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Appunti di Slalom e di Vita...
Ettore Ivaldi:
E’ una strada lunga lunga e larga larga per arrivare alla diga di Itaipu. La percorro tutti i giorni per andare e tornare alla mattina e per andare e tornare alla sera finito il secondo allenamento. E’ una strada popolata e colorata. Qualche volta nel primissimo pomeriggio mi fermo ad un chioschetto a bere un caffè lungo lungo che ingoio grazie solo alla quantità di zucchero che riesco a farci stare nella tazzina di plastica. L’illusione però di bere il caffè mi desta da quel momento di chetichella che mi prende a quell’ora. Eppure a pranzo mangio veramente poco e tante volte salto perché tra una cosa e l’altra non ho molto tempo, quindi non dovrei avere momenti bui. Al ritorno, viceversa assetato più che mai, mi fermo all’angolo della via dove ci sono gli uffici della Federazione Brasiliana per bermi una bomba ghiacciata di vitamine e zuccheri. Qui ogni giorno sosta un Volkswagen Van, ve lo ricordate quello arrotondato, uno dei primi nove posti che guidavi praticamente restando in piedi sul volante. Bene, all’interno, eliminati i sedili ha preso posto una macina dove, la gentile signora che mi sa tanto da druido Panoramix, ci infila la canna da zucchero e l’ananas. Il tutto funziona con un motore a scoppio e dopo vari passaggi puoi bere, con meno di mezzo euro, questa sorta di bevanda magica. L’effetto è spettacolare dopo una giornata passata sul campo di allenamento!
Lungo i 10 chilometri che mi separano dall’albergo al canale di canoa ho il tempo per guardarmi attorno e sempre scopro lati che non avevo mai visto in questo mio primo mese qui a Foz do Iguacu. Un punto preciso però aspetto sempre con molta ansia e con curiosità e ogni volta mi sembra di vederlo per la prima volta... è lo stesso effetto che mi fa Amur, ma questo magari ve lo racconto un’altra volta. La strada dalla città al canale sale leggermente e a poco meno di due chilometri dall’entrata ufficiale alla diga più grande al mondo si arriva sul punto più alto. In quell’istante si ha la visione della maestosità di quanto è grande e immensa questa struttura. La strada davanti a me scende e permette così di spaziare con la vista da est a ovest per qualche secondo. Hai sull’orizzonte la diga che incontra il cielo e sembra fondersi in una vista surreale.
In questa brevissimo tempo di transito ci si interroga sul mondo e sulla sua esistenza. Uno spazio temporale brevissimo, ma che come lampi nella notte, ti illumina. L’occhio, ormai allenato a quel panorama, riesce anche a cogliere sullo sfondo la nube d’acqua che si forma da uno dei tre scoli di contenimento. Il risultato della fotografia è quello di altri tempi, immagine che si sfuoca e ti lascia esterefatto ... non so’ se e quando riuscirò ad abituarmi a questa quotidiana visione. Una volta superata la barriera per entrare ai Itaipu con tanto di guardie e controlli accurati, si entra ai piedi della diga e ti catapulti in un altro mondo. Tutto è perfetto, l’aspetto della strada è liscio con spartitraffico di fiori che ti fanno entrare piano piano nella natura. Pochi chilometri e si incontra un laghetto invaso dai capivara. Questo è il bacino artificiale alimentato dal Paranà che rimane circa 3 chilometri a monte. Da qui prende vita il canale di slalom che nel 2007 ospitò i Campionati del Mondo e dove noi ogni giorno ci passiamo diverse ore. Fra non molto qui verrà costruita una struttura con uffici, sala video, spogliatoi servizi, palestra che ci renderà la vita molto più facile risparmiandoci gli 80 chilometri giornalieri di trasporto.
Occhio all'onda! Ettore Ivaldi
... continua
Ettore Ivaldi:
prosegue...
ora però mi piacerebbe fare un giochino semplice semplice perché secondo me ci sono ancora molti allenatori che pensano di insegnare tecnica e conoscenza ai giovanissimi, cosa pretenziosa e piuttosto limitante. Sono loro viceversa che ci regalano la possibilità di crescere e scoprire nuove evoluzioni tecniche. Mah! Seguitemi e rispondetevi ad alta voce.
Nella canadese monoposto abbiamo avuto quattro precise epoche. La prima iniziò con la storia dello slalom e cioè pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Cioè quando? ... rispondete a grandi linee....
