenti, villa abusiva sulla duna di Sabaudia, cognome altisonante e, a quanto pare, tessera del partito comunista. 
L’indomani, negli spogliatoi, i figli del popolo litigano sul numero dei biglietti da diecimila che hanno individualmente ricevuto, rimarcando discrepanze tra prestazioni e tariffa, arrivando a minacciarsi per supposte ingiustizie; è una zuffa tra veri maschi nella quale il pittore non viene assolutamente coinvolto; sta al di sopra lui, ovviamente.
Nessuno si sente svilito per il fatto di essersi eventualmente lasciato usare. I biglietti da diecimila testimoniano la natura “professionale” della transazione, pertanto onorabilità e virilità non sono in questione. Ragazzi del nord e del sud sembrano condividere lo stesso metro, gli stessi valori, e si sca--ottano a ragion veduta, esclusivamente circa la distribuzione imperfetta dei deca.
Mi resterà l’immagine del pittore, aristocrazia flaccida, sicuro del fatto suo, arenato sul divano nell’oscena vestaglia. Lui sì, che sa trattare con i figli del popolo a suon di bigliettoni. Avvezzo a farsi servire in ogni cosa, stabilisce le distanze, conosce gli uomini. Io, che in caserma praticamente abito con quelle persone e sto loro più vicino per diversi aspetti, risulto come elemento estraneo. Essi intuiscono che giudico e mi tengono alla larga.
Basta, sarà meglio non raccontare cose del genere nel duemilaotto. (segue)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (settima puntata)
* Risposta #6 il: Maggio 12, 2008, 04:54:37 pm *
Esatto, sarà meglio... 
(7°) Ciò che non dimentichiamo supera una selezione assai misteriosa, ma non imparziale. Fra trent’anni ricorderò forse l’odore resinoso e immondo di una palestra. Ricorderò il rimbombo dell’acqua spinta da quattro pagaiatori nella vasca di voga coperta o l’effetto abbacinante del cortile, nel mezzogiorno agostano, verticale come un colpo di clava. Ricorderò quella striscia di spiaggia non nostra, chilometri di sabbia che salgono verso nord, fino all’alta Italia, fino a casa oppure una grandinata memorabile, da spaccare le teste, coi pezzi di ghiaccio che martellano il legno tenero della coperta.
Che dire di certe giornate ventose all’inizio della primavera? Le folate perentorie cercano di strappare di mano la pagaia, ma si annunciano con due secondi di anticipo increspando l’acqua e producendo le riconoscibili marezzature; ecco… preparo l’urto serrando più forte l’impugnatura.
Al contrario, quando il vento è costante e vira secondo la lunghezza del lago, da nord, forma onde che vanno via via crescendo in ampiezza. Certo, solo onde di lago, onde di acque basse, ma nervose; rimbalzando sulle rive finiscono con l’incrociarsi e danno alla superficie un andamento imprevedibile. Poi, vicino alla sponda estrema del sud, si alzano con più forza e frangono. Nell’impossibilità di procedere oltre, gli spruzzi si staccano verso l’alto e in tutte le direzioni. Penetrando in quel vapore elettrico, con il vento sempre più furioso sulla nuca, scompaio dentro una strana oscurità fatta di energia e di luce rifratta. In quel punto imposto la curva per risalire sotto riva, cosicché le onde sbattono sulla fiancata e tentano di scavalcare il paraspruzzi.
Ogni giorno, ogni ora, l’acqua è diversa, l’aria è diversa, io sono diverso.     
Mentre li vivo, nel presente, non so prevedere quali saranno i fatti più densi di conseguenze. Cos’avrò da raccontare nel duemilaotto? Un sacco di stupidaggini probabilmente. Ma spero che poi finalmente mi verrà in mente qualcosa di buono nel duemilaotto, una storia più bella, a costo di inventala.
Con la baldanza stereotipata di chi ha già in testa un bel po’ di capelli bianchi, dirò: “Ninfa, vieni qui, ascolta, questa la devi sentire. Chissà quante vicende ho dimenticato, ma questa ascoltala, che sei in tempo”.