Vi aiuto. Il 1945 ha rappresentato l’ultimo atto della guerra, lo slalom esordì solo quattro anni più tardi. Cioè quando?
Già che ci siamo scopriamo anche dove è stato disputato il primo campionato del mondo. Vi aiuto sempre io e vi dico laddove si mantiene a tutt’oggi la massima indipendenza dall’Europa, proprio nel suo centro. Si scia molto e Mikel Kurt è lo slalomista di quella nazione che è arrivato secondo in coppa del mondo. Facile no! Di che nazione si tratta?
Bene solo 20 anni dopo i primi mondiali abbiamo la prima vera sterzata per la categoria della canadese monoposto; ad imporre tecnica, canoe e stile sono gli atleti della primavera di Praga. Parliamo cioè della?
Uno stile basato principalmente su una forza brutale, ma anche da diverse ore passate fra i paletti dello slalom. Chiusa la loro stagione è la volta degli uomini di Bill Endicott a stelle e strisce. Parliamo cioè degli?
Bene il maggior interprete di allora fu un personaggio mitico che porta lo stesso nome di Bon Jovi il cantante o, togliendo una n e una y, dell’attore Depp. Si tratta cioè di? Ok ci siete con il nome e ora per il suo cognome basterà metter davanti al nome del suo allenatore una “elle”, una “u” e una “g”. Chiarissimo no?
Arriviamo alla terza grande generazione: l’attuale. Un transalpino e cugino di noi italici e uno slovacco. Il primo di che nazione è?
Bene abbiamo giocato e voi avete scoperto che il primo mondiali di canoa slalom si disputò nel 1949 in Svizzera. A dettare legge dal 1969 in poi sono gli atleti della Cecoslovacchia, che hanno passato l’eredità agli atleti degli Stati Uniti d’America e che il personaggio mitico è Jon Lugbill. Ora un francese e uno slovacco sono gli attuali leader della categoria.
Ecco questa è la “scoperta guidata”: costa energia e tempo perché per dirvi tutto ciò si possono usare 5 righe o 22! Nel secondo caso la fatica è evidente a tutti, ma il risultato è quello di condurvi ad usare l’intuizione e non semplicemente sentire delle belle storielline che tra le altre cose vi avevo già raccontato in vecchi appunti e aneddoti. La domanda che sorge quindi è: questi atleti che hanno cambiato la storia si sono limitati a seguire le strade dei vecchi, ad obbedire ciecamente alle regole tecniche proposte da chi li ha preceduti o la loro evoluzione è frutto di intuizioni, scoperte personali, nuovi stili e sfruttamento di innovazioni di materiali e mezzi?
L’altro aspetto che desidero sottolineare quindi è la necessità di utilizzare e di far lavorare con i più giovani persone preparate ed educate a ciò. E’ facile prendere il primo che passa e farlo divertire alle spalle dei ragazzi ridendo dei loro errori e della difficoltà con cui si propongo percorsi assurdi che metto in chiara evidenza l’incapacità non tanto di chi è sull’acqua ma di chi li propone. O ancora offrire ruoli di tecnico a chi dichiaratamente lo fa per i quattro euro che gli vengono offerti, pur sapendo che con questo sistema non si va da nessuna parte. La gravità maggiore però arriva da chi, pur essendo consapevole e responsabile di un settore importantissimo come quello giovanile, accetta tutto ciò!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
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Skillo:
Nel tuo bellissimo e condivisibilissimo ragionamento c'è però il seme del male: se questa linea viene presa letteralmente il tecnico non ha più ragion d'essere tecnico ma, al più, semplice testimone delle esperienze dei "suoi" atleti. Atleti che, invece, devono diventare tecnici di loro stessi e servirsi di altri tecnici, veri tecnici.
Infatti, questa interpretazione distorta della bella teoria che ci hai illustrato è esattamente quanto accade nel settore slalom federale. Lì un signore dice esattamente le cose che ci hai appena detto tu: "il tecnico non serve perché gli atleti fanno la canoa del futuro".
Quindi egli fa il non-tecnico trincerandosi dietro questa frase. La verità è che egli il tecnico NON LO PUò fare; non ha le basi tecniche, l'occhio, la sensibilità, l'attitudine e il carisma per POTERLO fare.
Dal canto mio, semplicemente, penso che il tecnico dovrebbe usare i mezzi che ha per portare i suoi atleti allo stato dell'arte, dopodiché SI FA lo stato dell'arte.