Decidiamo di fare una levataccia, usciamo in kappadue io e il cremonese, lui è il capovoga, io dietro. I cremonesi sono uomini di fiume, mettono il culo sul Po tutti i giorni dell’anno, con la nebbia, col ghiaccio e con la canicola, quando è in bassa e quando è in piena, anche se le secche emergono ovunque, anche se un’alluvione pare voler spazzare tutto giù verso Casalmaggiore, relitti vari, canoe e tronchi fluitanti a casaccio. Noi due andiamo d’accordo, siamo gente di fiume; respiriamo quest’oggi al ritmo dei colpi, tranquillamente, ancor prima del levare del sole. Crediamo di essere soli sul lago e pagaiamo sciolti in direzione dello scolmatore che sta proprio alle pendici del Circeo, seguendo sotto costa, lungo la sponda interna, la sponda che alterna canneti, coltivazioni di angurie e persino rovine archeologiche che non ci interessano: resti di ville del primo secolo: ab(b)usive, probabilmente.
La barca fila in modo speciale, così: leggera, liquida, senza sforzo. In tale orario la superficie del lago è perfettamente ferma e trasparente, scura.
Sembra il primo lago primordiale in attesa della creazione delle onde, sorpreso dall’incisione della nostra prua. Siamo una puntina nel solco e facciamo noi stessi la musica. L’assieme fra le nostre Liminat da 223 centimetri è sempre perfetto logicamente, dopo mesi, ma oggi è ancora… più perfetto, non saprei come meglio dire. La punta del kayak è veloce e immobile; neppure il più piccolo beccheggio o rollio.
Dopo mezz’ora siamo all’estremità del lago, in scioltezza. Non si parla. Non si parla mai, quando stanno per accadere realmente i fatti. (a domani per l'ultima puntata)