Prima impari bene la matematica e la fisica e poi, forse, sarai in grado di sfornare una teoria della relatività.
Ettore Ivaldi:
In realtà io non dico assolutamente che il tecnico non serve e credo che su questo forum molto spesso ho espresso la mia opinione relativamente a ciò. Ho sostenuto e sostengo che il tecnico deve fare questo mestiere a tempo pieno e non può essere un secondo lavoro o semplicemente una passione legata al volontariato e deve essere soprattutto preparato.
Il ruolo del tecnico è quello di guida alla scoperta dell’individuo. Anche per la matematica o per la fisica è fondamentale guidare i giovani alla scoperta attraverso il ragionamento e non limitarsi a dettare formule e teoremi. Se sai ricavartele resteranno impresse nel tuo DNA , all’occorrenza riemergeranno spontaneamente e saprai avvalertene in diverse occasioni ed ambiti...altrimenti ...come sono venute se ne vanno.
Tanto più quando parliamo di espressività corporea. Il tecnico può solo tirare fuori ciò che un giovane o un atleta evoluto ha già dentro di sé deve cioè, come dici tu, portarlo allo stato dell’arte per poterla realizzare ed esprimerla.
E’ un lavoro lento, delicato che implica una presenza fisica costante e sapiente e che passa ovviamente attraverso principi fondamentali che non si possono saltare a piedi pari.
Quando si è parlato di “J” stroke abbiamo letto tutti i vari commenti sul gesto specifico, la difficoltà è quella di trasmettere all’allievo queste informazioni. Come si deve fare, qual’è la strada da percorrere? Secondo il mio modestissimo parere è solo attraverso la scoperta personale che si riesce a percepire ed evolvere ogni singola tecnica. Altrimenti diventiamo semplicemente delle macchine fotocopiatrici in grado magari di fare ottime copie, ma copie sono e rimangono!
Lavorare con la “scoperta guidata” comporta l’uso di tempo, mezzi, soldi, strumenti e personale preparato e capace che condivida con i ragazzi ogni momento della crescita e della successiva evoluzione.
Condivido quanto hai espresso sul settore slalom fluviale federale e mi sembra di capire che non siamo i soldi visto che lo stesso Daniele Molmenti scrive così su Facebook:
”tutti i miei avversari sono nelle migliori condizioni possibili per allenarsi sereni e con professionisti al loro fianco”. Credo che ogni commento ulteriore sia superfluo!
Occhio all’onda! Ettore Ivaldi
maurizio bernasconi:
E' giusto usare la parola Arte. Finchè siamo nel campo dell'Arte e della Scienza (mi riferisco alla pagaiata nelle categorie giovanili logicamente) è necessario insegnare. Insegnare ovviamente con le opportune strategie. Possiamo impartire dei precetti ben codificati oppure sciegliere un percorso più complesso ed elastico come suggerisce Ettore. Possiamo anche adottare strategie in cui diversi sistemi procedano in parallelo o alternati. In entrambi i casi occorre che l'istruttore sappia a fondo di cosa stiamo parlando.
Le successive fasi di una vera e propria iniziazione alla canoa hanno una tempistica strana e soggettiva, suscettibile di apparenti battute d'arresto e anche retrocessioni. Solo il maestro può capire a che punto del percorso il soggetto si trova in un certo momento.
Tutto questo per arrivare, immagino, per esempio, al giorno in cui lo stesso Lugbill si emancipò dagli insegnamenti ricevuti e cominciò a farci vedere cose che a noi sembravano nuove. Ma questo non può essere avvenuto all'età di sedici anni. A sedic'anni, alla maggior parte dei ragazzi potrebbe risultare ancora utile e rassicurante ricevere delle vere e proprie istruzioni. Pensiamo alla musica. Tutti i musicisti che hanno saputo aggiungere qualcosa di eccellente alla tradizione e alla storia della musica avevano ricevuto un insegnamento tecnico completo e perfetto. E' impossibile rinnovare e superare qualcosa prima di averlo attraversato e per attraversarlo qualche annetto ci vuole. Se osservo dei canoisti in erba mentre cercano di spingersi avanti in linea retta in C1 senza conoscere il "J", utilizzando fuori luogo il debordé e le timonate, mi sembra di vedere quei cani a tre gambe che si incontrano nelle periferie del terzo mondo, e mi spiace lasciarli nel loro brodo aspettando che inventino qualcosa di innovativo, le canoe esistono da decine di migliaia di anni, ricominciare ogni volta da zero sarebbe curioso.
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