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (ottava e ultima puntata)
* Risposta #7 il: Maggio 13, 2008, 11:37:39 am *
(8°)...i fatti. Ci accorgiamo a un tratto del canottiere finlandese che fila assolutamente silenzioso sotto riva dalla parte opposta, nella striscia d’ombra fredda prodotta dalla vegetazione della duna. A distanza si distingue solo un piccolo segmento bianco appoggiato sull’acqua e il battito della paziente carrellata.
Si fa largo infine anche il sole, emergendo da qualche parte attraverso l’aria umida sopra gli alberi del Parco.
Impostiamo la curva larga, pagaiando lentamente a braccia basse, per mettere la punta nella direzione dalla quale provenivamo; poi, poggiando le pale destre in acqua, lasciamo esaurire l’abbrivio.
Durante la manovra lui ci raggiunge e inizia a sua volta a rallentare per il dietro front. Punta in acqua la pala del remo sinistro e fa perno su quel fulcro.
Il singolo è un filantissimo attrezzo danese, quasi del tutto immerso. Lui dimostra qualche anno più di noi; con un’espressione seria, regale, non ha niente di umano.
Contro l’oscurità dell’acqua, il bianco della coperta stacca, anche i suoi capelli biondo platino staccano, mentre tutti i gli altri colori intorno a noi vanno riprendendo solo gradualmente il loro abituale senso diurno.
Il kayak doppio e lo skiff sono affiancati, prue a nord, pronti, sette metri ciascuno di liuteria affilata.
Niente convenevoli, niente di niente, in nessuna lingua, non serve, respiriamo davanti al vuoto specchio di sei chilometri tutti per noi.
Noto una cosa buffa, una cosa che, almeno, pare buffa. Il finlandese porta gli occhiali. Mai visto un quattrocchi simile. Dio buono se è lungo! Ha il tronco eretto e il carrello del seggiolino regolato molto alto. Nonostante questo il suo equilibrio è assoluto, non pare sull’acqua, ma rivettato alla placca continentale.
Parte, partiamo, così, insieme, il finlandese e noi, all’unisono. Non uno scatto bruciante, di quelli che alzano vortici intorno alle pale, no, è una progressione. Ci curiamo da subito a vicenda, con la coda dell’occhio. La prua dello skiff ci supera alla fine di ogni colpo di quasi mezzo metro, per poi perdere altrettanto durante la fase di recupero.
Il kappadue scivolava come un olio, non forziamo, in attesa di un attacco, ma sentiamo di poter resistere a qualunque cosa. Il finlandese aumenta l’intensità e la frequenza dei colpi con una progressione che sembra predisposta da una macchina. Via via, un poco più forte, di più, di più, di più. E noi uguale, sempre sciolti, con agilità, sentendo l’energia che si accumula. Conteniamo come in una pentola a pressione la voglia di sparare tutto lo sparabile.
Lui invece aumenta in quel modo, ponderato, ma pazzesco. Mancano dei chilometri, fino a quando potrà accelerare?
Passiamo ai mille metri. Ai duemila l’andatura è ormai spettacolare. Non si scherza.
In kappadue, per indurre il capovoga a incrementare il numero dei colpi, non serve parlare, semplicemente il secondo inizia impercettibilmente ad anticipare l’attacco in acqua. E’ quello che faccio; il cremonese non aspettava altro e sembra dire con la schiena “adesso la progressione del suo ca--o del polo nord, gli facciamo vedere dove se la mette”. Così aumentiamo di brutto, ma non proprio a manetta, ne teniamo ancora per dopo.
Oggi ne avremmo per tutti i finlandesi del mondo. E così si va avanti in parallelo, lui resiste, noi non cediamo.
Chissà cosa pensano i finlandesi in momenti come questo. Intuisco al mio fianco il gesto potentissimo e regolare. Quella sua pala azzurra crociata ci passa a un metro durante il recupero, sempre alla stessa identica distanza, sempre a un millimetro dalla superficie, come una sciabolata. E’ chiaro che regge alla nostra accelerazione e controlla; noi aumentiamo, aumentiamo, aumentiamo e lui sta lì incollato come una decalcomania.
Tremila metri, quattromila… passiamo ai cinquemila.
Anche l’elfo con gli occhiali è scatenato, in cima al suo seggiolino come un signore. Io e il cremonese stupiti di noi stessi, ci rendiamo conto di fare qualcosa di superiore rispetto al normale; non è impossibile aumentare ancora, si può, si può, eccoci. Si vede che è giornata. Ultimi cinquecento metri.
In un momento simile nessuno si preoccuperebbe di immaginare se poi, nell’avvenire del duemilaotto, arriverà una certa Ninfa a chiedere: ma tra uno skiff e un kappadue, chi la spunta?
Quello va avanti due spanne a ogni remata e poi le perde; così, un’altalena dall’inizio alla fine. Ma le barche volano come due raggi di luce paralleli fino a sfilare i piloni di cemento del ponte e dopo non c’è più lago per continuare, è fatta. Diciamo che non vince nessuno. A nessuno comunque premeva dimostrare di averlo più grosso. Il finlandese dev’essere un finlandese intelligente, frena la barca poggiando le pale. Il mio capovoga rilassa tutta la schiena e quasi si affloscia. Abbassiamo le spalle, le braccia. Ognuno è assorto in se stesso, respiriamo forte, manteniamo il silenzio.
Anche lui logicamente tace, lui che gira il mondo per vincere premi in denaro e non è obbligato come noi a stare per forza a Sabaudia. Lui che se ne va quando vuole perché è libero, libero come una libellula, libero di sparire prima di domani. Lui, libero di farsi una nuova fidanzata in ogni nuovo campo di gara, con quei cazzuti occhiali che proprio non hanno senso.
FINE DELLA PRIMA PARTE
[Nella seconda parte, dopo oltre trent'anni, Ninfa riuscirà a scovare il protagonista dalle parti del Lago di Massaciuccoli...]

maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #8 il: Giugno 16, 2008, 08:09:25 pm *
Alcuni gentili lettori (ben due persone) mi hanno rintracciato privatamente per informarsi sulle date di pubblicazione della seconda parte del racconto ambientato a Sabaudia. Sul momento non ho saputo rispondere. Veramente pensavo di lasciar perdere. L’esperimento di un racconto a puntate partiva dall’ipotesi che potesse scaturire un certo desiderio di comunicare, diciamo pure, un certo desiderio di provare a parlare di noi stessi e del canoismo. Mi aspettavo infatti che si producesse dell’interattività, che il racconto fosse spinto nell’una o nell’altra direzione attraverso le osservazioni dei lettori. Del problema della nostra immagine all’esterno, ci s’è occupati anche di recente. Mi riferisco alle difficolà che incontra anche l’ufficio stampa della federazione. Gli atleti sanno vincere i mondiali ma stentano a trovare le parole per inserirsi nei canali della comunicazione e non riescono a restituire un’immagine all’altezza dello sport che praticano, cosa che naturalmente, se dovesse riuscire, potrebbe attirare altri praticanti e generare ben altre risorse. Una gradevole eccezione è stata la battuta del vincitore della discesa classica di Ivrea che durante un’intervista a caldo è stato capace di descrivere un proprio sentimento di gara “selvaggio”, trovando la parola giusta. Starcene nella nostra nicchia oscura offre naturalmente anche dei vantaggi... E’ sicuro che molti provino inoltre un’istintiva repulsione a manifestare le private e profonde esperienze che la canoa rende possibili: è pudore, niente da ridire. Molti chiuderebbero la faccenda con un: "meglio pagaiare e tacere, chi parla troppo non fa e no sa!"; avrebbero anche buone ragioni, ma solo in parte, per esempio, nell’alpinismo esistono vaste biblioteche; le avventure di montagna sono state rese immortali e si possono leggere con passione. Tutto sta nella qualità del discorso e della scrittura. Non c’è proprio nessuno che vuole dire la sua? 

Andrea Gangemi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #9 il: Giugno 18, 2008, 11:36:30 am *
Maurizio,

io sono molto interessato al tuo racconto, ma purtroppo il poco tempo libero mi impedisce di leggerlo, mi ero riproposto di salvare le puntate e rileggerle con calma, magari in una tenda durante un week end canoistico o una cosa del genere.

Insomma, anche se non ho ancora iniziato la lettura della prima parte... voglio la seconda parte :D

Andrea Gangemi
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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #10 il: Giugno 19, 2008, 01:21:08 pm *
Io invece la prima parte l'ho letta e devo dire che il tuo modo di scrivere mi piace e mi incuriosisce sapere come vorresti concludere la storia(penso di aver capito di chi Ninfa è figlia, ma vorrei continuare a leggere un po' di vita vissuta da quei protagonisti. ti conosco da lungo tempo (Valsesia 1986, quando corso di canoa era anche un po' scuola di vita) e so che hai scritto altre cose che non ho letto: appena capita mi procurerò I fiumi dell'anima (dove lo vendono?). Unico neo il titolo, Sesso e pagaie, che fa torto ad un racconto leggero ma originale e ben scritto.
Aspetto anch'io la seconda parte.
ciao.
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maurizio bernasconi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #11 il: Giugno 22, 2008, 07:45:56 pm *
Cari battellieri, grazie per l'incoraggiamento. Sto lavorando alla seconda parte. Il titolo (grazie a dio) potrebbe essere "Il lago"; la cosa si complica e amplia poiché il personaggio di Ninfa ha dimostrato un carattere più determinato e sconcertante del previsto. Anche un altro personaggio pare essersi risvegliato e reclama attenzione: Il dottor Kapek; per non parlare di Anna e suo figlio Kamil. Insomma un minimo di rispetto nei loro confronti impone di dargli modo di esprimersi. Pensate: questa è l'unica possibilità che essi abbiano. Alla fine del racconto torneranno nel nulla. Per non ingombrare troppo questa chat, sarò certamente lieto di inviare il testo via mail a chi mi farà avere il suo indirizzo. Oppure lo pubblicheremo in qualche altro modo come consiglieranno i curatori del sito.
Grazie ancora per la partecipazione e prego tutti di non abbandonare il gusto di raccontarsi. maurizio








Andrea Gangemi

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #12 il: Giugno 22, 2008, 08:35:28 pm *
ciao Maurizio,

sono contento di sapere che il tuo esperimento continuerà.
Se poi i personaggi rientreranno nell'ombra, poco male.
Tanti personaggi del mondo reale fanno così: compaiono, ci regalano spunti di riflessione e talvolta emozioni, e poi tornano nell'ombra della nostra vita.

Voglio farti una domanda che ha anche della provocazione cosa intendi con il tuo invito a raccontarci?
Se lo intendi in modo letterale, secondo me al momento nel mondo della canoa ci sono fin troppe persone che si raccontano, basta andare a leggere certi forum (il brianzatour per esempio) e di racconti se ne trovano a bizzeffe.

Per non parlare delle foto, ormai sembraquasi che se non c'è qualcuno che ti fa una foto quasi non vale la pena di fare il passaggio.
Insomma, alle volte sembra che passi in secondo piano l'emozione intima che regala la pratica di questo sport in favore dell'esternare se stessi.

Come dicevo questa è anche una proocazioe (leggasi pippa mentale)  :)

Ciao
Andrea Gangemi
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Marco Lascialfari

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Re: Sesso e pagaie a Sabaudia (racconto a puntate)
* Risposta #13 il: Giugno 25, 2008, 12:30:11 pm *
... io ho salvato la prima parte, stampata e pronta per essere portata in ferie.
... ma aspetto la seconda parte.

Marco
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